IL CRISTALLO, 2008 L 1 [stampa]

IL BILINGUISMO IN ALTO ADIGE: PERCEZIONI, OSSERVAZIONI E OPINIONI SU UNA QUESTIONE QUANTO MAI APERTA

di DORIS FORER1, MARIA PAOLA PALADINO, CHIARA VETTORI, ANDREA ABEL

1.1 Introduzione

Dall'organizzazione politica e sociale alla toponomastica, il bilinguismo è un aspetto che permea e pervade la vita quotidiana della Provincia di Bolzano. La cosiddetta "questione linguistica" che chiama in causa problematiche associate al bilinguismo e sue implicazioni politiche e sociali è frequentemente argomento di discussione e di dibattito e non lascia indifferenti coloro che vivono in questo territorio.

Lo scopo di questo lavoro è comprendere meglio cosa la gente pensa del bilinguismo, quali ritiene essere le problematiche ad esso associate e quali le circostanze che facilitano o contrariamente complicano il suo pieno raggiungimento e la sua accettazione. Per raccogliere impressioni e opinioni riguardo alla questione linguistica in Alto Adige, sono state condotte delle interviste2. Essendo l'intervista uno strumento estremamente flessibile e particolarmente efficace nel far emergere quello che le persone pensano relativamente a un argomento, è sembrata essere una scelta metodologica adeguata per avvicinare diversi modi di spiegarsi e mentalmente rappresentarsi "la questione linguistica" della Provincia di Bolzano.

Nei mesi fra maggio e luglio 2006 sono state intervistate sedici persone appartenenti al mondo della formazione, dell'educazione, della politica, dei media e della ricerca in Provincia di Bolzano3 scelte in quanto, per la loro esperienza professionale e/o partecipazione alla vita politica e sociale, possono essere considerate, almeno potenzialmente, degli "osservatori privilegiati" della questione linguistica in Alto Adige. Si tratta, infatti, di persone che si confrontano quotidianamente con temi quali l'apprendimento della seconda lingua, il bilinguismo, il sistema scolastico, il patentino, la convivenza interetnica, etc. e che nel corso della loro esperienza formativa e professionale hanno maturato pareri interessanti rispetto a ognuna di queste tematiche. Le loro opinioni sono del tutto personali e riflettono di volta in volta il background linguistico e l'esperienza di vita della persona. In questa logica proponiamo dei punti di vista molto diversi tra di loro che, anche considerati nel loro insieme, non possono che dare una visione parziale della questione e non hanno dunque alcuna pretesa di esaustività.

 

1.2 L'Alto Adige – una realtà bilingue?

Le interviste sono state sempre introdotte da una richiesta di valutazione della realtà altoatesina: "Spesso si sente parlare dell'Alto Adige come di una realtà bilingue - lei cosa ne pensa? Secondo lei si può parlare di una realtà bilingue?" Partendo da questa domanda provocatoria emergono le prime considerazioni sul bilinguismo e le risposte a questo stimolo iniziale mettono subito in evidenza che l'Alto Adige viene percepito come realtà potenzialmente, ma non realmente bilingue. "È un bilinguismo settoriale, ma non diffuso. Lo vedo solo nell'amministrazione pubblica, con l'ente pubblico locale dove il bilinguismo è ben sviluppato, ma in tutti gli altri settori non c'è" (int. 11, 44). Al di là dell'ambito pubblico-amministrativo, dove pare esserci uno switch (passaggio) abbastanza naturale da una lingua all'altra, l'Alto Adige non rappresenterebbe dunque "una realtà con due lingue", ma piuttosto un territorio diviso in "due realtà" (int. 12)5. In effetti, alcuni intervistati ravvisano una condizione fatta di situazioni e luoghi ben distinti dove ci si vede confrontati con l'uso ora dell'una, ora dell'altra lingua, ma raramente con entrambe contemporaneamente (int. 2)6.

Per quanto riguarda le competenze linguistiche della popolazione, la visione non è più positiva. Se per bilinguismo si dovesse intendere la padronanza perfetta di due lingue e non solo la comprensione passiva della L2 (la seconda lingua), allora i bilingui non rappresenterebbero neanche il 10% della popolazione altoatesina (int. 16, 4)7. L'idea è che solo una piccola parte della popolazione, proveniente perlopiù da famiglie mistilingui, può affermare di essere bilingue a tutti gli effetti. Il resto degli abitanti della provincia di Bolzano invece, vale a dire la maggioranza, sembrerebbe non possedere una conoscenza della L2 tale da poter convalidare l'ipotesi di realtà bilingue (int. 8)8.

Inoltre, gli intervistati sottolineano come ci sia un'asimmetria nelle competenze e nell'uso della L2 tra il gruppo linguistico tedesco e quello italiano. Il gruppo linguistico tedesco comunicherebbe più spesso e con meno difficoltà in italiano rispetto al gruppo italiano e questa asimmetria non sembrerebbe essere limitata soltanto ad alcuni settori particolari, ma si presenterebbe come fenomeno trasversale (int. 10, 11)9.

Nonostante il gruppo linguistico tedesco sembri uscire vincente da questo confronto di competenze della L2, emerge tuttavia anche l'osservazione di un'inversione di tendenza. "Le competenze linguistiche migliorano nel gruppo linguistico italiano e peggiorano drasticamente, drammaticamente in quello tedesco." (int. 1). Questo cambio di direzione sarebbe, secondo alcuni, il frutto della cosiddetta 'ri-tedeschizzazione' del territorio, ovvero dell'accrescimento di potere del gruppo linguistico tedesco all'interno della provincia, potere che farebbe guadagnare importanza alla lingua tedesca soprattutto riguardo all'ambito lavorativo (int. 1310).

Molti intervistati osservano come ci sia una relazione diretta tra il livello di competenza della L2 all'interno di un gruppo e l'utilità concreta che questa conoscenza ha nella vita quotidiana in Alto Adige. Sembrerebbe che una scarsa competenza della L2 sia attribuibile, almeno in parte, alla non-utilità della lingua stessa e si sottolinea, infatti, come - fatto salvo l'obbligo del patentino di bilinguismo per i posti di lavoro nell'ambito pubblico - in Provincia di Bolzano non ci sarebbe nessun bisogno di conoscere due lingue. Al contrario, a quanto pare in pressoché tutti i contesti ci si potrebbe muovere servendosi unicamente della propria madrelingua e dunque mancherebbero gli stimoli quotidiani che possano spingere verso un impegno maggiore nello studio e nella pratica della L2. Questa considerazione è comprensibile per le valli e le zone rurali che, negli ultimi anni a causa sia dell'apertura delle frontiere dopo l'accordo di Schengen sia della chiusura di alcune caserme, sono tornate ad essere ambienti per lo più monolingui, in quanto abitati quasi esclusivamente dalla popolazione di lingua tedesca. Tuttavia anche se si prendessero in considerazione solo le zone con una presenza abbastanza equilibrata dei due gruppi, ad esempio le zone urbane dove abitanti di madrelingua tedesca e italiana vivono fianco a fianco, la conoscenza della L2 non appare essere un requisito strettamente necessario. L'organizzazione della vita quotidiana, soprattutto a causa della divisione del sistema scolastico e delle altre istituzioni in "tedesco" e "italiano", permetterebbe agli altoatesini, sia di madrelingua tedesca sia di madrelingua italiana, di muoversi all'interno della propria lingua senza essere obbligati e nemmeno incoraggiati alla comunicazione nella L2. Secondo la maggioranza degli intervistati, la tutela e il rispetto delle comunità linguistiche avrebbero creato due mondi paralleli e autosufficienti, in cui non vi è necessità di conoscere la L2.

 

1.3 Scuola e bilinguismo

Parlando di bilinguismo, tutti gli intervistati arrivano velocemente a toccare l'argomento "scuola". Interrogandosi sul suo ruolo nell'acquisizione della L2 in Alto Adige, emergono sostanzialmente due ordini di domande "Quale responsabilità ha avuto la scuola nelle attuali competenze linguistiche? Quale ruolo potrebbe o dovrebbe avere nell'acquisizione della L2?

Il ruolo della scuola. Questa domanda suscita giudizi alquanto diversi negli intervistati di lingua italiana e tedesca. Pur segnalando spazio per miglioramenti, gli intervistati di lingua tedesca sembrano essere abbastanza contenti della propria scuola. Lo stesso non accade con gli interlocutori di madrelingua italiana. Un dato, questo, che rispecchia quanto emerso nel recente barometro linguistico11 dove più della metà (53%) della popolazione di lingua tedesca si dichiara contenta di quanto appreso a scuola, mentre solo il 32,1% degli altoatesini di lingua italiana è soddisfatto delle competenze acquisite a scuola. Diversamente dal barometro, queste interviste aprono una finestra sulle ragioni di questa insoddisfazione. Un intervistato, ad esempio, critica fortemente la scuola italiana per il fatto di non aver saputo adattarsi tempestivamente alla realtà dei fatti, ovvero ai cambiamenti dovuti all'istituzione dello Statuto di Autonomia e all'improvvisa richiesta di bilinguismo. Per molti anni, infatti, la scuola italiana non avrebbe riconosciuto l'importanza del proprio ruolo nella preparazione e nell'educazione degli studenti alla vita in una realtà così particolare e complessa. La scuola tedesca invece avrebbe saputo adattarsi meglio, ragione per la quale oggi ci si ritroverebbe in una situazione asimmetrica. "La scuola italiana non ha tematizzato, non ha capito dove si trovava ad operare, ha continuato come se fosse una scuola di Arezzo dove si studia come seconda lingua il francese o l'inglese. La scuola italiana in provincia di Bolzano ha pensato di continuare ad educare la propria gente alla <grande cultura italiana>" (int. 10). Solo recentemente la scuola italiana avrebbe iniziato a proporre "dei percorsi didattici, di formazione alla propria gente che li mettesse in grado di vivere qui e di vivere a pieno regime e con parità di diritti e di competenze e di carte che si hanno in mano da giocare" (int. 10).

Dai colloqui con gli intervistati di lingua italiana emerge anche un'ulteriore responsabilità della scuola italiana, e cioè, quella di non fornire agli studenti dei modelli a sostegno del bilinguismo. Sottolineano come una parte ancora ampia degli insegnanti non conosca affatto la L2 o ne abbia solo delle conoscenze molto scarse (int. 3)12. Mentre "nella scuola tedesca l'86% degli insegnanti di ruolo ha il patentino, nella scuola italiana oggi siamo arrivati credo al 46%, cioè, la metà. Vuol dire che la maggioranza degli insegnanti con i quali viene a contatto un ragazzo di lingua italiana è monolingue!" (int. 10). Questa osservazione esplicita un doppio messaggio che verrebbe spesso veicolato a scuola relativamente al bilinguismo: ai ragazzi viene chiesto di studiare la seconda lingua, di conoscerla, di conseguire il patentino di bilinguismo ma, allo stesso tempo, viene loro implicitamente trasmessa un'idea di scarsa importanza del bilinguismo stesso, attraverso dei modelli educativi che si rifanno al monolinguismo. È come se a promuovere una campagna antifumo fosse un fumatore, seppure in perfetta salute. Quale sarebbe la sua credibilità?

Il sistema scolastico. A fronte di queste responsabilità specifiche della scuola italiana, emergono delle critiche che coinvolgono in modo più generale il 'sistema scuola' dell'Alto Adige. Queste sono principalmente rivolte al sistema scolastico stesso, ovvero alla sua (sud)divisione per lingua di insegnamento che, secondo la quasi totalità degli intervistati, rappresenta un ostacolo nell'acquisizione di una migliore competenza nella L2. "Fin quando queste strutture rimangono rigorosamente separate, si fortificano anche i mondi paralleli" sostiene uno degli intervistati (int. 7)13. Dividere la scuola tedesca da quella italiana secondo molti degli intervistati non promuove l'acquisizione della L2 poiché, essendo la scuola un luogo dove si creano relazioni interpersonali (d'amicizia ma anche d'amore), essa è il luogo per eccellenza della socialità dei ragazzi. Se la scuola offre contatti solo internamente al proprio gruppo linguistico escludendo sistematicamente i rapporti con l'altro gruppo, lo sviluppo di un contesto d'uso della lingua diventa difficoltoso anche al di fuori dell'ambiente scolastico. Invece di favorire la creazione di uno spazio di contatto e scambio, ecco creati i mondi paralleli dove "si vive uno accanto all'altro senza in fondo conoscere niente della realtà dell'altro, neanche il suo nome" (vedi int. 7). Questa critica emerge sia dalle interviste agli osservatori di lingua italiana sia a quelli di lingua tedesca e mette in luce come la scuola potrebbe o dovrebbe avere la funzione non solo di insegnare la L2, ma anche di creare un contesto d'uso e più generalmente un clima di comunicazione tra i gruppi linguistici.

Rispetto alla formulazione di proposte e idee per un sistema formativo che faciliti l'acquisizione della L2, la maggioranza degli intervistati propone una scuola dove il 50% dell'insegnamento si svolga nella madrelingua e l'altro 50% nella L2 (int. 1, 8)14. L'istituzione di questa cosiddetta 'scuola bilingue' avrebbe, come sostiene la maggioranza degli osservatori, indubbi vantaggi per l'apprendimento della L2 grazie all'uso veicolare della stessa e alla creazione di un contesto (d'uso) mistilingue (int. 1)15.

Lingua e identità. Nel proporre la scuola bilingue tuttavia, emerge anche il timore che eventuali modifiche all'organizzazione scolastica possano essere interpretate come una minaccia allo statuto di autonomia che vede in essa una delle sue colonne portanti. La scuola bilingue viene dunque proposta come un'istituzione da affiancare alla scuola di lingua italiana e tedesca, come un'alternativa per le famiglie mistilingui e per tutti coloro, siano essi di madrelingua italiana o tedesca, che desiderano un'educazione bilingue per i loro figli (int. 9)16.

Naturalmente, l'accenno alla scuola bilingue fa emergere immediatamente la questione dell'apprendimento scolastico precoce della L2 che può essere visto come un pericolo, come un intervento formativo in grado di compromettere lo sviluppo delle competenze della madrelingua del bambino e di portare quindi "non al bilinguismo, ma piuttosto a un doppio semi-linguismo" (int. 4)17. Questa paura del contatto precoce con l'altra lingua, anche se espressa da una persona soltanto, ci sembra molto interessante in quanto non riflette solo preoccupazioni 'linguistiche', ma piuttosto di tipo identitario. Di fatto, la convinzione è che l'insegnamento precoce della L2 (in questo caso dell'italiano) rischi di intaccare la necessaria sicurezza nella propria madrelingua e che tale carenza conduca, prima o poi, alla perdita della specificità culturale della persona e di conseguenza "all'italianità, all'altoatesinamento" (int. 4).

La maggior parte degli intervistati esprime invece opinioni a sostegno dell'esposizione e dell'apprendimento precoce della L2 e ritengono che questo tipo di esperienza non possa essere lesiva né per quanto riguarda le competenze nella madrelingua, né per quanto riguarda la formazione identitaria della persona. Anzi, c'è addirittura la fiducia nel fatto che il contatto precoce con un'altra lingua possa portare a una più elevata consapevolezza linguistica (int. 12, 5)18.

 

1.4 Il dialetto sudtirolese e l'apprendimento della L2

Un altro argomento emerso con forza nel corso delle interviste è quello del dialetto sudtirolese che viene indicato come uno dei principali limiti all'apprendimento del tedesco standard (Hochdeutsch) soprattutto da parte degli interlocutori di lingua italiana. L'uso del dialetto, dicono, non si limita a casa e famiglia, ma è estremamente diffuso anche in contesti lavorativi e ufficiali dove rimane poco spazio per l'uso del tedesco standard. A detta di molti intervistati, il fatto che manchi un reale contesto d'uso, ovvero la possibilità di mettere in pratica la L2 studiata a scuola (appunto, il tedesco standard), influisce negativamente sulla motivazione allo studio della stessa. Perché impegnarsi nell'apprendimento del tedesco, se poi non mi servirà? (int. 10)19

Particolarmente interessanti sono alcune prese di posizione che mostrano come l'uso così diffuso del dialetto possa essere interpretato anche come segnale di chiusura del gruppo linguistico tedesco. Diversi interlocutori, sia di lingua tedesca che italiana, spiegano che attraverso l'uso del dialetto viene trasmesso il messaggio del "noi non interagiamo con voi, noi vi neghiamo l'empatia linguistica" ovvero l'opportunità di comprenderci (int. 2)20. Il dialetto sarebbe quindi una sorta di "codice segreto" che permetterebbe agli altoatesini di lingua tedesca di non essere compresi fino in fondo e di limitare il contatto con il gruppo linguistico italiano(int. 5)21.

Ma non solo. Tra quelli che dicono di riscontrare delle resistenze nel gruppo linguistico tedesco a parlare il tedesco standard, molti sottolineano che questo avviene anche perché i sudtirolesi di lingua tedesca tendono a vivere il Hochdeutsch come una lingua non familiare o addirittura come una lingua affettata. I sostenitori di questa ipotesi concordano sul fatto che l'uso diffuso del dialetto non segnala sempre un atteggiamento di difesa, ma a volte anche delle reali difficoltà a parlare la lingua "pura". In effetti, anche se uno degli intervistati sottolinea che questa ipotesi è stata sconfessata da un recente studio (int. 13)22, la percezione soggettiva degli altri interlocutori rimane quella di un peggioramento delle competenze del Hochdeutsch nello stesso gruppo linguistico tedesco che sarebbe dovuto proprio alla mancanza di un reale contesto d'uso per il tedesco standard in Alto Adige, e questo anche per chi è di madrelingua (int. 5, 9).23

 

1.5 Mondi paralleli

Negli studi sull'apprendimento delle lingue, il desiderio di incontrare e interagire con i membri della comunità di L2 è annoverata come una delle sue motivazioni base (Gardner & Lambert, 197224). È sembrato dunque opportuno affrontare con gli intervistati il tema del contatto e scambio tra i due gruppi linguistici in Alto Adige e il suo eventuale ruolo nell'apprendimento della L2.

Il "non-contatto". Questo tema apre ad alcune considerazioni sulla distribuzione demografica dei gruppi linguistici sul territorio e le conseguenti differenze in termini di possibilità d'incontro. Quando il contesto è quello di un paesino in una valle prettamente "tedesca", i contatti sono ovviamente scarsi. In questo caso, pur con tutta la buona volontà, è difficile pensare a uno scambio quotidiano reale con persone dell'altra lingua (italiano). Tuttavia, anche quando si prendono in considerazione solo le zone con una presenza abbastanza equilibrata dei due gruppi, ovvero le zone urbane, gli intervistati fanno notare come - nonostante il contesto potenzialmente ricco di occasioni di contatto e di scambio - in realtà l'interazione non si realizza. Al contrario, ci spiegano che il contatto fra ragazzi di madrelingua tedesca e italiana non è affatto scontato e soprattutto che questo non avviene in modo automatico (int. 2)25. Né in adolescenza né durante l'infanzia ci sarebbero dei percorsi educativi o un'organizzazione delle attività e delle strutture che creino un contesto in cui inevitabilmente avvenga l'incontro fra ragazzi di lingua italiana e di lingua tedesca. Anzi, per avvicinarsi all'altro gruppo linguistico il contatto deve essere attivamente cercato dal diretto interessato. Nonostante la vicinanza fisica l'incontro non avviene se non è il singolo, il giovane stesso, ad avvicinare di propria iniziativa i suoi coetanei dell'altro gruppo linguistico.

La maggior parte degli intervistati descrive gli studenti altoatesini come appartenenti a due mondi che, per quanto fisicamente vicini, rimangono comunque divisi senza che l'uno entri in contatto con l'altro. Riconoscono che ci sono alcuni/e ragazzi/e che si muovono bene tra i due mondi, ma secondo loro questi/e provengono prevalentemente da famiglie mistilingue e rimangono dunque delle eccezioni.26

La barriera istituzionale. È interessante notare come, pur essendo d'accordo sul fatto che i contatti intergruppo sono pochi, le posizioni degli intervistati si dividono sull'attribuzione di responsabilità e l'eventuale desiderio di cambiamento di questa situazione di divisione. Nonostante una voce fuori dal coro che vorrebbe attribuire la responsabilità dell'assenza di scambio linguistico e relazionale esclusivamente al singolo, alla sua scarsa motivazione ossia alla pura mancanza di volontà (int. 4)27, la maggioranza degli intervistati identifica nel sistema istituzionale diviso per lingue il principale ostacolo nella difficoltà di avvicinamento dei due gruppi linguistici. Secondo costoro, la divisione della scuola e delle altre istituzioni in "tedesco" e "italiano" porterebbe alla creazione di due mondi paralleli e autosufficienti rendendo difficile e faticoso l'incontro (int. 8)28. Si dà atto che la vicinanza fisica di questi mondi paralleli potrebbe far sembrare impossibile e assurdo il fatto che non ci sia interazione, tuttavia si riconosce che l'ostacolo che il singolo si trova ad affrontare è troppo grande per essere superato unicamente grazie alla motivazione e all'impegno personali. La divisione concreta e ben visibile nella struttura dei servizi e delle istituzioni ha dunque un effetto importante anche sulla realtà sociale. In contesti teoricamente "liberi" da questi vincoli, come ad es. il tempo libero, ci si accorge che al di là del mondo istituzionale, la netta linea di demarcazione si estende sotto forma di mura invisibili che, forse proprio in quanto tali, rimangono difficilmente superabili (int. 7)29.

Secondo gli osservatori, solo calandosi nella vita quotidiana dell'Alto Adige ci si rende pienamente conto di quanto profondamente la barriera istituzionale si sia radicata nel modus pensandi degli altoatesini. La realtà interiore, infatti, finisce col rispecchiare la scissione di quella esterna, ovvero l'organizzazione strutturale si riflette in quella mentale. La situazione così descritta evidenzia un paradosso: nonostante la piena libertà di interazione e condivisione delle attività extra-scolastiche ed extra-lavorative, la quasi-totalità delle stesse risulta essere organizzata in base all'appartenenza linguistica (int. 12)30. A quanto pare, se non fosse per alcune eccezioni nell'ambito dello sport (soprattutto per quanto riguarda il calcio), le realtà extra-scolastiche dove si realizza un'effettiva interazione tra i due gruppi linguistici sarebbero desolatamente poche. Secondo gli intervistati, le associazioni culturali sarebbero prevalentemente formate da membri esclusivamente dell'uno o dell'altro gruppo linguistico. Inoltre, per quanto riguarda i luoghi di aggregazione (bar, pub, piazza ecc.), si descrivono territori "marcati", ovvero dove esiste una bipartizione di questi spazi fra "italiani" e "tedeschi", luoghi cioè frequentati o dal gruppo linguistico tedesco o dal gruppo linguistico italiano (int. 6)31. Anche nella realtà "micro" sembrerebbe dunque riprodursi la scissione tra tedesco e italiano che la realtà "macro" esemplifica.

Gli intervistati notano come le offerte e strutture culturali delle città, che potrebbero giocare un ruolo importante nell'avvicinamento dei due gruppi linguistici, non facciano che aumentare le distanze a causa della loro suddivisione: un cinema tedesco e uno italiano, una biblioteca tedesca e una italiana, un centro giovanile tedesco e uno italiano.

 

Come avvicinarsi? Come incoraggiare e stimolare l'interazione e il contatto tra gli altoatesini italiani e tedeschi? Nel corso delle interviste sono emerse varie proposte che riflettono principalmente due posizioni. Un piccolo gruppo di intervistati punta soprattutto sull'organizzazione di eventi extra-scolastici, mentre lascerebbe invariato il sistema scolastico proponendo unicamente qualche progetto di scambio o gemellaggio tra scuole. Uno di essi afferma ad esempio che non vorrebbe "che fossero mescolate" le tre culture della provincia e che perciò il sistema scolastico non andrebbe "toccato" (int. 12)32.

Un gruppo più ampio sottolinea invece la necessità di cambiamenti più consistenti. A loro parere, per fare avvicinare i gruppi linguistici e arrivare a una conoscenza effettiva dell'altra lingua e cultura, non bastano degli interventi isolati. Servirebbero, invece, cambiamenti più incisivi che mirino non solo a un pacifico vivere a fianco a fianco, ma a uno scambio effettivo che possa col tempo portare a una reale convivenza dei due gruppi linguistici. Vengono ritenuti necessari dei cambiamenti che, pur non modificando le basi dell'attuale ordinamento istituzionale, possano portare a innovazioni importanti. Si parla di progetti di immersione a partire della scuola materna (int. 7)33 e riemerge soprattutto la richiesta di una scuola bilingue che possa permettere a chi sceglie di frequentarla di immergersi realmente non solo nell'altra lingua, ma anche nel mondo di chi la parla. Particolarmente interessante è la posizione di un intervistato che, visualizzando l'Alto Adige come incastrato in un circolo vizioso di "argomentazioni etniche", propone una scuola tri-lingue che permetterebbe il passaggio a una politica di "incoraggiamento alla moltitudine linguistica" e il superamento "di quella storia dell'identità etnica" (int. 2)34.

Altro punto importante che meriterebbe di essere approfondito, ma al quale accenneremo solo brevemente in questa sede, è il tema della storia dell'Alto Adige e delle conoscenze che le persone e soprattutto le nuove generazioni ne hanno. Molti intervistati lamentano il fatto che la storia dell'Alto Adige viene affrontata in modo asimmetrico. Sarebbero solo le scuole di lingua tedesca, spesso con una buona dose di patriottismo, a soffermarsi sugli eventi accaduti in provincia dopo l'annessione all'Italia. Nella scuola di lingua italiana, invece, il programma scolastico di storia sembrerebbe essere rimasto il medesimo delle altre regioni italiane e dunque non prevedrebbe alcun approfondimento della storia locale (int. 10)35. Secondo i nostri intervistati bisognerebbe dunque offrire un'informazione migliore sugli avvenimenti che hanno realmente avuto luogo per permettere di ricostruire un racconto degli eventi del passato sul quale ci sia un buon grado di accordo e questo nel pieno rispetto di opinioni e vissuti che possono essere molto diversi (int. 12, 2)36. Solo grazie all'ascolto e al confronto si potrebbe arrivare ad una maggiore consapevolezza del punto di vista dell'altro e pertanto a un'apertura diversa - con meno timori e pregiudizi.

In questo senso alcuni intervistati propongono idee che riguardano non solo l'insegnamento della storia e della L2 con il rispettivo programma scolastico, ma anche la possibilità di una maggiore comunicazione e collaborazione tra scuole di lingua italiana e tedesca (int. 15)37. Si parla di serate di discussione, di traduzioni di testi storici che tuttora non sono disponibili in tutte e due le lingue, di progetti mediatici dove con l'aiuto di nuovi mezzi di comunicazione si potrebbe cercare di informare i ragazzi (e la popolazione in generale) in modo più equilibrato ed oggettivo (int. 3)38.

 

Dividere per convivere? Colpisce la frequenza con la quale gli interlocutori, soprattutto di lingua tedesca, citano l'enunciato di Zelger39, affermando che il suo pensiero del "Je mehr wir trennen, desto besser verstehen wir uns" (trad.: "Tanto più ci separeremo, tanto meglio ci comprenderemo")40 è tuttora molto presente. Molti sono convinti che, nonostante in superficie sia percepibile un'apertura maggiore, in tanti altoatesini rimanga radicata la convinzione della necessità di dividere i due gruppi linguistici. Questo Diktat degli anni '50 avrebbe profondamente influenzato il modo di pensare degli altoatesini, tanto da farli temere il contatto troppo ravvicinato.41 Il messaggio "Mischkultur ist Mistkultur" ("Cultura mescolata è non-cultura", int. 2)42, dicono, risale a cinquant'anni fa quando ancora si cercava di proteggere il gruppo tedesco, ma oggi una tale ideologia non avrebbe più nessuna ragione di esistere. Secondo un intervistato, questi lunghi anni durante i quali le vite dei due gruppi linguistici proseguivano su due binari paralleli avrebbero fatto sì che i gruppi linguistici si vedano ancora oggi come molto diversi e questa visione, sempre presente "nella memoria collettiva", rischierebbe di ostacolare l'apprendimento delle lingue (int. 9).43

L'invito che emerge da queste interviste è di confrontarsi apertamente e reciprocamente su questi anni di co-abitazione per arrivare a una maggiore conoscenza dell'altro e pertanto a un'apertura diversa che, in un prossimo futuro, possa permettere una reale convivenza (int. 2)44.

 

Conclusioni

Quali sono dunque gli scenari evocati dalle interviste con questi osservatori privilegiati? Quali le visioni, le percezioni e le osservazioni sulla questione bilinguismo? Come auspicato, la scelta dell'intervista come strumento di ricerca, ha lasciato la maggior libertà possibile ad ognuno degli interlocutori per parlare degli argomenti ritenuti più importanti consentendo così di cogliere impressioni e percezioni tanto soggettive quanto pregnanti. Passando in rassegna punti di vista così ricchi e diversi tra loro, risulta impossibile dipingere un quadro unitario e completo di quanto emerso. Tanto meno si possono riassumere le esperienze raccontate riducendole a posizioni contrapposte nella logica manichea del tutto bianco o tutto nero. Senza dubbio, testimonianze tanto variegate descrivono al meglio una situazione tanto complessa quanto quella altoatesina.

Solamente le risposte alla domanda iniziale sono riassumibili in un unico parere: il disaccordo rispetto alla 'visione ideale' dell'Alto Adige come realtà bilingue è, infatti, generale. Dopo la chiara negazione di questo assunto però le posizioni si dividono. La critica di alcuni è rivolta al singolo, alla sua mancanza di motivazione e d'impegno, all'uso diffuso del dialetto sudtirolese e in parte anche all'insegnamento linguistico. Questi ostacoli all'apprendimento della L2 sono invece considerati 'apparenti' da molti degli intervistati e vengono visti come gli effetti, i 'sintomi', di un sistema istituzionale diviso per lingue. Si descrive, infatti, la Provincia di Bolzano come realtà paradossale che comprenderebbe due mondi che viaggiano su binari paralleli ben distinti, dove l'uno non entra abitualmente in contatto con l'altro.

Partendo dal presupposto che la relazione con l'altro gruppo linguistico e l'apprendimento della L2 vanno di pari passo, la situazione di non-contatto – che, seppur con accezioni diverse, viene descritta da tutti gli interlocutori - fa riflettere.

Se l'aspirazione in Provincia di Bolzano è il bilinguismo bisognerà interrogarsi su questi mondi paralleli, sulla macrorealtà (istituzionale) che si riflette nella microrealtà (relazionale). Tutti gli intervistati si trovano d'accordo sulla necessità di aumentare il contatto tra i gruppi linguistici, le loro posizioni si distinguono invece rispetto al tipo di vicinanza auspicata. Il timore che l'avvicinamento intergruppo possa mettere a rischio lo statuto di autonomia è ancora presente in alcuni, mentre altri vedono spazio per innovazioni intese non come delle sostituzioni a qualcos'altro, ma piuttosto come delle aggiunte, degli arricchimenti che possano contribuire a scalfire l'immobilità e la distanza.

Nella loro analisi della situazione altoatesina, gli osservatori privilegiati non descrivono né un clima di ostilità, né di accusa reciproca tra i gruppi linguistici. Se continua a sussistere una situazione di separazione, sottolineano, questo accade unicamente perché il messaggio istituzionale e politico la alimenta. L'immagine che essi dipingono è piuttosto quella del "non contatto", della mancanza di confronto, della difficoltà di avvicinamento e dunque di una scarsa conoscenza dell'altro. La responsabilità delle mura invisibili non sarebbe dunque da attribuire alle persone, bensì da rintracciare nella divisione dei due gruppi a livello scolastico e istituzionale.

Le informazioni emerse e i nodi tematici affrontati durante le interviste sono stati ripresi in un secondo momento per costruire dei questionari che sono diventati, assieme ad alcuni test di accertamento linguistico, il principale strumento di indagine del progetto Kolipsi: gli studenti altoatesini e la seconda lingua, condotto da EURAC in collaborazione con il DiSCoF di Trento45. Lo scopo dell'iniziativa è quello di fotografare le competenze della L2 di un campione di studenti di lingua italiana e tedesca della provincia e di illustrare il contesto psico-sociale in cui essi crescono e si affacciano alla seconda lingua. Per fare questo, studenti, genitori e insegnanti sono stati coinvolti in un'importante indagine questionaria al fine di metterne in luce opinioni, atteggiamenti ed emozioni che, una volta incrociati con i dati sulla competenza linguistica tout court, consentiranno di tracciare un quadro esaustivo dell'apprendimento della seconda lingua in Alto Adige e di quei fattori che lo favoriscono o, al contrario, che lo ostacolano. L'auspicio è che le sinergie createsi attorno al progetto Kolipsi con le intendenze scolastiche di lingua italiana e tedesca e con il corpo docente favoriscano il dialogo su questo tema, in modo da creare i presupposti per realizzare quelle proposte avanzate dagli osservatori privilegiati che realizzino una cultura della conoscenza dell'altro che permetta di giungere, se non a una comunità bilingue di fatto, a una comunità consapevole e rispettosa dell'altro dove la vicinanza sia sinonimo di opportunità e non di indifferenza.

 

Appendice

 

Intervistati46

 

Baur Siegfried, Professore di Scienze della formazione, Università di Bolzano

Braitenberg Zeno, Giornalista (RAI)

Debiasi Verena, Coordinatrice insegnanti L2 scuole medie italiane (intendenza scolastica)

Di Luca Gabriele, Insegnante di Italiano L2, scuola professionale Brunico

Giudiceandrea Lucio, Giornalista (RAI)

Von Guggenberg Irma (Verdi), Direttrice dell'Istituto Comprensivo di Renon

Hell Enrico, Presidente dell'associazione genitori per il bilinguismo

Kasslatter Mur Sabina (SVP), Assessore Provinciale alla Cultura

Klotz Eva, Consigliere provinciale (Union für Südtirol)

Larcher Dietmar, Professore di Scienze dell'educazione, Università di Klagenfurt, Teheran, Trento

Mancini Ugo, Professore di Italiano L2, liceo linguistico di lingua tedesca

Niedermair Günther, Educatore, responsabile del centro giovani di Brunico (Ufo)

Pallaver Günther, Professore di Scienze politiche, Università di Innsbruck

Rizza Marco, Giornalista (Alto Adige)

Tisot Giuseppe, Professore di Italiano L2, scuola media di lingua tedesca

Urzì Alessandro, Consigliere Provinciale (AN)



NOTE



1 Il presente articolo riassume i risultati di uno studio preliminare, parte del progetto di dottorato in Scienze Cognitive e della Formazione condotto dall'autrice. Il lavoro si inserisce in un progetto più ampio, denominato Kolipsi, che l'Accademia Europea di Bolzano sta conducendo in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Cognizione e della Formazione dell'Università di Trento.

2 Le interviste erano di tipo semi-strutturato. Sottoforma di domanda aperta venivano introdotti e discussi una serie di temi con gli intervistati.

3 Cfr. la lista completa in appendice.

4 "Südtirol ist keine zweisprachige Realität, auf jeden Fall nicht flächendeckend. Das ist eine Wunschvorstellung und von der Seite einiger eine konstruierte Vorstellung." (int. 4)

5 "Oft handelt es sich um zwei Realitäten und nicht eine zweisprachige Realität." (int. 12)

6 "Es passiert also nicht das was eigentlich in einem zweisprachigen Gebiet passieren sollte, nämlich der Sprachentausch." (int. 2)

7 "Was Zweisprachigkeit angeht kann es zwei Ansprüche geben, das eine ist das passive Verständnis der jeweils anderen Sprache und das glaube ich ist in Südtirol sehr weit verbreitet. Wenn der Anspruch der ist eine aktive Kenntnis von beiden Sprachen zu haben im Land dann ist dort das Problem vielleicht mehr da." (int. 16)

"Echte Zweisprachigkeit gibt es nicht oder kaum; wenn man sie als eine perfekte Beherrschung von beiden Sprachen versteht sind es sicher nicht mehr als 10 Prozent." (int. 4)

8 "Auf einer offiziellen Ebene haben wir eine Visibilität dieser Zweisprachigkeit, weil sie ja eben Zweisprachigkeit im öffentlichen Sektor vorsieht. Was aber die direkten Akteure betrifft, nämlich die Bevölkerung des Landes, so würde ich mal sagen, aus der teilnehmenden Beobachtung, dass es hier große Defizite gibt." (int. 8)

9 "La situazione non è simmetrica tra i due gruppi linguistici […] qualsiasi quadro dirigente della società sudtirolese, intendo sudtirolese per dire di madrelingua tedesca, non solo i politici, non solo quelli che per professione parlano al pubblico, ma anche una buona fetta, la stragrande maggioranza della classe dirigente di chi occupa ruoli più alti nell'amministrazione, nelle ditte ed imprese, parla un italiano accettabile, mentre questo non avviene per la parte italiana." (int. 10)

"Per quanto riguarda il bilinguismo diffuso tra la popolazione, non credo si tratti di una terra bilingue nel senso di società bilingue, il gruppo linguistico tedesco lo è in parte, quello italiano quasi per niente." (int. 11)

10 "Diese Dominanz des Italienischen als Amtssprache hat dazu geführt, dass es einfach notwendig war. Wenn man in wirtschaftlicher und beruflicher Hinsicht weiterkommen wollte dann musste man diese Sprache lernen. Und heute hat sich das Ganze etwas gewendet das Blatt, heute wird es zunehmend wichtiger Deutsch und Englisch eben zu lernen und zu beherrschen und zu sprechen. Das hängt natürlich auch zusammen mit der neuen Dominanz des Deutschen, mit der Dominanz der deutschen Sprachgruppe." (int. 13)

"Alexander Langer hat in einer seiner Schriften über Südtirol schon Mitte der '80er Jahre vor einem so genannten Rückverdeutschungsprozeß gewarnt und gerade das ist auch geschehen und dieser Rückverdeutschungsprozeß ist noch nicht abgeschlossen." (Int. 13)

11 ASTAT (2004). Barometro linguistico dell'Alto Adige. Uso della lingua e identità linguistica in provincia di Bolzano. Provincia di Bolzano-Alto Adige: Istituto provinciale di statistica.

12 "Poi per quanto riguarda la conoscenza della seconda lingua negli insegnanti: spesso è molto scarsa. Il 50% degli insegnanti della scuola italiana vengono da fuori e non hanno o hanno una conoscenza molto scarsa della L2 che al di fuori della lezione stessa non sentono mai." (int. 3)

13 "Die Tatsache, dass sich Parallelwelten entwickeln liegt vor allem an der Sprachkompetenz und an der Trennung im Schulsystem – die Jugendlichen haben wenig Möglichkeiten sich zu begegnen, weil Freundschaften entstehen vor allem in der Schule […] weil die sich jeden Tag dort treffen und da entstehen Freundschaften, Liebe usw. Und solange solche Strukturen so ganz strikt getrennt aufrecht erhalten bleiben glaube ich werden auch diese Parallelwelten irgendwo verfestigt. Hier auszubrechen ist nicht sehr einfach, das haben die Jugendlichen in einer Befragung eigentlich selber – sie haben gemeint wenn man sich dessen bewusst ist dann ist das paradox, dass man hier irgendwie aneinander vorbeilebt und eigentlich von der Realität des anderen wenig weiß, nicht einmal den Namen." (int. 7)

14 "Una scuola in lingua italiana, dove si potesse fare il 50% dell'insegnamento in tedesco diventerebbe, a Silandro piuttosto che a Brunico, estremamente interessante anche per i cittadini di lingua tedesca." (int. 1)

"Ohne das Autonomiestatut jetzt antasten zu wollen sollte es auch die Möglichkeit geben das eigene Kind in eine zweisprachige Schule zu schicken." (int. 8)

15 "Quello che si chiede è che questa scuola italiana possa man mano adeguarsi all'ambiente in cui vive e quindi offrire un insegnamento sempre più aperto, sempre più bilingue, sempre più plurilingue in modo da avvicinare i ragazzi al normale, naturale uso della seconda lingua." (int. 1)

16 "Meine Wunsch wäre eine dritte Option als zusätzliches Modell: eine zweisprachige Schule. Für Kinder die aus gemischtsprachigen Familien kommen oder deren Eltern eine andere Vorstellung haben müsste es die Möglichkeit geben eine zweisprachige Schule zu besuchen." (int. 9)

17 "Die deutschen Kinder müssen vom Dialekt erst einmal ins Hochdeutsch eingeführt werden und dafür braucht es erfahrungsgemäß wirklich ein Jahr um das zu üben. In der Allgemeinheit in der 1.Klasse Volksschule italienisch zu unterrichten, das halte ich für verantwortungslos, weil es ist die Allgemeinheit – begabte und schwache Kinder – und da besteht wirklich die Gefahr, meines Erachtens, wenn das eben zu früh vermischt wird, das bleibt. Und dass sie nicht mehr das notwendige Sprachgefühl und die Sprachsicherheit in einer Sprache entwickeln, sie haben dann, so wie mir das ein Linguist, ein Professor und einige Luxemburger bestätigt haben die deswegen wieder auf ein anderes Modell zurückkommen, das führt nicht zur Zweisprachigkeit, zu Doppelsprachigkeit, sondern zu doppelter Halbsprachigkeit. Und das kann nicht unser Ziel sein weil das führt über kurz oder lang in die Italianität, in die Altoatesinisierung" (int. 4)

18 "Die Erlernung einer zweiten, dritten und auch vierten Sprache ist nicht hinderlich für die bessere Kompetenz in der eigenen Muttersprache die natürlich für die deutsche Sprachgruppe hier als Minderheit auf Staatsgebiet sehr wichtig ist, aber ich denke ich kann beides zeitgleich verfolgen, sowohl die Stärkung der Identität durch die exzellente Muttersprachkompetenz als auch parallel dazu das Erwerben der Zweit - wie es bei uns so schön heißt - und mehrerer anderer Sprachen." (int. 12)

"Man müsste viel früher mit Sprachförderung beginnen. Die Hinführung zur Hochsprache müsste bereits im Kindergarten erfolgen, nicht erst in der Grundschule! Also nicht unbedingt Zweitsprache im Kindergarten sondern auf jeden Fall Hochsprache. Von vielen Linguisten ist bestätigt worden, dass die Förderung von Mehrsprachigkeit ein höheres Sprachbewusstsein entwickelt." (int. 9)

19 "A scuola mi viene insegnata una lingua, quando vado fuori dalla scuola ce n'è un'altra. E siccome una lingua la si impara mettendola in gioco, ma qui l'italiano a scuola sente 'gehen', 'kommen' e poi quando va fuori sente 'gian', 'kemmen' allora non ha la possibilità di metterla in gioco, non ha la possibilità di spenderla e quindi di crescere, di ricevere conferme o smentite ai suoi atti comunicativi e quindi di selezionare quelle parti della lingua che vanno bene e quindi crescere nelle sue competenze linguistiche. A scuola viene insegnato il tedesco standard, mentre nella società viene parlato il dialetto" (int. 10).

20 "Mit dem Dialekt wird deutlich signalisiert: wir lassen uns nicht ein auf euch, wir verweigern euch die sprachliche Empathie. (...) Südtiroler möchten vielleicht gar nicht verstanden werden, sie möchten ihre Geheimsprache haben. Das ist so ähnlich – mich erinnert es an die Japaner – die Japaner, sie mögen es schon wenn man sich bemüht japanisch zu lernen aber sie werden ganz sauer wenn man es wirklich so gut kann dass man sie wirklich versteht. Das ist für Japaner fast wie eine Bedrohung, da verlieren sie ihren Schutz. Ein bisschen ähnlich, ein bisschen ähnlich sag ich jetzt mal, seh ich es auch in Südtirol." (int. 2)

21 "La percezione che i tedeschi stessi hanno del dialetto loro è ancora per molti versi cifrata su una percezione della propria identità come qualcosa da custodire gelosamente o come qualcosa di fondamentalmente intraducibile. Cioè, il dialetto aderisce completamente ad una forma di vita che non è pensata per essere condivisa da chi in questo dialetto non è nato. Quindi in questo modo esprime diciamo una refrattarietà ad essere appreso dagli altri e questo alla fine si ritraduce un po' a livello di pregiudizio, anche molto a livello di pregiudizio in ostacolo all'apprendimento anche della lingua standard." (int. 5)

22 "Die Desi-Untersuchung […] wir liegen ganz deutlich im Mittelfeld. Es gibt keinen sprachlichen Notstand hier, wir sprechen nicht weiß Gott wie schlechter Deutsch und schreiben es auch nicht weiß Gott wie schlechter wie eben in bestimmten ländlichen Gebieten der Bundesrepublik. Das ist ein ganz wichtiges Ergebnis das man dann eigentlich auch gar nicht so gewaltig hinausposaunt hat." (int. 13)

23 "È un fatto abbastanza diffuso che se un parlante tedesco sudtirolese e un parlante italiano che anche ha una buona conoscenza del Hochdeutsch parlano insieme si scelga prevalentemente l'italiano e quasi mai si scelga il tedesco standard che probabilmente per tutti e due è sentito come lingua straniera e quindi non viene scelto[…] Soprattutto se chi parla il tedesco sa abbastanza bene l'italiano credo sia meno distante da lui del Hochdeutsch che magari è vista come una lingua affettata o l'imitazione di comunque un modo di parlare che non appartiene alla familiarità del territorio. L'italiano è già paradossalmente più familiare del tedesco – e questo è sicuramente vero." (int. 5)

"Die Wahrnehmung der italienischen Bevölkerung ist jene, dass der Dialekt von Seiten der deutschen Sprachgruppe als Abgrenzungsversuch benützt wird. Aber das kann zwar zum Teil stimmen, liegt aber meistens daran, dass viele Südtiroler die Hochsprache nicht gut beherrschen." (int. 9)

24 Gardner, R. and W. Lambert (1972) Attitudes and Motivation in Second-Language Learning. Rowley, Ma.: Newbury House.

25 "Die Begegnung, der Tausch, von Kind zu Kind, von Jugendlichen zu Jugendlichen wird nicht durch die Schule gefördert, sondern eher behindert und das halte ich für einen Nachteil." (int. 2)

26 Questo tema è stato espresso nel corso di tante interviste ed è stato affrontato in parti troppo lunghe per riportarle per intero (int. 15, 9, 3, 14, 6, 1).

27 "Das hängt allein von den Italienern, von jedem Einzelnen ab. Wer sich integrieren will, kann sich integrieren – das fängt an beim Sprechen auf der Strasse. Das kann jeder selber, dazu braucht es keine Schule und keine politische Partei. Das fängt beim eigenen Willen an. In dem Moment in dem er soviel Sprache beherrscht, dass er ein Tiroler Buch oder ein Geschichtebuch lesen kann, einmal ein deutsches das keine Geschichtsfälschungen enthält, von mir aus die Schlernschriften oder irgendein wissenschaftliches Werk das nicht politisch gefärbt ist, dann müsste er eigentlich schon – wenn er das nicht von vornherein blockiert – müsste er sich automatisch integrieren wollen." (int. 4)

28 "Die Trennung ist für die Zweisprachigkeit natürlich nicht förderlich […] Institutionen haben Auswirkungen auf die soziale Wirklichkeit und die soziale Wirklichkeit besteht eben auch darin, dass es unsichtbare Mauern gibt. Und diese durchsichtigen Mauern bestehen offensichtlich." (int. 8)

29 "Ich sehe in Südtirol zwei Parallelwelten, Parallelwelten die zwar nebeneinander stehen und wo es immer wieder Interaktionen gibt, aber wo man auch immer wieder feststellen kann, dass da eigentlich die verschiedenen Sprachgruppen ziemlich parallel für sich leben. (…) Für mich ist das Ganze stark geprägt durch das getrennte Schulsystem, den Jugendlichen werden wenig Möglichkeiten geboten um in Kontakt treten zu können. Das war auch schon in einer Studentengruppe aus Salzburg so die hier eine Untersuchung zu diesem Thema gemacht haben und mit den Jugendlichen gesprochen haben. Die Jugendlichen haben gesagt, und da waren die aus Salzburg ziemlich erstaunt, dass sie einfach niemanden kennen von der anderen Sprachgruppe, weder mit Vornamen, noch mit Familiennamen, geschweige denn besser kennen. Also das bestätigt mich ein bisschen in der Auffassung, dass es eben Parallelwelten sind. Jeder lebt in seiner Sprachgruppe aber es gibt wenig Verbindungsstellen." (int. 7)

30 "Es gibt noch viel zu wenig Austausch zwischen den Sprachgruppen im außerschulischen Bereich. Wenn ich mir hier die Landeshauptstadt anschaue: die kulturellen Vereine sind nach Sprachgruppen getrennt, die Sportvereine sind nach Sprachgruppen getrennt." (int. 12)

31 "È tutto diviso, c'è il bar dove vanno solo gli italiani e quello dove trovi unicamente tedeschi. La stessa cosa succede con altri luoghi di aggregazione." (int. 6)

32 "Ich bin der Meinung wir haben im außerschulischen zu beginnen, es ist das Recht einer Sprachgruppe eine Schule in ihrer Muttersprache geführt zu kriegen bevor wir nicht im außerschulischen dazu in der Lage sind brauchen wir die Schule nicht anzutasten." […] Der Italienisch- und Deutschunterricht sollte verbessert werden, aber die Hauptverantwortung liegt im Elternhaus, in den Familien selbst sollten Dinge offener und vorurteilsfreier angegangen werden, die Politik hat die Aufgabe vertrauensbildende und nicht misstrauensbildende Maßnahmen zu setzten, aber ich stehe zu den 3 Kulturen im Land und ich möchte sie auch nicht vermischt haben." (int. 12)

33 "Ich denke das Ganze müsste schon vor der Schule anfangen, schon im Kindergartenbereich, Spracherlernung ist je früher desto besser und ich glaube auch umso unkomplizierter." (int. 7)

34 "Dreisprachige Schulversuche in Bozen halte ich für sehr gut. Alles was herausführt aus dieser Dichotomie des hier Deutsch und hier Italienisch – denn das hat unvermeidlicherweise sofort diesen ethnischen Beigeschmack. Da ist in Südtirol einfach durch die konfliktreiche Geschichte bedingt, dass man da aus diesem Teufelskreis kaum rauskommt. In dem Moment wo man irgendwas forciert oder begünstigt gibt es sofort ethnische Argumentationen. Wenn man aber eine dritte Sprache einführt dann gibt es ein Dreiecksverhältnis, dann entsteht nicht diese Konfrontation entweder oder sondern es wird von vornherein klargestellt, dass das ein Konzept ist in dem Sprachenvielfalt gefördert wird und der Akzent geht weg vom Ethnischen, von dieser Geschichte der ethnischen Identität." (int. 2)

35 "Quindi, quello che è insufficiente non è solo la competenza linguistica, ma anche la competenza storica, le conoscenze che l'italiano ha sulla propria storia." (int. 10)

36 "Es ist wichtig sich mit der Geschichte auseinanderzusetzen die in den deutschsprachigen Familien auf eine Art, und in den italienischsprachigen auf andere Art präsent ist. Es wäre zuviel verlangt von einer Gesellschaft über Nacht da drüberzusteigen. Südtirols Bevölkerung sollte sich mehr als in der Vergangenheit mit der Zeitgeschichte auseinandersetzen, im Landesarchiv wird in diese Richtung hingearbeitet. Das Ziel ist eine Sicht aufs Ganze zu gewinnen, Vorurteile abzubauen, von beiden Seiten, um unbefangener aufeinander zuzugehen und sich nicht irrgläubig irgendwelchen Lehren anzuschließen, sondern selbst hautnah zu prüfen was denn nun dran ist an der ganzen Geschichte." (int. 12)

"Mir kommt vor, dass in Südtirol zwei Geschichtsbilder existieren, zumindest zwei. Ein Minimum wäre, dass man für die letzten – jetzt werden's schon bald hundert Jahre – hundert Jahre Geschichte ein gemeinsames Geschichtsbuch entwickelt. Und dass Lehrerinnen und Lehrer die Geschichte unterrichten ein gemeinsames Geschichtsbild haben, dass es nicht diese Geschichte und jene Geschichte gibt." (int. 2)

37 "Geschichte sollte das Hauptfach des Immersionsunterrichts sein, ist aber immer noch ein Tabuthema. Dabei sollte gerade in diesem Fach die Geschichte des Landes in beiden Sprachen, mit unterschiedlichen Darstellungen, Positionen, Heldenfiguren besprochen werden." (int. 15)

38 "Noi dobbiamo lavorare molto sulla conoscenza interculturale, i gemellaggi, gli scambi, la conoscenza dell'altro e della sua storia per far cadere i pregiudizi. [...] I condizionamenti storici sono ostacoli all'apprendimento sereno della seconda lingua." (int. 3)

39 politico SVP, assessore provinciale all'istruzione fino all'88

40 www.alexanderlanger.org/cms/index.php?r=1&k=162&id=715 - 20k

41 "Ja, das ist die politische Doktrin die meines Erachtens nach noch auf den damaligen Kulturlandesrat Zelger zurükkgeht der gesagt hat "Je mehr wir trennen, desto besser verstehen wir uns". Von dem her hat es sich dann einfach so strukturiert, dass es eine ganz klare Trennung gibt und das zeichnet sich irgendwo weiter." (int. 7)

42 "Es herrscht immer noch dieses Diktum "je mehr wir trennen desto besser verstehen wir uns" und "Mischkultur ist Mistkultur". Diese Ideologie war in den 50-er Jahren noch verständlich, müsste aber heute längst ausgedient haben. Sie ist unterschwellig noch da und wenn es um Bildungsinstitutionen geht ist sie sogar noch dominant, immer noch. Die Begegnung, der Tausch, von Kind zu Kind, von Jugendlichen zu Jugendlichen wird nicht durch die Schule gefördert, sondern eher behindert und das halte ich für einen Nachteil." (int. 2)

43 "Durch die lange Trennung die einfach war, die in den ersten Jahren der Autonomie auch politisch angestrebt wurde, ist die Situation entstanden, dass die zwei Sprachgruppen jeweils nebeneinander gelebt haben, man hat versucht alles auf zwei Schienen laufen zu lassen. Der Beleg dafür ist, dass es ein italienisches Assessorat für Kultur und Schule und parallel dazu ein deutsches gibt. Um die deutsche Sprachgruppe zu schützen hat man versucht das parallel laufen zu lassen. "Desto mehr wir trennen, umso besser verstehen wir uns". Das hat sich in den Köpfen so festgefahren. Es gibt jetzt zwar mehr Offenheit, aber unter der Oberfläche, im kollektiven Gedächtnis der Sprachgruppen, gibt es noch diese großen Unterschiede die dann immer wieder hochkochen (…) es ist im Unterbewusstsein der Bevölkerung immer da und das kann jederzeit mobilisiert werden. Wir haben den Idealzustand noch lange nicht erreicht und das hindert natürlich auch das Sprachenlernen." (int. 9)

44 "Solange das Umfeld nicht stimmt, solange die äußeren Umstände nicht stimmen, solange die Versöhnung der beiden Sprachgruppen nicht passiert, solange Grundsätze wie "je besser wir trennen desto besser verstehen wir uns" den latenten heimlichen Lehrplan eines Landes bestimmen wird es sehr sehr schwierig sein da irgendwelche Verbesserungen zu machen. Da nützt die Zahl der Stunden [Zweitsprachunterricht] nichts." (int. 2)

45 Responsabili del progetto: Andrea Abel e Chiara Vettori (Eurac) e Maria Paola Paladino (Università di Trento)

46 L'ordine con il quale sono state numerate le interviste nell'articolo non corrisponde all'ordine dei nomi in elenco.