IL CRISTALLO, 2008 L 1 [stampa]

I LINGUAGGI DEI SEGNI IN USO TRA I SORDI: CENNI DI LINGUISTICA E STORIA

di MIRCO MAGNANI

1. Premessa

 

Fino a non molti decenni fa i linguaggi dei segni in uso tra i sordi non erano considerati dei linguaggi a tutti gli effetti e non godevano di molta attenzione da parte dei ricercatori.

Recenti studi hanno invece dimostrato che i linguaggi dei segni costituiscono in tutto e per tutto dei sistemi linguistici evoluti e complessi, dotati di proprie strutture, regole e potenzialità espressive. Di qui il confronto con i linguaggi verbali e la dimostrazione scientifica delle grandi somiglianze, sia per quel che riguarda la struttura, sia per quel che riguarda i processi di acquisizione e le funzioni neurolinguistiche, con gli stessi linguaggi verbali.

I linguaggi dei segni divengono in questa maniera molto importanti per la ricerca linguistica in quanto se da un lato confermano l’ipotesi che tutti i linguaggi umani siano caratterizzati da alcune specifiche e precise proprietà, dall’altro aprono la strada a nuove ipotesi e ricerche che altrimenti non sarebbe stato possibile né porre, né avviare.

In particolare destano grande attenzione i linguaggi dei segni naturali, ovvero quelli che si sviluppano spontaneamente nelle comunità di non udenti e che vengono trasmessi da generazione a generazione di sordi.

 

2. Particolarità dei linguaggi dei segni

 

I linguaggi dei segni naturali sono dei sistemi di linguaggio visuale-spaziale, complessi e completi, utilizzati dai sordi al fine di comunicare tra di loro e con il resto del mondo. Essi rappresentano per molti sordi la madrelingua.

Non possiedono caratteristiche in comune con la lingua verbale del paese in cui si sviluppano e non ne sono in nessun modo la rappresentazione mimico-gestuale. Molte persone commettono inoltre l’errore di credere che i linguaggi dei segni si basino solamente su segni e gesti: ciò non è assolutamente vero. I segni ed i gesti costituiscono solamente una componente di un sistema complesso nel quale anche le espressioni ed i movimenti facciali, così come l’uso dello spazio adiacente a chi ne fa uso, rivestono grande importanza al fine della comunicazione.

Proprio come nel mondo dei linguaggi verbali, anche nel mondo dei linguaggi dei segni, le lingue si sviluppano in seno a comunità specifiche e non possono essere considerate universali. Come esistono madrelingue, così esistono lingue straniere con interferenze, prestiti e calchi linguistici anche nel mondo dei linguaggi dei segni. Per esempio l’American Sign Language differisce completamente dal British Sign Language, mentre invece possiede alcuni segni in comune con l’antico linguaggio dei segni francese, in quanto un sordo francese, Laurent Clerc, fu uno dei primi insegnanti per sordi negli Stati Uniti nel diciannovesimo secolo.

Se non esiste un linguaggio dei segni universale, esiste però un linguaggio dei segni sviluppato più o meno artificialmente dalla Federazione Mondiale dei Sordi chiamato Gestuno. Tale linguaggio non può essere considerato un linguaggio a tutti gli effetti, bensì costituisce più che altro un insieme di segni universalmente riconosciuto utilizzato in occasione di incontri internazionali. Proprio come avviene nel campo della lingue verbali per l’Esperanto, anche il linguaggio Gestuno non viene utilizzato da nessun sordo come propria madrelingua, né viene recepito come potenzialmente tale. Esiste in Europa anche una sorta di lingua franca in via di sviluppo, nata come conseguenza dei frequenti contatti e della grande mobilità, la quale può essere considerata un linguaggio dei segni di tipo creolo e che alcuni studiosi chiamano "linguaggio dei segni internazionale". Va comunque sottolineato il fatto che sia il linguaggio Gestuno, sia "il linguaggio dei segni internazionale europeo" non possono essere considerati dei veri e propri linguaggi naturali in senso linguistico.

Come già accennato, le lingue dei segni sono dei sistemi linguistici complessi, dotati di proprie grammatiche altrettanto complesse. A differenza dei linguaggi verbali, i quali scaturiscono da sequenze di fonemi, i linguaggi dei segni sono caratterizzati dalla presenza contemporanea e stratificata di diversi elementi. In aggiunta a ciò vi sono diversi studi che mettono in evidenza l’esistenza di una struttura di base simile per tutti i linguaggi dei segni.

Tale proprietà, oltre a costituirne una caratteristica ben precisa, ne rende particolarmente interessante lo studio per le grandi potenzialità ad esso intrinseche ma anche al tempo stesso particolarmente difficile l’apprendimento per i normali udenti.

Vediamo ora con più precisione alcune delle fondamentali caratteristiche delle lingue dei segni, le quali sono state recentemente supportate da analisi e dimostrazioni scientifiche inerenti ai campi delle strutture linguistiche, delle modalità di acquisizione delle lingue, della neurolinguistica e della cultura sordomuta. Per tale panoramica si fa riferimento in primo luogo allo studio di Wendy Sandler e Diane Lillo-Martin (1999).

 

2.1 Particolarità della struttura dei linguaggi dei segni

 

I linguaggi dei segni possiedono precise caratteristiche sintattiche, morfologiche e fonologiche comparabili o perlomeno simili a quelle dei linguaggi verbali. Analizziamone più da vicino alcuni aspetti:

 

Aspetti sintattici

 

A livello sintattico si nota innanzitutto la presenza del fenomeno della recursiveness, ovvero della proprietà, comune tra l’altro a tutti i linguaggi umani, di creare un numero infinito di enunciati e di significati disponendo di un numero limitato di strutture. Ciò rende il potenziale espressivo della lingua praticamente infinito.

Importante da osservare è che tale recursiveness permette di creare strutture linguistiche che si vengono a collocare all’interno di altre strutture linguistiche, dando così vita a periodi subordinati, caratteristica tipica dei linguaggi complessi.

In passato si credeva che i linguaggi dei segni fossero solamente capaci di creare periodi coordinati tra loro e non subordinati. Tali convinzioni furono negate dagli studi compiuti da Liddell (1980), il quale osservò e dimostrò che i linguaggi dei segni si avvalgono di indicatori grammaticali non manuali come per esempio il movimento di ciglia e labbra. In aggiunta a ciò egli notò pure che la struttura delle frasi relative delle lingue dei segni e in questo caso particolare dell’American Sign Language differivano completamente da quelle dell’inglese per cui non era possibile effettuare un vero e proprio confronto speculare, mentre invece precedentemente si credeva che la stessa struttura organizzativa fosse valida per entrambi i tipi di linguaggio.

Un’altra convinzione errata era quella che voleva che i linguaggi dei segni non seguissero regole sintattiche per definire l’ordine delle parole all’interno delle frasi. Oggi studi effettuati da numerosi ricercatori dimostrano che esistono precisi ordini di parole e strutture subordinate all’interno dei periodi, i quali possono a loro volta venire modificati da regole grammaticali.

Di grande interesse è stato anche l’interrogativo riguardante il fatto se i linguaggi verbali aderiscano o no alle categorie dei restrittori grammaticali ipotizzate dalle teorie delle Grammatica Universale, i quali rappresentano caratteristiche fondamentali della capacità innata di linguaggio umana. Ci si chiese se questi restrittori, ovvero la conoscenza innata di regole grammaticali e l’altrettanto innata capacità di utilizzarle, esistano anche nei linguaggi dei segni. Dati alla mano, si può oggi dimostrare che tali restrittori siano applicabili a diverse categorie sintattiche dell’American Sign Language e che ciò valga anche per altri tipi di linguaggi dei segni. Per cui anche in questo caso i linguaggi dei segni possiedono le medesime proprietà degli altri tipi di linguaggi naturali.

 

Aspetti fonologici

 

I linguaggi verbali utilizzano una serie di suoni per pronunciare le parole, mentre invece i linguaggi dei segni utilizzano una successione di segni. Dato che i linguaggi dei segni e quelli verbali vengono prodotti e percepiti da diversi sistemi fisici, quello visuale-spaziale e quello audio-orale, si potrebbe credere che in questo settore vi siano grosse differenze. Invece potrà sicuramente sembrare strano, ma proprio in questo campo esistono le maggiori somiglianze tra linguaggi verbali e linguaggi dei segni.

Nel 1960 uno studioso statunitense, William Stokoe, dimostrò che i segni dell’American Sign Language non sono un insieme di gesti olistici, bensì costituiscono una combinazione di tre importanti fattori linguistici: la forma della mano, il luogo ed il movimento. Cambiando uno di questi fattori cambia anche il significato del segno prodotto. Per cui, proprio come nelle lingue verbali, è sufficiente cambiare un elemento di per sé insignificante e per questo riconducibile ai suoni delle lingue verbali, per distinguere una parola da un’altra.

Tale scoperta si rivelò di grande importanza. Infatti dimostrò che i segni fondamentalmente non differiscono dalle parole, che non si limitano ad essere delle semplici rappresentazioni iconiche di azioni, che possono avere significato arbitrario e che possiedono una sub-struttura.

Stokoe scoprì anche la presenza del duality of pattering, una caratteristica di tutti i linguaggi,

tra il livello di significato (morfemi, parole, frasi) e il livello di non-significato (tono, enfasi, ecc.). Come ben sappiamo, gli elementi del livello di non-significato fonologici dei linguaggi verbali possono variare in base ai contesti e assecondano restrittori riguardanti la combinazione tra morfemi e parole. Allo stesso modo anche la fonologia dell’American Sign Language è caratterizzata da restrittori riguardanti i tre tipi di segni, i quali sono comparabili al sistema di vocali-consonanti dei linguaggi verbali, e da cambi espressivi sistematici in base al contesto. Inoltre, così come alcune sillabe sono impronunciabili, alcune sequenze di segni sono impossibili o inesistenti all’interno del linguaggio dei segni.

Stokoe dimostrò poi che sia i linguaggi verbali che quelli dei segni possiedono meccanismi di assimilazione nel prendere in prestito suoni di altre parole o, a seconda dei casi, elementi visuali-spaziali come la forma della mano, il luogo o il movimento.

Per quel che riguarda la prosodia (la quale incide sia sulla sintassi che sulla fonologia mediante il ritmo, la preminenza, l’intonazione, ecc.), si è scoperto che anche i linguaggi gestuali possiedono un suo equivalente. Infatti mentre le lingue orali utilizzano l’intensità della voce, le pause ecc., i linguaggi dei segni usano le espressioni facciali, le posture del corpo e particolari strategie ritmiche con analoghe funzioni ed effetti.

Lo stesso uso delle espressioni facciali risulta essere di diversa natura: mentre i "normali parlanti" le utilizzano in maniera prevalentemente emozionale, esse assecondano un uso sistematico nei linguaggi dei segni, in quanto possiedono valenza grammaticale. Se l’intonazione verbale usata differisce in base al tipo di domanda posto, lo stesso può avvenire per le espressioni facciali nei linguaggi dei segni.

 

Aspetti morfologici

 

La maggior parte delle lingue possiede sia parole semplici che parole composte. Quasi sempre utilizziamo la lingua senza essere pienamente consapevoli del suo funzionamento, ma il fatto che la usiamo correttamente dimostra che conosciamo inconsciamente le regole che la caratterizzano. Prefissi, suffissi, desinenze ecc. modificano la struttura interna delle parole e le conferiscono quella struttura che è tipica dei linguaggi complessi.

Dopo una prima, superficiale osservazione, si potrebbe credere che le lingue dei segni abbiano solamente dei segni olistici, ognuno rappresentante un concetto più o meno unitario. Oppure si potrebbe pensare che le lingue dei segni abbiano significati solamente iconici e che ogni segno corrisponda ad una parola.

In realtà le lingue dei segni possiedono una notevole complessità morfologica. Indiscutibilmente l’origine di molti segni è iconica, ma al giorno d’oggi le strutture grammaticali controllano rigidamente le rappresentazioni.

Per esempio sono individuabili suffissi, prefissi, coniugazioni di verbi e una differenziazione tra verbi di stato e verbi di movimento. Sicuramente è interessante notare che quasi tutti i tipi di linguaggi dei segni presentano un tipo di coniugazione del verbo simile. Allo stesso modo numerosi linguaggi dei segni presentano un sistema verbale caratterizzato da una concordanza soggetto-oggetto (i verbi concordano per persona e numero con il loro soggetto ed il loro oggetto), la quale è reperibile anche in molti linguaggi orali.

Una caratteristica invece peculiare dei verbi dei segni è che differenti categorie di verbi partecipano al sistema linguistico in maniera diversa. In particolare i cosiddetti backwords verbs possiedono uno schema di concordanza opposto a quello usuale (per cui: oggetto-soggetto), altri verbi non vengono affatto concordati e altri ancora dipendono da specifiche locazioni.

Nei verbi di stato e di moto è stata invece rilevata una maggiore complessità, che non tutti i linguaggi verbali possiedono. In questo caso infatti, vi possono essere singoli segni (definiti "classificatori") che incorporano verbi, nomi ed altre categorie lessicali, le quali vengono a formare delle vere e proprie entità linguistiche, ovvero delle parole morfologicamente complesse. Anche tali forme sono reperibili in alcuni linguaggi verbali.

 

2.2 L’acquisizione dei linguaggi dei segni nei bambini

 

In passato le ricerche degli studiosi sono state caratterizzate da alcune ipotesi fondamentali

e da studi finalizzati alla loro dimostrazione:

1) se facenti parte dello stesso sistema cognitivo, i linguaggi verbali e dei segni dovrebbero venire appresi allo stesso modo, mentre invece, qualora appartenessero a sistemi cognitivi diversi, i modi di acquisizione dovrebbero essere ben distinti.

2) se l’acquisizione del linguaggio rappresenta lo sviluppo di una sorta di programma biologico innato comune, il linguaggio dei segni dovrebbe venire appreso alla stessa maniera di quello verbale.

Considerato ciò occorre comunque tener presente che la modalità d’apprendimento del linguaggio (audio-orale nel caso del linguaggio verbali o visuale-spaziale nel linguaggio dei segni) può avere un impatto diverso sullo sviluppo mentale del discente.

 

Recenti teorie e studi affermano che gli esseri umani sono geneticamente dotati di basi linguistiche. Ciò viene supportato dall’evidenza che i linguaggi presentano particolari somiglianze fra loro. Anche gli studi effettuati sull’acquisizione dei linguaggi dei segni sembrano confermare queste supposizioni.

Come già menzionato, le ipotesi avanzate in campo di acquisizione linguistica sostengono che i bambini apprendono il linguaggio automaticamente, inclusi ad aspetti non direttamente collegati agli impulsi che ricevono. Le ricerche condotte nel campo dei linguaggi dei segni confermano queste ipotesi: anch’essi vengono acquisiti con la stessa automaticità e sistematicità dei linguaggi verbali.

 

Particolare importanza ha rivestito lo studio dell’apprendimento del linguaggio dei segni da parte di bambini sordi figli di genitori sordi (i quali rappresentano solo il 5% dei bambini sordi totali), in quanto essi apprendono il linguaggio in condizioni paragonabili all’acquisizione della lingua verbale della maggior parte degli esseri umani. Proprio in questo settore è stato osservato che esistono grosse somiglianze nell’apprendimento dei diversi tipi di linguaggio.

Per esempio è stato notato che tutti i bambini passano attraverso le stesse fasi d’apprendimento del linguaggio rispettando più o meno gli stessi tempi. Malgrado le prime parole vengano formulate intorno all’undicesimo mese d’età ed i primi segni appaiano invece intorno al settimo mese di vita, vi sono elementi che lasciano comprendere che in realtà i linguaggi rispettano gli stessi tempi e le stesse fasi, con l’unica differenza che gli apparati che li producono si sviluppano in tempi leggermente diversi. Infatti, tutti i bimbi producono gesti che possono avere valenza comunicativa, con l’unica differenza che i gesti a carattere iconico vengono capiti dai genitori prima delle parole; questo avviene anche perché i meccanismi di articolazione manuale si sviluppano precedentemente a quelli verbali. Ciò dimostra che il ritardo della produzione verbale rispetto a quella gestuale è imputabile essenzialmente a meccanismi periferici piuttosto che ad un diverso tempo biologico. In poche parole è errato credere che il segno si sviluppi prima della parola a livello cognitivo, anche se la manifestazione vera e propria avviene in tempi diversi. A supporto di tale tesi sta anche il fatto che i bambini comprendono le parole prima di riuscire a pronunciarle: ciò dimostra che essi sono cognitivamente pronti a parlare prima di quando lo sviluppo dell’apparato fonico glielo permetta e che i segni compaiono prima delle parole essenzialmente per ragioni fisiologiche.

In altri settori non vi sono invece grosse differenze: la combinazione tra due parole o segni avviene intorno al diciottesimo mese d’età, la coniugazione del verbo si verifica negli stessi tempi e pure le basi linguistiche vengono generalmente fissate intorno al quinto anno d’età, per cui appare evidente che i progressi linguistici avvengono seguendo le stesse tappe per tutti i bambini e rispettando quelli che vengono definiti "tempi universali di acquisizione linguistica".

Si potrebbe obiettare che i segni, avendo spesso una origine iconica (forte corrispondenza tra segno e significato), possano limitarsi a tale matrice semplificando così i processi di acquisizione del linguaggio e riducendone la potenzialità cognitiva. È stato invece dimostrato che i bimbi sordi tendono a commettere gli stessi tipi di errore dei bambini parlanti confondendo per esempio i concetti di "io" e "tu", nonostante la forte iconicità del segno corrispondente. Lo stesso vale per elementi grammaticali ad origine iconica. Ciò dimostra che i bambini trattano di fatto i segni allo stesso modo delle parole e che l’arbitrarietà o astrattezza implicita alle parole vale anche per i segni. Lenneberg (1967) sottolinea l’esistenza di un "periodo critico" per l’acquisizione del linguaggio (intorno agli anni della pubertà), dopo del quale il cervello sembra perdere una sorta di elasticità che permette sia di apprendere più profondamente una seconda lingua, sia di riprendersi dall’afasia. Tale scoperta venne applicata anche ai bambini sordi con genitori udenti ed è stato dimostrato che tale "periodo critico" è universalmente valido. Infatti i bambini apprendono il linguaggio dei segni al meglio fino alla pubertà dopodiché è sì possibile apprendere un linguaggio, ma alcuni elementi grammaticali non vengono recepiti ed utilizzati allo stesso modo o con la stessa naturalezza. Anche nelle lingue dei segni pidgin i bambini dimostrano maggiori capacità di sviluppo e sistematicizzazione della lingua rispetto agli adulti. Quindi l’età di acquisizione del linguaggio è di fondamentale importanza per tutti i tipi di linguaggio e non solo per quelli verbali.

Oltre a ciò, sempre a sostegno delle tesi che ipotizzano l’esistenza di meccanismi linguistici innati e del fatto che comunque il cervello umano tenda a creare sistemi di comunicazioni complessi, è stato osservato che i linguaggi dei segni si comportano allo stesso modo di quelli verbali creoli, in quanto in entrambi i casi i bambini dimostrano innate capacità di sviluppo e regolarizzazione di linguaggi semplici fino a farli divenire linguaggi complessi a tutti gli effetti.

 

2.3 Implicazioni neurolinguistiche

 

La neurolinguistica studia la natura del linguaggio tentando di capire quali aree del cervello controllano le diverse componenti del sistema linguistico. Di solito si studiano a questo fine i casi di persone che abbiano riportato dei danni cerebrali. Anche questo campo di studio può fornire importanti informazioni riguardo le similitudini tra i linguaggi verbali e dei segni.

Diverse disfunzioni linguistiche mettono in rilievo la somiglianza del funzionamento dei linguaggi verbali e dei segni nella schematizzazioni cerebrali delle abilità linguistiche e spaziali. Infatti tutti i pazienti (udenti e sordi) che hanno riportato lesioni all’emisfero sinistro soffrono di afasia, pur mantenendo integre le abilità spaziali. I pazienti che invece hanno riportato danni nell’emisfero destro soffrono di disturbi legati al settore spaziale (si perdono, non localizzano, difficoltà nel disegnare, difficoltà nei rapporti spaziali, ecc.), ma il loro linguaggio non ne risente, né dal punto di vista verbale, né da quello gestuale. Infatti il loro utilizzo linguistico dello spazio e dei movimenti rimane inalterato. Ciò significa che, malgrado il linguaggio dei segni sia un tipo di linguaggio che utilizza lo spazio circostante ed i movimenti per realizzarsi, esso si colloca distintamente nell’emisfero sinistro del nostro cervello, laddove sono localizzate le funzioni linguistiche, e non dove risiedono le funzioni visuali e spaziali. Quindi la neurospecializzazione del linguaggio dei segni, ovvero della comunicazione, è determinata dall’operazione cognitiva compiuta e non dalla rappresentazione fisica che media tale operazione.

Tutto ciò evidenzia e prova al tempo stesso che il nostro sistema neurologico è predisposto per il linguaggio e che qualcosa all’interno della cognizione umana porta a sviluppare linguaggi complessi che tendono tramite l’evoluzione a staccarsi dalla comunicazione fisica al fine di produrre sistemi comunicativi via via sempre più complessi.

 

2.4 Aspetti letterali e culturali

 

Il linguaggio di ogni genere si evolve e trascende le semplici funzioni legate alla quotidianità ed alla comunicazione primaria.

Così, esattamente come nel caso dei linguaggi verbali, anche i linguaggi dei segni hanno sviluppato forme teatrali e poetiche. In particolare queste ultime si manifestano attraverso un uso particolare della forma delle mani, una maggiore fluidità di stile o l’eliminazione di movimenti transitori considerati inestetici. Le composizioni possono anche essere caratterizzate dalle forte presenza di alcuni segni base, dando così vita ad un effetto estetico simile alla rima o all’allitterazione della poesia verbale.

Le poesia del linguaggio dei segni, come quella verbale, può avere diverse funzioni: può essere descrittiva o epica, può avere finalità estetiche, ma anche avere significato o finalità politiche o satiriche, realizzando così usi caratteristici di linguaggi evoluti.

Il fatto che esista una poesia all’interno delle comunità di sordi segnala in primo luogo il desiderio e la capacità di utilizzare il linguaggio dei segni per l’espressione artistica ed in secondo luogo che il suono non è elemento indispensabile sia per la comunicazione che per la produzione artistica.

 

2.5 Osservazioni

 

Mentre i linguaggi verbali possono avere svariati tipi di sistema fonologico, sintattico e morfologico, i linguaggi dei segni presentano inspiegabili somiglianze fra loro (per esempio tutte le lingue dei segni coniugano i verbi allo stesso modo e dividono i verbi in quattro categorie). Si potrebbe infatti affermare che essi costituiscano per certi versi un unico tipo di linguaggio complesso con proprie regole, al quale praticamente nessun linguaggio verbale appartiene, che sostanzialmente non viola nessun principio della Grammatica Universale e che viene acquisito automaticamente dai bambini in età appropriata. È stato anche osservato che i bambini sordi che frequentano normali scuole per udenti e utilizzano in casa il linguaggio dei segni (Home Sign Language) sviluppano spontaneamente linguaggi dei segni sì elementari, ma che hanno caratteristiche simili agli altri linguaggi dei segni.

Da tutto ciò si evince che i linguaggi dei segni costituiscono un laboratorio perfetto per studiare alcune proprietà fondamentali del linguaggio umano a prescindere dalle sue modalità. Il loro studio potrebbe confermare l’esistenza di linguaggi universali, come per esempio sublivelli di struttura, sintassi e morfologia, al di sotto dei singoli concetti lessicali. Inoltre il fatto che l’acquisizione del linguaggio dei segni da parte dei bambini sia naturale, automatico e rispetti tempi naturali evidenzia una chiara predisposizione genetica comune per lo sviluppo di linguaggi complessi, il che pure confermerebbe l’esistenza di una struttura di fondo comune a tutte le lingue e a tutti gli esseri umani.

Considerato anche che,

- prima delle recenti ricerche sui linguaggi dei segni si credeva che caratteristiche come la grammatica e l’arbitrarietà appartenessero solo al linguaggio verbale,

- i linguaggi dei segni presentano caratteristiche sì molto particolari quali la tendenza alla strutturazione simultanea di diverse categorie linguistiche e costruzioni grammaticali con tratti linguistici ed iconici al tempo stesso, ma allo stesso tempo anche caratteristiche molto simili a quelle dei linguaggi verbali, appare evidente che i linguaggi dei segni possono fornire in futuro alla ricerca scientifica importantissime informazioni al fine di comprendere la natura del linguaggio umano di cui non si potrebbe altrimenti disporre.

 

3. Breve storia dei linguaggi dei segni e dell’educazione dei sordi

 

Abbiamo già detto che al giorno d’oggi i linguaggi dei segni sono considerati dei linguaggi a tutti gli effetti: ma non è sempre stato così. Per lungo tempo si ritenne infatti che i sordi fossero esseri umani incapaci di comprendere e per questo non dotati delle normali facoltà cognitive. A dire il vero, fin dall’antichità era stato notato che i sordi utilizzavano le mani per comunicare, ma non si era data grande importanza a questa capacità, dato che la capacità di linguaggio orale era considerata sinonimo e prerogativa di intelligenza.

Fino a circa tre secoli fa, nonostante alcuni interventi educativi documentati (come quello di Pedro Ponce de Leon alla fine del Cinquecento), i sordi erano vittime di grossi pregiudizi, tanto da essere considerati praticamente niente di più che degli stupidi per il fatto che non sentivano, non parlavano e non comunicavano. Lo stesso loro linguaggio, un linguaggio basato su gesti molto semplici, a forte origine iconica e se vogliamo dalle caratteristiche un poco bestiali, era considerato una sorta linguaggio inferiore, limitato alle più semplici necessità del quotidiano.

Nella seconda metà dell’Ottocento l’abate de l’Epèe, un religioso francese molto attivo nel campo dell’educazione di orfani ed emarginati sociali che lavorava a Parigi, notò che i sordi utilizzavano segretamente un rudimentale linguaggio per comunicare tra loro ed intuì la possibilità di svilupparlo.

Nacque così una prima lingua dei segni convenzionale, una sorta di francese segnato, la quale finalmente donava una certa dignità e sistematicità al linguaggio utilizzato dai sordi. Tale lingua prendeva come elemento centrale molti dei segni iconici utilizzati dagli allievi dell’abate de l’Epèe ed utilizzava una serie di segni inventati ex-novo per designare gli elementi lessicali sconosciuti e quelli grammaticali, i quali venivano più o meno calcati su quelli della lingua francese.

In pochi anni furono fondati i primi istituti per sordi basati sulla lingua dei segni dell’abate de l’Epèe e si osservò che i sordi imparavano velocemente essendo oltretutto fortemente motivati. In seguito venne fondato l’Istituto Nazionale dei Sordi francese nel quale venivano insegnate anche materie definite "nobili" quali la matematica, la storia, la filosofia, ecc.

La lingua sviluppata da l’Epèe così come gli istituti per sordi, ebbe un notevole impatto culturale ed un grosso successo, impressionò non poco l’opinione pubblica e si diffuse velocemente in Europa e nel resto del mondo. Di fatto la maggior parte delle lingue dei segni utilizzate oggi nel mondo derivano in qualche maniera dalla lingua dei segni creata dall’Epèe.

Con la nascita di un metodo di comunicazione nacque anche la consapevolezza che i sordi fossero persone cognitivamente dotate e per questo bisognose e capaci di un’istruzione ed un’integrazione sociale.

Successivamente si pensò di favorire l’integrazione sociale e culturale delle minoranze dei sordi all’interno della società degli udenti realizzando un metodo audio-orale per sordi, il quale è al giorno d’oggi diffusissimo e si basa sulla lettura delle labbra. Malgrado i vantaggi che esso assicura, va però sottolineato che tale metodo risulta particolarmente problematico per i sordi: la lettura di alcuni suoni non è distinguibile (per esempio le palatali, le velari e le dentali), la lettura è comunque faticosa e incompleta, l’emissione dei suoni è per i sordi difficoltosa, in quanto non possiedono punti di riferimento sonoro, ecc.

Sicuramente il Congresso Internazionale degli educatori dei sordi tenutosi a Milano nel 1880 rappresenta una tappa di fondamentale importanza. Esso si concluse al termine di accesi dibattiti e sancì la supremazia del metodo educativo audio-orale (definito anche metodo tedesco e di lì in poi italiano) sul metodo educativo mimico, ovvero quello basato sulle lingue dei segni. La decisione presa, ovvero la volontà di proibire l’uso dei segni nell’educazione dei sordi a vantaggio della lingua orale, rafforzò un indirizzo dell’educazione dei sordi comunque già notevolmente diffuso, specialmente in Europa, e che aveva dato risultati apparentemente validi.

In particolare si decise che: 1)il metodo orale doveva essere preferito a quello mimico; 2) l’uso simultaneo di parole e gesti doveva essere abolito; 3) l’insegnamento e l’istruzione dei sordi doveva avvenire nella maniera più possibile vicina a quello dei parlanti.

Tali decisioni vennero fortemente contrastate dai sordi presenti, ai quali tra l’altro non fu concesso il diritto di voto, ma furono comunque prese in buona fede e non possono essere considerate per allora come dei veri e propri errori. Ciò che invece fu un vero errore, fu di aver dato in seguito a tali decisioni una sorta di valore dogmatico e di non aver messo in discussione per lungo tempo la validità del metodo orale.

Indicatori di un qualche disagio emersero velocemente: nonostante fossero praticamente abolite le lingue dei segni sopravvivevano clandestinamente (la maggior parte degli educatori del tempo si lamentava del fatto che comunque i sordi continuassero ad utilizzare delle lingue ormai ufficialmente in disuso). Le lingue dei segni erano infatti ben volute dai sordi, i quali non volevano rinunciarvi. Inoltre, come ben sappiamo, è praticamente impossibile sopprimere una lingua che comunque viene condivisa da una comunità.

Negli anni Sessanta infine vi fu una netta inversione di tendenza: le scoperte di William Stokoe ed il movimento di affermazione della cultura dei sordi (comparsa e sviluppo del cosiddetto deaf pride) operarono una forte influenza restituendo ai linguaggi dei segni il prestigio e la dignità che loro spettano.

Al giorno d’oggi sono scomparsi molti pregiudizi nei confronti dei sordi, le lingue dei segni si evolvono e si moltiplicano (è stato calcolato che nel mondo esistono circa 160 differenti lingue dei segni), esiste una università per sordi (la Gallaudet University di Washington D.C) e molti sordi sono bilingui o bimodali.

Interessante notare che negli Stati Uniti l’American Sign Language viene studiato in diverse università, dove viene insegnato al pari delle altre lingue straniere e dove è anche possibile frequentare corsi riguardanti la cultura sorda.

Ancora più interessante è invece osservare che le lingue dei segni rappresentano lingue complesse la cui codifica è avvenuta in tempi estremamente recenti e di cui si conosce piuttosto precisamente sia la data che le modalità di nascita ufficiale. Quindi, a differenza delle lingue verbali, la cui nascita si perde invece nella notte dei tempi, esse sono per questo motivo in grado di fornire alla ricerca scientifica informazioni sull’origine e sullo sviluppo dei linguaggi di cui altrimenti non sarebbe possibile disporre.

 


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