IL CRISTALLO, 1985 XXVII 1 [stampa]

EVVIVA IL VERDI!

di UMBERTO GANDINI


IL TEATRO «GIUSEPPE VERDI», distrutto nel bombardamento aereo del settembre 1942.

Pare dunque che sia la volta buona: a oltre quarant'anni dalla distruzione del «Verdi» da parte delle bombe, Bolzano riavrà il suo teatro cittadino. Che si sia passati dalla fase delle lamentazioni e degli auspici a quella delle scelte operative è dimostrato dallo stanziamento di una notevole quantità di denaro più ancora che dall'aver finalmente trovato un posto ove costruirlo. L'incarico della progettazione è stato inoltre conferito a un illustre architetto - il professor Zanuso - che ha appena risolto a Milano un problema analogo, quello cioè di dotare il «Piccolo», teatro a gestione pubblica, d'una sala pari alla fama della compagnia e alla quantità di persone che accorrono a vederne le rappresentazioni.

L'esperienza dice però, a questo punto, che non bisogna farsi illusioni eccessive; la lentezza delle imprese edilizie pubbliche sta lì a dimostrare che il nuovo «Verdi», se «Verdi» ancora si chiamerà, non sarà pronto se non fra una decina d'anni.

Mezzo secolo dunque sarà trascorso dal giorno in cui la guerra distrusse l'edificio del passato a quello in cui aprirà le porte quello nuovo: mezzo secolo durante il quale il mondo è cambiato più che nel mezzo millennio precedente. Il teatro di domani non potrà e non dovrà perciò essere più quello di una volta, ma corrispondere a queste mutate condizioni, al vero e proprio sconvolgimento che anche la società d'una città di provincia come Bolzano ha subito nell'arco di dieci lustri.

Per certi aspetti è dunque un bene che un'opera pubblica come il teatro non sia edificabile sui due piedi, che la lentocrazia burocratico-amministrativa imponga i tempi lunghi, perché si potrà riflettere su ciò di cui la città ha effettivamente bisogno, in termini di spazio scenico, nelle sue attuali e nelle prevedibili future condizioni. E dal momento che siamo in fase di prima progettazione, è questo il momento di discuterne seriamente.

Il vecchio «Verdi» era una struttura pubblica tipica d'una società di provincia ottocentesca, quando non solo un agglomerato urbano delle proporzioni dell'odierna Bolzano - sui centomila abitanti - ma anche quelli di dimensioni assai più ridotte (diciamo dai 15-20 mila in su), ruotavano attorno a tre edifici fondamentali: il duomo, il municipio e il teatro, spesso affacciati sulla stessa piazza o quanto meno collocati in quello che oggi si denomina il centro storico. Molte città avevano il loro teatro già da prima, nel senso che s'era provveduto fin dal '700 se non addirittura in epoche anteriori. Ma è l'Ottocento (dopo l'antichità classica e l'ellenismo) il secolo dell'architettura teatrale diffusa, oltre che quello in cui fu definita la caratteristica dell'impianto, d'una bomboniera cioè raccolta attorno al palcoscenico, con una platea che poteva servire all'occorrenza anche da sala da ballo, e più ordini sovrapposti di palchi a stringersi attorno al punto focale dell'evento teatrale. Nella nostra regione abbiamo, fra gli altri, due esempi di questo tipo di teatro, costruiti in tempi assai lontani l'uno dall'altro, ma in base a criteri identici: lo splendido «Zandonai» di Rovereto e il più recente «Puccini» di Merano».

Sono i teatri dei tempi in cui a teatro andava solo la «buona» borghesia, quando per un giovanotto o una madamigella in procinto d'entrare in società il problema di poter assistere a una rappresentazione non si risolveva tanto nel denaro occorrente per l'acquisto del biglietto d'ingresso, quanto nella spesa per dotarsi dell'abbigliamento ritenuto allora indispensabile per una simile circostanza. Le condizioni sociali erano insomma tali da escludere a priori, dal teatro, una fascia larghissima della popolazione. Nelle bomboniere di concezione aristocratica settecentesca, l'Ottocento e il primo Novecento hanno celebrato i loro trionfi mondani borghesi, quelli di un'era in cui non solo le altre classi sociali non andavano a teatro, ma non ci si sognava nemmeno di dire che occorreva portare il popolo a teatro, che bisognava dare il teatro al popolo, ecc. In teoria, il teatro era già allora «di tutti», in quanto servizio pubblico municipale: di fatto era dei pochi che, per censo e per preparazione culturale e per condizionamento social-mondano, potevano (o dovevano) permetterselo.

Sul palcoscenico avveniva più o meno lo stesso. Non vi si allestiva cioè di tutto, ma lo spettacolo si riduceva sostanzialmente a tre o quattro categorie: la rappresentazione drammatica, l'opera lirica, il balletto e qualche concerto «grande». Nessuno allora chiedeva un teatro per sperimentare nuove tecniche espressive, i gruppi autogestiti o le cooperative teatrali non esistevano (non nella forma e con le caratteristiche attuali almeno), il jazz doveva ancora nascere oppure era considerato musica da caffè-concerto, il folk era ancora ciò che la parola stessa (da «Volk», popolo) dice: musica popolare che si suonava alle fiere e nelle osterie. Quanto alla musica classica, erano i tempi in cui quella «da camera» si suonava davvero solo nei salotti e non davanti a un pubblico pagante. Solo i pianisti e i violinisti, campioni del tardo romanticismo, avevano già conquistato o stavano conquistando uno spazio più ampio, e cioè il teatro per le loro esibizioni.

Il vecchio «Verdi» distrutto dalle bombe era uno specchio di questa società, e pensare di ricostruirlo oggi - non tanto architettonicamente, perché questo è già escluso, quanto funzionalmente - come allora, sarebbe assurdo.

La Bolzano dei nostri giorni e dei prossimi anni è completamente cambiata, e cambiati sono la domanda di spettacolo, l'articolazione degli eventi di spettacolo, i riti sociali stessi in cui si manifesta la fruizione degli spettacoli. Se un tempo per andare a teatro occorreva l'abito da sera che solo pochi, relativamente, potevano permettersi, oggi tutto si riduce davvero all'acquisto del biglietto, perché a teatro e a concerto si va in jeans e maglietta o maglione, senza però togliere a chi ha voglia di agghindarsi «da sera» la soddisfazione di farlo.

L'illusione brechtiana di portare a teatro l'operaio in tuta non si è avverata solo nel senso che l'operaio, per lo più, quelle poche o tante volte che va a teatro, indossa giacca e cravatta, ma di tute se ne vedono ugualmente in abbondanza: da boutique, «firmate», snobisticamente slavate, ma pur sempre tute.

Anche la pretesa o l'auspicio di portare «tutti» a teatro, che erano parsi populisti, si sono tradotti in una realtà a tutti evidente, anche se in modo diverso da quello che taluni avevano immaginato. Non accade cioè che «tutti» vadano a vedere gli stessi spettacoli, però è anche vero che campioni sempre più vasti e numerosi di popolazione accorrono nelle sale a vedere o ad ascoltare ciò che corrisponde ai loro gusti. Non si è verificato cioè un orientamento generalizzato verso i pochi allestimenti (per lo più di concezione colta e borghese) ritenuti «degni» dalle scelte dello strato sociale egemone, ma si è assistito al diversificarsi delle offerte in un vasto ventaglio, nell'ambito del quale ognuno può scegliere ciò che maggiormente gli aggrada.

Se da un lato infatti è aumentato e può ancora aumentare - perché sono cadute barriere, preclusioni, «intimidazioni» ambientali e culturali - il pubblico, sono cresciute per numero e per varietà anche le proposte. Il momento dello spettacolo non si riduce più alle poche categorie già menzionate (dramma, lirica, balletto, concerto orchestrale), ma si è suddiviso in dozzine di rivoli. Accanto al teatro professionale ha conosciuto diffusione il teatro amatoriale, ma si moltiplicano anche le ricerche sperimentali, spesso di elevata qualità, vere e proprie fucine di elaborazione di linguaggi espressivi futuri. Oltre alle orchestre, si esibiscono in pubblico - per rimanere nell'ambito della musica classica - i complessi da camera e i solisti di numerosi strumenti. Hanno acquistato dignità culturale e un largo seguito, e quindi avanzato pretese di adeguati palcoscenici e platee, i tipi della musica nuova: il jazz, il folk, ma anche il funk e come altrimenti coloritamente si chiamano le tante tendenze recenti.

Sono forme di spettacolo assai diverse, con appassionati e fruitori spesso diversi (accade che chi ama il jazz ignori la commedia, che chi segue i concerti snobbi il teatro gestuale, ecc.), ma con un'esigenza comune di fondo: hanno bisogno di spazio.

E così torniamo al «Verdi» da costruire ex novo: non potrà, presumibilmente, accontentare tutte le istanze che si sono elencate (e quelle che si sono dimenticate: perché non passa anno senza che se ne profili un'altra), ma dovrà essere realizzato tenendone conto.

Bolzano cioè non può darsi un teatro-edificio senza pensare contestualmente a garantire spazio scenico a ognuna delle forme di spettacolo ritenute degne, per valore sociale o culturale, di un pubblico sostegno.

In questi ultimi anni, la ricerca di spazio ha richiesto agli operatori culturali di Bolzano più fantasia e inventiva creatrice di quante ne siano occorse a chi allestiva le varie forme di spettacolo. Sono stati scoperti baracconi, aule, cantine, padiglioni, chiese: un po' ovunque, ma sempre con precarietà. Problemi di sicurezza e di agibilità hanno costretto gli organizzatori e gli enti a scartare via via molte soluzioni dopo averle appena sperimentate. Ma la fame di spazi è rimasta, ed è stata tale da aver persino in parte mutato di segno la destinazione originaria («etnica») dei pochi autentici spazi teatrali esistenti: non solo la Haus der Kultur di via Crispi ha sempre più spesso aperto i suoi battenti a iniziative «italiane», perfino il Kulturheim di Gries (concepito e gestito con mentalità assai più paesana) si è reso ora disponibile per concerti ed esibizioni musicali non strettamente legate al mondo tedesco.

Per altro verso, il teatro filo drammatico pare aver trovato nel ristrutturato «Concordia» - per merito dell'associazione «Nuovo Spazio - una buona pedana di sfogo. Ma restano, al «Concordia», i problemi della coabitazione col cinematografo e quello, conseguente, dell'impossibilità di usufruire del palcoscenico per le prove, oltre che per le rappresentazioni vere e proprie.

Tutto questo per dire che, anche quando il «Verdi» sarà pronto e disponibile, Bolzano non dovrà privarsi della pubblica agibilità del teatrino di Gries, nel quale, da una dozzina di anni ormai, il Teatro Stabile (con le compagnie ospitate) e molte manifestazioni musicali hanno trovato un'area spesso ideale per esprimersi.

Per limitare il discorso al solo teatro drammatico (ma lo si può estendere per analogia ad altre forme di spettacolo), la saletta di Gries ha in un certo senso «viziato» il pubblico di Bolzano. Coi suoi 350-400 posti a disposizione, raccolti a anfiteatro attorno alla scena, ha permesso l'instaurarsi di un rapporto ideale fra platea e palcoscenico, nel senso che gli attori hanno l'impressione di recitare in mezzo alla gente e a diretto contatto anche col più distante degli spettatori, e che gli spettatori a loro volta si sentono coinvolti nella scena. La cosiddetta «quarta parete», la separazione netta fra chi recita e chi assiste, a Gries non è mai esistita. Gli spettatori abituali se ne sono resi conto quelle volte che, per esigenze scenografiche di taluni allestimenti, si son dovuti spostare al teatro della Haus der Kultur, che è risultato - al confronto - freddo, distante e scostante. Ora è ben vero che un simile ideale rapporto può essere ricostituito, con scelte oculate, anche in dimensioni più ampie - del nuovo «Verdi» - e che queste dimensioni più ampie sono comunque necessarie per ragioni se non altro economiche (ogni replica, a Gries, è un debito: nemmeno una sala piena di spettatori profumatamente paganti consente di pareggiare il costo d'una serata). Però rimarranno, anche in futuro, spettacoli e momenti di riunione in cui le più ridotte dimensioni della sala di Gries saranno ancora indispensabili. Vi sono forme di teatro sperimentale (o proposte «alternative» non sorrette dall'afflusso garantito degli abbonati) che a stento riescono a raccogliere più di cento spettatori, e che pure hanno diritto a spazio anche loro, quali centri di elaborazione di nuove tecniche espressive.

A Gries cento spettatori costituiscono ancora, bene o male, un pubblico nel quale una proposta sperimentale può non perdersi. Cento persone in una sala da 800-1000 posti costituirebbe invece ciò che in gergo si definisce un «forno». Per questo e per altre intuibili ragioni, ben venga il nuovo «Verdi», ma Bolzano non rinunci alla sala di Gries, se non altro - ultima considerazione - per garantire anche la contestualità di più spettacoli.

Veniamo dunque al «Verdi», a quello del futuro, a quello che si sta progettando e dal quale hanno preso le mosse queste riflessioni.

L'architettura e la tecnica delle costruzioni hanno fatto, nell'ultimo mezzo secolo, progressi tali da consentire di realizzare questo importante servizio pubblico in modo tale da non farne solo il «salotto buono», riservato a poche persone e a poche occasioni, come avveniva nell'Ottocento e nei primi decenni di questo secolo. Bolzano si trova attualmente nella condizione d'una famiglia che dispone finalmente dei soldi necessari per acquistare uno o più mezzi di trasporto. Finora questa famiglia ha usato il tram, l'autobus, il taxi, i piedi, l'utilitaria presa a nolo, il «passaggio» benevolmente concesso da un amico o da un vicino. Ora questa famiglia, posta in grado di provvedere all'acquisto di veicoli propri, deve badare bene a ciò che fa. L'errore più grave sarebbe quello di comperare una carrozza a cavalli o una «Ferrari»: la carrozza non solo e non tanto perché non si usa più, ma perché, come la «Ferrari», richiederebbe spese di manutenzione e di mantenimento eccessive, e l'uso sarebbe limitato a poche occasioni di solenne rappresentanza o esibizionismo.

Con quel che costano una carrozza o una «Ferrari», si possono acquistare una buona vettura di media cilindrata, una utilitaria, due motorini e una bicicletta, offrendo a tutti i componenti la famiglia i mezzi di trasporto adeguanti alle esigenze dei singoli.

Ora un teatro «importante» come pur dovrà essere il futuro «Verdi», non è un'automobile né un omnibus, né si intende qui proporre di rinunciare al «Verdi» per acquistare o costruire in sua vece quattro o cinque sale di varia misura, dislocazione o destinazione. Si può però fare un «Verdi» in modo tale da renderlo così duttile e articolato da venire incontro se non a tutte, almeno a molte delle diverse domande di spazio scenico che giungono dalla città.

Sarebbe sbagliato, per esempio, costruire una sala soltanto, da 800-1000 posti, da destinarsi esclusivamente al teatro drammatico e lirico, oltre che ad alcuni tipi di concerto: e questo non solo perché sarebbe ingiusto escludere forme di spettacolo «minore» (non perché un servizio di questo genere si mantiene (economicamente, oltre che culturalmente e socialmente) solo se è intensamente e continuamente adoperato.

E se è un'illusione, forse, quella di erigere in Bolzano un piccolo «Beaubourg», un contenitore multimediale cioè, buono per tanti usi contemporanei (cinema d'essai, mostre d'arte, archivi culturali, biblioteche e musei compresi), è invece certo che si possono studiare e realizzare soluzioni meno banali di quella d'un «salotto buono», sia pure aggiornato nella struttura e nell'arredo alle novità del duemila.

Occorre dunque che questo nuovo, ancora ipotetico «Verdi» abbia almeno due sale: una per le «grandi» occasioni, in modo da convogliare - per esempio - il pubblico delle attuali cinque repliche di Gries in due sole serate, economicamente autosufficienti; e una per i momenti di spettacolo «minori» (per quantità di fruitori, ripetiamo, non per livello artistico). Alla Haus der Kultur di via Crispi una soluzione del genere è stata parzialmente trovata: sotto la sala del teatro vero e proprio c'è un secondo ambiente per le conferenze, le proiezioni cinematografiche, per qualche concerto da camera (o evento assimilabile). Però questo secondo ambiente è sprovvisto di palcoscenico e di relativi impianti.

Il che, nel «Verdi» del futuro, non dovrà assolutamente accadere. Una delle voci che maggiormente pesano, al giorno d'oggi, sul bilancio di costruzione d'un teatro è quella relativa ai meccanismi di palcoscenico: sono cervelli elettronici che consentono di manovrare luci, quinte, sipari e tutte le altre diavolerie che l'arte scenica ha inventato e man mano mosso prima meccanicamente, poi elettricamente, e infine con l'ausilio dei computers. Investire tanto denaro per una sola destinazione, quella di servire la sola «sala grande», sarebbe uno spreco: un po' come comperare un personal-computer soltanto per aggiornare la lista della spesa. L'impianto scenico moderno con tutto il suo apparato elettronico può invece essere sfruttato, anche contestualmente, da due e perfino più sale che, da punti o livelli differenti siano orientate verso uno stesso cervello centrale: due o più sale dunque, di dimensioni e caratteristiche diverse, da mettere a disposizione di diverse forme di spettacolo, a seconda delle peculiari esigenze; un «cervello» centrale attorno al quale si possano da una parte rappresentare uno spettacolo già finito, con tutto il suo apparato scenografico, e dall'altro provare contemporaneamente uno spettacolo ancora in fase di allestimento, senza che questi due momenti si escludano o si ostacolino a vicenda.

Un'altra idea, anche più affascinante, ma di più ardua soluzione tecnica (e che non vieta comunque la soluzione a più ambienti), è quella di fare in modo che una delle sale, la principale, sia non fissa, ma strutturabile a seconda delle circostanze: con una platea elastica cioè, con delle pareti mobili, in grado di delimitare attorno al palcoscenico uno spazio adeguato al tipo di spettacolo man mano offerto, dalla massima apertura per una forte affluenza in caso di un'opera lirica, per esempio, a un ambito più ristretto per raccogliere attorno a una proposta «da camera» quel gruppo di spettatori che, in una cavea piccola costituiscono già un «pubblico», mentre in un'area grande diverrebbero un pugno sparuto di «dispersi».

Evviva il «Verdi» dunque: ma che sia un «Verdi» aggiornato alle richieste assai varie che vengono dalla collettività, e non solo il fiore all'occhiello d'un abito altrimenti liso e striminzito. Ciò di cui Bolzano ha bisogno non è solo un teatro, ma quella che oggi si definisce più genericamente una «struttura» agile, molteplice, multiforme e malleabile a seconda delle proposte e delle richieste.

Ci mettano dunque pure dieci anni a costruirlo, se sono proprio necessari: Bolzano ha aspettato tanto e può quindi aspettare ancora, a patto però che non si risparmino le idee. Bolzano non può permettersi uno «Beaubourg» alla maniera parigina, ma può benissimo inventare o farsi inventare dagli addetti ai lavori un qualche cosa che risulti alla fine esemplare: un impianto pubblico articolato, fatto sulle misure delle esigenze d'una media città di provincia europea.