IL CRISTALLO, 2009 LI 1 [stampa]

ANTONIA IZZI RUFO, Aldo Cervo e gli odori della terra, Penna d'autore, Torino 2008

recensione di SANDRO ANGELUCCI

Con la consueta partecipazione - affettiva intendiamo - Antonia Izzi Rufo si dedica alla stesura di questo nuovo saggio sulla figura di Aldo Cervo, "il Professore e Scrittore caiatino" che, fin dal titolo, viene accomunato agli "odori" della terra campana in cui è nato e della quale nutre il proprio "percorso culturale".

Nella nota introduttiva, la saggista, ritiene - con tangibile sincerità - di dovere al lettore la spiegazione della ragione che l'ha spinta a scrivere; motivazione da individuare nella grande considerazione, nella stima per la "persona discreta, umile, dignitosa (che) non fa nulla per 'mettersi in mostra'" contrariamente a quanto succede "tra alcuni scrittori" che, a volte senza troppi scrupoli, fanno a gara "per emergere, per arrivare primi". Ci sembra già questo un ottimo inizio: per la riferita, considerevole cifra del rapporto umano e, nondimeno, dal punto di vista strettamente letterario, per un avvio dell'analisi, questo, che prenda spunto in eguale misura dalle scelte di lettura e da quelle di valore. L'occasione stessa della personale conoscenza - avvenuta a Venafro durante la presentazione di un libro e narrata in "Incontro" (pag. 9) - nasce sotto i migliori auspici: nel senso che non è, di Cervo, l'aspetto, per così dire l'esteriorità, a colpire la Nostra bensì il suo relazionare "semplice", discorsivo, talmente coinvolgente da rapirla e farla pendere "dalle sue labbra". È, dunque, un incontro diverso dal solito ma non da quelli che, anche nella nostra esperienza, hanno seguito un iter non dissimile; e dalla letteratura all'amicizia vera il passo, non di rado, è conseguente e si scoprono uniformità d'intenti e di vedute, talvolta sorprendenti: "... Conosceva il mio paese per esservi stato per diversi anni come docente di lettere della Scuola Media... Era 'innamorato' di Scapoli, della sua bellezza selvaggia... dell'ambiente sano... della cordialità della gente, delle dolomitiche Mainarde... ".

Questa predisposizione alla comunicazione autentica - che altro è dal luogo comune - viene ulteriormente messa in luce allorquando, disquisendo sul "Potere della parola", si cita Jiménez: "Intelligenza, dammi / il nome esatto delle cose! / La mia parola sia / la cosa stessa, / creata nuovamente dalla mia anima". Siamo particolarmente lieti - detto per inciso - d'imbatterci nei versi di uno dei poeti a noi più cari: quella espressa dallo spagnolo è una profondissima verità che rivela la fede incrollabile di uno spirito eccelso, ed è - in questa sede - sicura testimonianza anche per ciò che concerne l'effetto della "parola giusta" di Cervo sulla Rufo.

Proviamo allora ad ascoltarla questa voce in un paio di passi, che l'autrice del saggio ha pensato di farci conoscere, tratti da "L'autunno di Montalba": "Quando ero piccolo... (la befana) mi regalava... un cavalluccio bianco... di carta impastata con gesso... Mi premeva in quei momenti l'urgente voglia di mostrare il giocattolo... Quel cavallino non uscì mai dalla mia vita... Oggi, benché il naufragar dei sogni miei di carta pesta ancora continui fra le cannucce palustri e malsane dell'indifferenza e dell'ingratitudine, io con quel cavallino ci gioco, mi ci trastullo ancora. E ancora corro con la ingenuità di una volta a mostrarlo agli altri... "; altrettanto poetico nella sua felice ingenuità erotica il brano che segue: "Dalla ragazza trovavo spesso una bambina che non so se avesse la mia età... Fatto sta che si andava ai piani superiori e la ragazza si metteva a cucire. Noi piccoli giocavamo come si poteva, e lei, la grande, ci lasciava fare. Poi cominciava anche lei a giocare con noi, fino a quando con recitata naturalezza ci faceva scoprire le intimità e ce le toccava... Così conobbi che la bambina non era come me".

C'è altresì, sfogliando il testo, la possibilità d'apprezzare in Cervo le doti del critico in quanto la scrittrice riporta, sul finire, una recensione del medesimo a "Saffo, la decima musa", il saggio da lei pubblicato nel 2002: è interessante fermare l'attenzione sull'incipit del lavoro esegetico che rende, del recensore, un'immagine che certamente non ce lo fa collocare nel novero e negli schemi dei cosiddetti critici militanti. Perché lo affermiamo? Si legga e poi si giudichi se queste parole sono più di un "poeta" che di un "letterato": "I poeti, a dispetto dei secoli che li separano, spesso si cercano. E sanno sempre parlarsi... Accade allora il miracolo di un Callimaco che riascolti in Catullo, di un Catullo che ritrovi in Foscolo... Così esemplificando... oggi tocca a Saffo di Mitilene riemergere dalle onde ionie... per rivivere fra le guglie dolomitiche delle molisane Mainarde... ". Facciamo nostro il detto: "prima d'essere critici di poesia bisogna essere poeti".

Desideriamo concludere questa dissertazione con quanto l'autore, qui studiato, scrisse "a proposito di Moulin": "Quando penso alla risoluzione di questo artista di lasciare la terra dei razionalisti per l'irrazionalismo suggerito dai monti di Castelnuovo... al suo eremitaggio nella casa di pietra... in compagnia del vento e del sole... arrossisco nel ritrovarmi tranquillo poltrone da scrivania, in attesa che mi si chiami dalla cucina a consumare la solita quotidiana frittata... Voglio venire a vederla la capanna di Moulin", e ringraziare Antonia Izzi Rufo per questa mezza paginetta che ne vale mille e ci ha fatto sognare.