IL CRISTALLO, 2010 LII 1 [stampa]

LE STORIE DI ANDREA CAMILLERI

di DAVIDE DE MAGLIE

I. SCRITTURA E RISCRITTURA: LA LINGUA E LA STORIA


In Andrea Camilleri la Sicilia si rivela in primo luogo nell'evidenza della scelta linguistica, che in molti casi1 consiste in una caratteristica mescolanza di italiano e dialetto. La lingua di Camilleri nasce, come dichiara egli stesso, da una maggiore facilità di adesione non già al mondo che lo circonda ma a quello interiore, al proprio modo di essere e di sentire:

Mi feci presto persuaso, dopo qualche tentativo di scrittura, che le parole che adoperavo non mi appartenevano interamente. […] Quando cercavo una frase o una parola che più si avvicinava a quello che avevo in mente di scrivere immediatamente invece la trovavo nel mio dialetto o meglio nel "parlato" di casa mia. Che fare?2

La soluzione sarà trovata adottando, con spontaneità e senza esitazioni, la lingua istintivamente sentita come propria, che sarebbe semplicistico identificare tout court con il siciliano, perché generalmente si assiste ad una compresenza di lingua e dialetto. Camilleri infatti "non ha disdegnato di intercalare l'italiano con il dialetto"3, e d'altronde anche questo incontro di idiomi differenti appare suggerito da ragioni autobiografiche:

Mia madre diceva: "Beddu, cerca di non turnare tardu 'a notti, picchì mi fa' stare in pinseri altrimenti dopo te la faccio vedere io". C'era il passaggio dal dialetto alla lingua, il primo era una mozione dell'affetto, poi arrivava l'italiano notarile, ingiuntivo, l'italiano come lingua "altra", notificante qualche cosa di diverso dai sentimenti.4

È in questa prospettiva di interpretazione ambivalente della realtà, di adesione sentimentale che non rifiuta lo sforzo analitico della ragione che si muove Camilleri, che non di rado arricchisce la sua espressività di ulteriori esperimenti linguistici. Così nel romanzo La mossa del cavallo (1999) il lettore si imbatte in intere pagine scritte in genovese. Anche in questo caso la molteplicità di linguaggi (non manca infatti il consueto dialetto siciliano, che assume anzi un'importanza fondamentale nello svolgimento della vicenda)5 corrisponde ad una realtà non pienamente decifrabile, ad una volontà di immergersi nella complessità del reale per coglierne anche le sfumature meno immediate.

L'importanza della lingua è confermata dal volume Il gioco della mosca (1995) che, come spiega Simona Demontis, costituisce

una sorta di catalogo di situazioni, sentenze, frasi idiomatiche, detti e proverbi, una serie di espressioni in siciliano che dà vita a un glossario scherzoso del dialetto di Porto Empedocle, peculiare come ognuno dei dialetti dell'isola (p. 16)

L'interesse per la storia della propria lingua si ritrova, come nota la stessa studiosa, anche nello Sciascia di Kermesse, raccolta di modi dire di Racalmuto.6 Sia Sciascia che Camilleri si ritroveranno a scegliere più volte la strada del giallo: il genere più legato alla ricerca della verità, ma anche quello che più facilmente evidenzia l'inafferrabilità delle cose, l'impossibilità di stabilire con certezza come siano andate davvero. Le storie di Camilleri, anche quelle che non rientrano, a rigore, in questa tipologia narrativa, tendono sempre ad un'indagine della realtà, ad una volontà di conoscenza lucida e insieme incuriosita. C'è in Camilleri una naturale tendenza a partire da documenti e dati precisi per reinventare vicende e situazioni. Molti suoi libri si collocano a metà tra ricostruzione storica e fantasia inventiva, rivisitazioni consapevoli di episodi che la versione ufficiale ha chiarito solo in parte. Alcuni testi, come La bolla di componenda (1993) e Il birraio di Preston (1995), sono nati spulciando le pagine dell'Inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia (1875-1876), pubblicata dall'editore Cappelli di Bologna nel 1968. Con queste opere Camilleri non cerca la logica rigorosa della storiografia, ma sceglie di dare, dalla sua posizione di intellettuale e artista creativo, un piccolo contributo alla conoscenza. Lo scrittore lascia intuire la complessità che si nasconde dietro notizie affidate a poche righe di manuale o alle frasi sintetiche di un'inchiesta, facendo emergere pulsioni ideologiche ma anche emotive e passionali. Anche Sciascia rivisita storie e personaggi della sua Sicilia, ad esempio soffermandosi sulla vicenda di Ettore Majorana,7 ma Camilleri, oltre ad interrogare la cronaca, sembra divertirsi ad inventare le possibili risposte. Per questo la sua opera non si limita alla deformazione linguistica, ma inserisce nel tema principale una serie di aneddoti che rendono conto di un intero ambiente, divenendo una riscrittura della storia. Come afferma Capecchi, per Camilleri che "tenderebbe a farsi prendere completamente dalla fantasia e a smarrire il filo principale del racconto", Sciascia è "lo scrittore raziocinante" assunto come modello (p. 32).


II. FRA TEATRO ED INVENZIONE: PIRANDELLO E MONTALBANO


Se la realtà viene non solo analizzata ma anche reinventata è perché la storia, come la vita, è troppo imprevedibile, troppo ricca di colpi di scena per venire liquidata da una chiave di lettura puramente logica. Questa consapevolezza deriva a Camilleri dall'opera di un altro siciliano illustre, quel Luigi Pirandello che nel 1932 si presentò alla casa del piccolo Andrea per inaugurare le nuove scuole di Porto Empedocle.8 Come regista teatrale e anche come saggista Camilleri si è occupato spesso dell'opera pirandelliana: nella Biografia del figlio cambiato ipotizza uno scambio di bambini operato dalla levatrice. Luigi, nato nella località dal nome emblematico di Caos, sarebbe stato allevato da un'altra famiglia; da qui deriverebbe un senso di non appartenenza, una diffidenza nei confronti della realtà che segna molti suoi personaggi. La realtà forse (non) è quella che sembra, cambia a seconda del modo di interpretarla e cerchiamo di fare i conti con il copione che ci è stato assegnato (dalla sorte, dalle convenzioni della società), magari cambiando identità come Adriano Meis o accettando di averne molte, o nessuna, come Vitangelo Moscarda.9 Camilleri sembra aver subìto l'influenza pirandelliana soprattutto per il rapporto ambiguo tra realtà e finzione, per il senso di teatralità che caratterizza la sua narrativa.


Il mondo di Montalbano si concentra su alcuni personaggi che, di storia in storia, si ripresentano al lettore come delle "maschere fisse", quasi interpreti di una moderna Commedia dell'Arte. Ad ogni nuova storia il lettore sa che ritroverà volti e situazioni che già gli sono familiari: il centralinista Catarella, tanto stralunato quanto esperto di informatica, pronto ad annunciare chi vuol parlare "di pirsona pirsonalmente" con il commissario, la trattoria di Enzo e i piatti lasciati in frigo da Adelina, il rapporto altalenante che lega Salvo e Livia, la simpatica scontrosità del medico Pasquano, la passione di Mimì Augello per le donne, la mania di Fazio di elencare i dettagli anagrafici delle persone indagate... Parallela a questa tipizzazione di luoghi e personaggi è l'imprevedibilità degli intrecci, che portano alla luce sempre nuovi crimini ma anche campionari di varia umanità, affrontando temi attualissimi come il traffico di immigrati e lo sfruttamento della prostituzione. Camilleri ha creato una serialità capace di rinnovarsi, sullo sfondo del paesaggio siciliano (anch'esso a metà tra geografia ed invenzione)10 riesce ad intessere un teatro ricco ed animato dove alcune maschere (più o meno) fisse si cimentano con il flusso imprevedibile dell'esistenza. Affiorano crimini orrendi ma anche "stranezze" quotidiane di pirandelliana memoria, che riservano spesso colpi di scena clamorosi. La prima storia degli Arancini di Montalbano (1999)11, intitolata Prova generale, racconta di due anziani sorpresi nella loro casa dal ladro gentiluomo Orazio Genco. Orazio voleva rubare in casa di un usuraio ma, vedendo la porta dell'appartamento accanto socchiusa, è entrato per assicurarsi che gli inquilini stessero dormendo. Sulla porta d'ingresso del loro appartamento c'è un foglio con la scritta "Prova generale" e, come racconta il ladro al commissario,


nella càmmara di dormìri c'era luce. […] Sopra il letto matrimoniale, vestita di tutto punto, c'era una fìmmina morta, un'anziana. […] Ai piedi del letto c'era una seggia e assittato sopra un omo che mi voltava le spalle. Chiangiva, povirazzo. Doveva essere il marito (p. 10)


Il coniuge a un certo punto prende un revolver e se lo punta alla testa, ma poi abbassa il braccio e il ladro se ne va. Quando, su suggerimento del commissario, torna nell'appartamento, Orazio assiste alla scena opposta:


"Commissà, la morta non era morta!"
"Ma che dici!?"
"Quello che sto dicendo. Il morto era lui, il generale. Stinnicchiato sul letto com'era prima so' mogliere, il rosario, il fazzoletto"
[...] "E la mogliere, l'ex morta, che faceva?"
"Stava assittata sulla seggia ai pedi del letto e si puntava una pistola in testa, chiangendo" (p. 12)

Montalbano scopre grazie alle ricerche di Fazio che si tratta di due attori ormai anziani e riesce ad incontrarli:

Lei pareva un aceddruzzo implume caduto dal nido, lui una specie di cane San Bernardo spelato e mezzo cieco. […] Montalbano appizzò gli occhi su una delle cento fotografie che coprivano le pareti e disse: "Ma quello non è Ruggero Ruggeri nel Piacere dell'onestà di Pirandello?" E da quel momento fu come una valanga di nomi e titoli: Sem Benelli e La cena delle beffe, ancora Pirandello e i Sei personaggi in cerca d'autore, Ugo Betti e Corruzione a Palazzo di Giustizia, mescolati a Ruggeri, Ricci, Maltagliati, Cervi, Melnati, Viarisio, Besozzi… (pp. 15-16)

In questo passo campeggiano i ricordi del Camilleri regista teatrale (di Pirandello innanzitutto) e di quel Cervi che portò in televisione il Commissario Maigret con Camilleri in veste di delegato Rai alla produzione. A colpire è però in primo luogo l'umanità della prima frase, un senso di pietà umana che si fa tenerezza nel diminutivo (aceddruzzo) riservato alla donna. È in scelte come questa che si avverte la ricchezza, la complessità della scena camilleriana, segnata da colori e luoghi ben definiti ma anche da una vibratile mutevolezza di accenti.


Il commissario ascolta "impietrito" (p. 16) la spiegazione dei due ex attori:

"Da qualche tempo pativamo di malesseri. È l'età, ci dicevamo. Poi ci siamo fatti visitare. Abbiamo il cuore a pezzi. La separazione sarà improvvisa e inevitabile. Allora ci siamo messi a fare le prove. Chi se ne andrà per primo, non resterà solo nell'aldilà."
"La grazia sarebbe di morire assieme, nello stesso momento" disse lei. "Ma è difficile che ci venga concessa."
Si sbagliava. Otto mesi dopo Montalbano lesse due righe sul giornale. Lei era serenamente morta nel sonno e lui, accortosene al risveglio, si era precipitato al telefono per chiamare aiuto. Ma a mezza strata tra il letto e il telefono, il cuore aveva ceduto (p. 17)

La fine suggella una favola dalla tenerezza appena accennata, come la voce dialettale (l'unica del brano) che indica la strada, quasi a suggerire che dietro l'ufficialità, dietro il copione preciso delle maschere che ci portiamo dentro, c'è la nudità di un sentimento sincero.


Nel racconto Sostiene Pessoa12 la finzione è quella di un padre che ha sempre rifiutato di credere che il figlio, lontano dal paese da anni, fosse, come lo definisce Fazio, un "manovale della mafia" dedito a "travagli di bassa macelleria" (p. 55). Antonio Firetto, settantenne "con l'anima di picciliddro" (ibidem) capace anche di scrivere poesie, si sente dire dal figlio che gira armato per il rischio di "fari incontri tinti, cattivi" (p. 62), con una risata che al vecchio genitore fa gelare il sangue:

"Era una risata parlante, ca diceva tutta la virità supra a me' figliu, la virità ca iu non aveva mai voluto crìdiri. […] E allura io ci spiai: "Quanti cristiani hai ammazzatu?" […]"Otto". E dopo disse una cosa ca non mi doveva diri. Disse:"E macari un picciliddro di nove anni". E continuò a mangiari. Madunnuzza santa, continuò a mangiari! Allura iu pigliai u revòrbaru e ci sparai darrè al cozzo. Un corpo solo, come fanno coi condannati a morti" (ibidem)

L'uomo, che è sempre stato incapace di accettare la verità, di fronte alla rivelazione della ferocia reagisce uccidendo. Antonio Firetto chiede al commissario di non arrestarlo, di andarsene affinché possa suicidarsi, e gli punta il fucile contro: ma il commissario non è spaventato, sa che è "solo una parte da recitare" (p. 63) e se ne va. Il riferimento al teatro ed al rapporto tra finzione e realtà non potrebbe essere più evidente: come rappresentante della legge Montalbano dovrebbe arrestare Firetto, ma di fronte alla realtà lacerante del dramma familiare il codice scritto lascia spazio alla pietà umana. In questo senso Sostiene Pessoa, che già nel titolo richiama altre esperienze culturali13, mette a nudo l'inquietudine dei personaggi, che non si riconoscono nelle parti loro assegnate: il vecchio prima così ingenuo comprende d'un tratto la vera natura del figlio, il commissario non svolge il suo ruolo ufficiale e rinuncia all'arresto… Nel racconto Montalbano pensa alla teoria di Pessoa secondo la quale "il fatto", ciò che realmente è accaduto, non può essere dedotto automaticamente da una circostanza che sembra costituire una prova. Se si vede un uomo caduto sul marciapiede ci si chiede "per quale motivo quest'uomo è caduto qui" (p. 59), ma l'unico dato certo è la perdita d'equilibrio, che può anche essersi verificata in un altro punto della strada mentre il corpo può essere stato spostato successivamente… È in questa diffidenza verso tutte le certezze troppo immediate, troppo facilmente costruite che si realizza l'influenza pirandelliana. Più che al tema dell'identità che permea alcuni testi, come Un caso di omonimia dove il commissario viene scambiato per un killer professionista finendo addirittura arrestato dai carabinieri14, bisogna dunque riferirsi ad una meno scontata volontà (e difficoltà) di decifrare le cose.


È quanto emerge anche dal racconto Montalbano si rifiuta15, animato da un gioco letterario che richiama il tema dei Sei personaggi in cerca d'autore. Nel mezzo di una storia truculenta ai limiti del pulp, volutamente eccessiva con killer cannibali che si apprestano a mangiare la vittima, Montalbano entra in una cabina e telefona a Camilleri, comunicandogli di non voler far parte di una storia così fosca. Tra personaggio e scrittore nasce così un dialogo surreale, che serve a Camilleri anche per reagire, alla sua maniera, a chi lo critica ritenendolo uno scrittore facile e fin troppo incline ai buoni sentimenti:

"Perché mi hai telefonato?"
"Perché non mi piace questo racconto. Non voglio entrarci, non è cosa mia. La storia poi degli occhi fritti e del polpaccio in umido è assolutamente ridicola, una vera e propria stronzata, scusa se te lo dico."
"Salvo, sono d'accordo con te."
"E allora perché la scrivi?"
"Figlio mio, cerca di capirmi. Certuni scrivono che io sono un buonista, uno che conta storie mielate e rassicuranti […] che sono diventato ripetitivo, con l'occhio solo ai diritti d'autore…Sostengono che sono uno scrittore facile, macari se poi s'addannano a capire come scrivo. Sto cercando d'aggiornarmi, Salvo. Tanticchia di sangue sulla carta non fa male a nessuno[…]"
"Non fare lo spiritoso. […] Padronissimo tu di scriverne altre, ma allora t'inventi un altro protagonista. Sono stato chiaro?"
"Chiarissimo. Ma intanto questa storia come la finisco?"
"Così" disse il commissario.
E riattaccò (pp. 136-137)

Il racconto è dunque una provocazione divertita, simpaticamente polemica che però, ancora una volta, mette in guardia da interpretazioni troppo facili. Dobbiamo stare attenti a non giudicare troppo in fretta, sembra dire Camilleri, a non credere che tutto sia solo, come si accennava più sopra, lo sfondo immutabile di storie già scritte: c'è sempre la possibilità di rimettere tutto in discussione, le proprie indagini come sé stessi, tutto è già stato scritto ma può sempre venire ridiscusso, reinventato.


III. L'EROS


Si è visto che Montalbano, pur ligio al suo dovere di uomo di legge, è talvolta capace di uscire dalla propria maschera, come accade in Sostiene Pessoa o, con un divertimento metaletterario, nel testo appena esaminato. Recita e improvvisazione, copione già scritto e capacità di inventare varianti trovano così un loro equilibrio, in un rapporto di forze sempre intercambiabile ma, proprio per questo, affidabile e fecondo. A mettere in crisi questo bilanciamento è però, non solo nel romanzo La vampa d'agosto (di cui si parlerà più avanti) ma anche in storie non legate al ciclo di Montalbano, l'impulso dell'eros. Non si tratta di una trasgressione fine a sé stessa: l'eros è il simbolo di un'incertezza esistenziale che, di volta in volta, condiziona tutti noi. Essendo capace di sconvolgere esistenze ma anche di donare energie nuove, diviene emblema della condizione umana, soggetta a continui ed imprevedibili mutamenti. Un primo esempio è costituito da un romanzo del 1995, il già citato Birraio di Preston che, tra i molti temi, sviluppa in modo significativo anche quello erotico.16 Il titolo non allude ad un protagonista narrativo ma all'opera musicale di Luigi Ricci che il prefetto Bortuzzi, toscano a capo della sede di Montelusa, intende far rappresentare nel nuovo teatro di Vigàta. La storia, ispirata ad un fatto di cronaca (l'incendio del teatro di Caltanissetta nel 1875), si sviluppa come una serie di quadri successivi: ogni capitolo trae il titolo dalla frase con cui inizia, che si rifà ad un'opera famosa. Si va così da "Era una notte che faceva spavento", titolo del primo capitolo che riecheggia l'inizio del "romanzo" tentato da Snoopy ("Era una notte buia e tempestosa"), a "Altri avrebbero potuto farci un libro", titolo che si ispira alla Porta stretta di Gide e che costituisce l'incipit del capitolo finale. Quello citazionistico non è l'unico gioco seguito in quest'opera da Camilleri, che scombina le carte già nella disposizione dei capitoli, visto che il Capitolo primo (quello che cita l'opera di Gide) è in realtà posto alla fine del libro. Egli stesso avverte, in un post scriptum, che "la successione dei capitoli disposta dall'autore non era che una semplice proposta: ogni lettore infatti, se lo vuole può stabilire una sua personale sequenza" (p. 237). La relatività dell'ordine delle pagine è la stessa della vicenda narrata. La testardaggine del prefetto Bortuzzi sull'opera di Ricci sembra motivata dalla voglia di imporre alla Sicilia la presenza del neonato Stato unitario; si pensa anche ad una parentela con il musicista, o ad una relazione extraconiugale con una cantante. Prima di svelare il mistero di questa imposizione Camilleri intreccia in un'unica storia una serie di motivi conduttori: dalle discussioni del circolo cittadino "Famiglia e progresso" ai progetti rivoluzionari del repubblicano Traquandi, che la sera dell'inaugurazione darà fuoco al teatro per dare risalto ad un presunto malcontento popolare, perché "tutti in questa terra ripongono speranze nell'anarchia" (pp. 77-78) e "si la cosa la famo diventà grossa assai, ne dovranno parlà tutti, e non solo qua a Vigàta" (p. 79). Parallele a questa congiura politica sono le manovre di don Memè Ferraguto, che cerca in tutti i modi di ingraziarsi il prefetto e sorride sempre, anche quando scopre il cadavere del figlio (non ancora ventenne) assassinato. Scoperti i nomi dei due assassini, don Memè si vendica martoriandone i corpi e viene liberato dopo pochi giorni di carcere grazie alla testimonianza di molti cittadini, tra cui un astigiano ed un pratese:

"Ma quant'è bella l'unità d'Italia!" aveva esclamato don Memè con un sorriso più cordiale del solito, mentre gli si aprivano le porte del carcere (p. 39)

Il tema politico comprende ideali altisonanti come quelli di Traquandi, che è disposto anche alla violenza pur di difendere la propria idea, e piccole scene di ordinari giochi di potere come per la scarcerazione di don Memè. Alla fine della storia alcuni moriranno, come il delegato Puglisi e lo stesso don Memè; il piccolo Gerd che all'inizio del libro è un bambino che scopre l'incendio del teatro, a distanza di anni sarà un adulto che cerca invano di interpretare i fatti e ricostruire la verità. In questo affresco quanto mai variegato e volutamente caotico trova posto anche la vicenda di Concetta e Gaspàno. Concetta è rimasta vedova a vent'anni di un marinaio morto nelle acque di Gibilterra e ha imparato da lui il linguaggio del mare: "non riusciva a pensare con altre parole" (p. 27). Dopo la sua morte è iniziato il tempo del lutto ma con Gaspàno, conosciuto in chiesa e subito ammirato ("beddru era, beddru, un angilo di paradiso", p. 30), nasce una passione che a Concetta appare subito irrinunciabile:

Capì, in quel preciso intifico momento, che ogni cosa nella navigazione cangiava per lei: lui, per forza, doveva essere il suo porto, a costo di doppiare Capo Horn. […] Rimasero a taliarsi per un minuto eterno (ibidem)

L'incontro tra Concetta e Gaspàno è raccontato con il linguaggio del mare, tanto esplicito nelle sue metafore quanto poetico:

Ma l'apparente mancanza d'aria non impedì alla vedova di notare che il cavo d'ormeggio cangiava forma, principiava a diventare una specie di rigido bompresso. Poi lui si chinò, la pigliò senza dire parola per di sotto le asciddre sudate, la isò alta sopra la propria testa. […] Intanto il bompresso aveva ancora cangiato di forma: ora era diventato un maestoso albero di maestra, solidamente attaccata al quale la vedova Lo Russo pigliò a oscillare, a battere, a palpitare, vela piena di vento (p. 29) […]La strambata violenta che a un certo momento lui decise di fare la pigliò di sorpresa, ma non fece discussione, lesta obbedì. E Concetta, diventata questa volta barca, paranza di vela latina, si trovò con la prua sopra il cuscino e la poppa tutta alzata a cogliere il vento che proprio da poppa, facendola balzare da cavallone a cavallone, irresistibilmente la sospingeva verso il mare aperto, senza più bussola e sestante (p. 31).

Come si accennava, nel romanzo si intrecciano l'eros e la violenza, l'attrazione e la morte. Lo si vede dalle scene successive, quando il delegato Puglisi scopre i cadaveri di Concetta e Gaspàno rimasti vittime dell'incendio e finisce per fare sesso con la sorella di lei, l'appassionata (al limite dell'aggressione fisica) Agatina:

Lei principiò a vasarlo fitto sulla faccia e sul collo, come un augello quando mangia: una botta di becco, la testa narrè, un'altra botta di becco, la testa di nuovo narrè […] Agatina, dopo la vicenna fra loro due, che si erano muzzicati e strisciata la pelle di graffiuna e che erano caduti dal tavolino per terra continuando a ficcare, pareva tanticchia calmata (p. 128)

È evidente l'analogia con la supposizione che Camilleri fa su Pirandello nella Biografia del figlio cambiato, quando racconta che Pirandello, giovanissimo, ha visto un uomo e una donna fare l'amore accanto a un cadavere.17 Anche nel libro di Camilleri la morte è una presenza decisiva, come dimostra la vicenda di don Memè che, per aver cercato di appoggiare Bortuzzi nella scelta del Birraio, verrà fatto uccidere dall'onorevole Fiannaca. Don Memè è colpevole di una sorta di connivenza con il prefetto e ha in qualche modo oscurato, o cercato di oscuare, il potere dell'onorevole, vero arbitro degli interessi politici locali. Così dopo una giornata passata a raccogliere arance in una sua "casuzza solitaria" di campagna, Ferraguto vede arrivare "Gaetanino Sparma, il cosiddetto camperi dell'onorevole Fiannaca" (p. 219). Sparma gli spiega la differenza tra "un prepotente qualsiasi" e un "omo di rispetto" (p. 220), gli fa capire che ha osato troppo appoggiando così apertamente il prefetto e alla fine, "pirsuaso d'avergli dato tutte le ragioni possibili per quello ch'era il compito suo" (p. 221), lo uccide con un rasoio. Non si tratta dell'unica morte: muore anche il medico Gammacurta, che uscendo da una porta laterale del teatro viene scambiato per un ladro e ucciso la sera in cui va in scena il Birraio; morirà anche il delegato Puglisi, ucciso dopo aver capito che è stato Traquandi a ideare l'incendio del teatro. Il romano ha sfruttato l'insofferenza dei vigatesi verso il prefetto toscano e l'opera di Ricci per far nascere, attraverso l'incendio, un'improbabile sommossa popolare contro il governo monarchico. Ideali mazziniani tanto nobili quanto violenti, intrighi politici e circoli musicali: Il birraio di Preston rivela il suo carattere di farsa tragica in cui tutto finisce per sovrapporsi, anche linguisticamente, dal siciliano, lingua dominante nel consueto ibrido di Camilleri, alla parlata toscana del fiorentino Bortuzzi, dall'italiano perfetto di Gerd (quando prende la parola, adulto, alla fine del libro) al dialetto romano di Traquandi. L'unità d'Italia evocata ironicamente da don Memè mostra tutto il suo carattere di atroce inganno, anche perché alla fine la testardaggine del prefetto (con le sue tragiche conseguenze) si rivelerà immotivata. Egli ha voluto imporre l'opera di Ricci perché ricordava di aver conosciuto la moglie a teatro, proprio alla rappresentazione del Birraio: "Vestivi tutta d'azzurro come il cielo e celeste tu eri infatti, pareva non posassi sulla terra. Folgorato rimasi, impietrai" le scrive (p. 206). Sarà però proprio la consorte a chiarire che quella sera andava in scena un'altra opera, per la precisione (come ricorderà lo stesso prefetto) La Clementina di Boccherini. La sorpresa finale non cancella la tragedia di tante morti, alcune del tutto accidentali come quella del medico, non cancella lo scandalo di un ambiente in cui tutti non pensano che all'affermazione del proprio prestigio ed alla difesa dei propri privilegi. Di questa polifonia il lettore sarà portato a ricordare, accanto alle note cupe dei tanti assassinii, anche quelle semiserie delle discussioni del circolo cittadino e quelle appassionate e struggenti di Concetta e Gaspàno, tutte sottolineate da una fine assurdamente imprevedibile. Camilleri ha ripreso un documento storico e reinventandolo ha messo a nudo, come avrebbe fatto Sciascia, i mali della violenza e del malcostume politico; ma ha anche lasciato intravedere la suggestione poetica dell'eros, un fuoco ancora più intenso di quello che aggredisce il teatro, anche quando assume i toni un po' squallidi del rapporto tra Agatina e il delegato Puglisi. Sembra di sentir risuonare la risata beffarda di Ciampa di fronte alla pazzia della signora Beatrice, da lui stesso suggerita per salvare le apparenze, nel Berretto a sonagli: è come se i personaggi di Vigàta decidessero di mostrarsi al lettore così come sono, senza nessuna maschera, proprio come sarà costretta a fare la donna tradita dell'opera pirandelliana.


Con una risata non troppo dissimile da quella di Ciampa inizia la storia in cui Montalbano perde il controllo di sé, esce dal proprio personaggio non per un superiore senso di umanità ma perché incapace di controllare il proprio desiderio. Nella Vampa d'agosto il commissario finirà per tradire Livia ma sarà anche vittima di un inganno, questa volta non sarà lui a recitare una parte ma verrà ingannato dalla recita della sensualissima Adriana.18 L'eco della risata di Ciampa si ritrova già all'inizio del romanzo, quando Montalbano viene svegliato dal cellulare e Camilleri osserva che "in un paisi civilizzato come il nostro (ah ah)" non si riconosce un suono di cannonate, ma al trillo del telefonino "l'omo civilizzato (ah ah) non può fari altro che assumare dalle profondità del sonno e arrispunniri" (p. 9). A chiamare il commissario è stata Livia e il loro primo dialogo è all'insegna della finzione: Salvo dice che era sotto la doccia e non che stava dormendo. È necessario trovare una casa per Laura, l'amica di Livia che verrà in Sicilia insieme al marito ed al figlio. La casa viene trovata grazie all'agenzia del signor Callara, ma da subito si rivela fonte d'inquietudine, perché viene invasa a più riprese da animali: prima scarafaggi, poi topi, poi ragni, presenze "landolfiane" come nota Salvatore Silvano Nigro nel risvolto di copertina. La casa, come ha raccontato lo stesso Callara al commissario, è stata costruita per Angelo Speciale, settantenne emigrato in Germania e sposato con una tedesca, madre del ventenne Ralf. Della costruzione s'è occupato il geometra Spitaleri, ma poi la casa non è mai stata abitata: dopo averla vista (insieme a Ralf che lo ha accompagnato dalla Germania) a costruzione ultimata, Speciale è tornato al nord in treno per organizzare il trasloco, ma Ralf è scomparso durante il viaggio ("La valigia […] era nello scompartimento, ma di lui non c'era traccia", p. 14) e il settantenne è morto a Colonia dopo meno di un mese. Resta dunque solo la vedova, Gudrun, che ormai non ha nessun interesse a trasferirsi in Sicilia. A questo cupo prologo fa seguito una duplice scoperta, favorita dalla momentanea scomparsa di Bruno, il figlio di Laura che è caduto in una crepa del terreno (è da qui che sono arrivati gli animali): la casa ha un piano sotterraneo abusivo, pronto per essere abitato e completo di allacciamenti per acqua e luce, e in un baule c'è il cadavere di una giovane. Da questo momento si intrecciano diversi piani narrativi, dalle difficoltà tra Montalbano e Livia che, arrabbiata perché Salvo non le ha detto subito del cadavere, fa le valigie (insieme alla coppia di amici e al piccolo Bruno), all'indagine sulla morte della ragazza e sulla costruzione di case abusive. Sullo sfondo c'è la morte di un muratore arabo, caduto dall'impalcatura per mancanza di protezione nel cantiere; c'è soprattutto un caldo sempre più forte, una "vampa" che non è solo climatica ma è anche quella dell'indignazione morale e politica contro il malcostume imperante, che emerge in tutta la sua spregiudicatezza nelle parole del capocantiere Dipasquale:

"Lei sa, naturalmente, che a Pizzo è stato fabbricato un intero piano abusivo?"
Dipasquale non s'ammostrò né surpriso né turbato.
"Certo che lo so. Ma io agli ordini obbidivo"
[…] "Le dico che c'è complicità e complicità. Chiamari complicità l'aviri aiutato uno a fari un piano abusivo è come chiamare firita mortali la puntura di una spingula". Macari dialettico era, il signor capocantiere (p. 89)

Il commento agrodolce di Camilleri sembra quasi spiegare, se ce ne fosse bisogno, quell'"ah ah" che accompagnava, all'inizio del romanzo, l'accenno all'uomo civilizzato. La denuncia dello squallore conosce la dignità di un commento appena accennato: una frase così piena di superficialità non merita lo spreco di ulteriori parole.


Il commissario resta senza parole anche in seguito, di fronte agli appoggi politici di cui gode Spitaleri. Legato al partito del sindaco (che è lo stesso del presidente della regione), il geometra è sostenitore dell'onorevole Catapano, a sua volta in ottimi rapporti con i Cuffaro e i Sinagra, le due famiglie mafiose di Vigàta:

Montalbano si sentì per un attimo avviluto. Possibile che le cose non cangiavano mai? Zarazabara, si andava sempri a finire tra parentele perigliose, collusioni tra mafia e politica, tra mafia e imprenditoria, tra politica e banche, tra banche riciclaggio e usura…

Che balletto osceno! Che foresta pietrificata fatta di corruzione, imbrogli, malaffare, indegnità, affarismo! […]

Come diciva patre Dante?


Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave senza cocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie ma bordello!

L'Italia continuava a essiri serva […] macari a causa di un nocchiero che era meglio perdirlu ca truvarlu […] il bordello era crisciuto in modo esponenziale (pp.114-115)

La vittima trovata nel baule è una ragazza minorenne, Caterina Morreale (detta Rina), la cui foto, emblema di bellezza ed innocenza violata, fa commuovere Catarella ("Quant'era beddra!", p. 107) e Fazio ("Mischineddra", p. 108), mentre Montalbano dichiara "con voce piana" di voler spaccare la faccia al colpevole quando lo avrà trovato (ibidem). La crisi di questa storia investe dunque tutti i piani, da quello del clima (c'è un caldo tale che il commissario spesso resta in ufficio senza i vestiti) a quello civile. Si deteriora anche il rapporto con Livia, partita per una crociera col cugino Massimiliano e non già fredda, ma addirittura indifferente alle telefonate di Salvo, fino a divenire irraggiungibile a causa del cellulare spento. In questo quadro irrompe la bellezza fresca di Adriana, gemella della vittima, il cui arrivo in commissariato fa ricordare a Montalbano alcuni versi di Pessoa che, nella loro contemplazione incantata, si contrappongono allo sdegno della poesia dantesca:

La vitti arrivare dal funno del corridoio. […] E a mano a mano che la picciotta s'avvicinava […] il commissario a mano a mano si susiva a lento, sintennosi felicemente annegare in una specie di dolcissimo nenti.

Testa di pallido oro
Con occhi d'azzurro cielo,
Chi t'ha dato l'incantesimo
Che io non sia più io?

Era una quartina di Pessoa che gli cantava dintra (p. 169)

Sarà Adriana, che sa sempre di pulito e di fresco come appena uscita dalla doccia anche nell'afa d'agosto, che gli dice al telefono "ti voglio bene" facendolo "assuppari di sudori istantaneo" (p. 211), a far breccia nel cuore di Salvo. La ragazza si porta dentro il dolore per la morte della sorella e l'odio per Spitaleri che, nonostante il falso alibi di un volo a Bangkok, è l'assassino di Caterina. Per il commissario è un simbolo di freschezza e spontaneità, ma baciandola Montalbano si sente "sprufunnari nella vampa d'agosto" (p. 255); l'inevitabile accade nel mare, di fronte alla casa del commissario:

Montalbano, d'istinto, la tenne per la mano, ma […] cadì macari lui supra alla picciotta.
Riemersero 'ntorciuniati, squasi una lotta, col sciato corto come dopo una longa apnea. […] Assumarono ancora cchiù stritti e po' s'annigarono definitivamente in un altro mari (p. 263).

Siamo ancora, con l'eco dell'Infinito leopardiano, di fronte al tema del mare, come nel Birraio, e ancora dentro una storia di intrighi e di potere: ma c'è un clima più torbido e insieme più imprevedibile. L'attrazione descritta nella Vampa d'agosto sembra collocarsi in una tradizione erotica siciliana che va da Brancati a Patti ad altri testi dello stesso Camilleri19, stabilendo una sorta di analogia tra un paesaggio ardente e l'esplosione improvvisa dei sensi. Montalbano dovrà però ricredersi sulla capacità salvifica di Adriana, che all'ultimo momento approfitterà di lui per uccidere Spitaleri vendicando la morte della sorella. La ragazza sparerà con la pistola del commissario, che dovrà dichiarare di aver premuto il grilletto per salvarla da un tentativo di violenza:

Si taliarono, vicinissimi. E allura il commissario, sintenno che la terra gli sprufunnava sutta ai pedi, capì. […]Con il finto ti voglio bene, con la finta passione, col finto scanto, l'aviva portato passo appresso passo fino a indove voliva arrivare. Era stato un pupo nelle sò mano.
Tutto un tiatro, tutta una finzione.
E lui, vecchio, alluciato dalla billizza e perso darrè a quella giovintù che l'imbriacava, c'era caduto, a cinquantacinco anni sonati, come un picciliddro.
Natava e chiangiva (pp. 270-271)

La storia non si conclude all'insegna della risata che aveva aperto il libro, perché l'autore non si rivolge più ai mali della società ma alla fragilità del suo personaggio, sciogliendo l'intreccio in una nota finale di pietà ed umana comprensione.


IV. LA TRADIZIONE E LA MODERNITÀ


L'indagine sui testi di Camilleri potrebbe continuare, magari esaminando La pensione Eva o soffermandosi sull'intreccio cupo del romanzo Il tailleur grigio (2008), dove l'eros si carica della tensione del thriller ma con il disincanto che viene al protagonista (destinato alla morte) dall'età ormai avanzata; ma i testi qui considerati sono sufficienti a ricavare alcune conclusioni di carattere generale. Camilleri dispone di un vasto repertorio fatto di capacità d'invenzione e sensibilità umana, di gusto per il teatro e per lo scarto imprevedibile della storia da quello che sembrava un binario scontato. Per questo i suoi libri sono così ricchi sul piano dell'intreccio narrativo e delle sfumature psicologiche, per questo tanti temi finiscono per intrecciarsi nelle sue opere, dal ritratto di costume alla denuncia civile. Lo scrittore di Porto Empedocle esprime una tradizione capace di confrontarsi con la dimensione problematica della modernità, sullo sfondo di una Sicilia irrinunciabile e di una parabola letteraria che sembra riecheggiare un'osservazione di Quasimodo in Una poetica (1950), uno dei suoi discorsi sulla poesia:

Ma poi: quale poeta non ha posto la sua siepe come confine del mondo, come limite dove il suo sguardo arriva più distintamente? La mia siepe è la Sicilia; una siepe che chiude antichissime civiltà e necropoli e latomie e telamoni spezzati sull'erba e cave di salgemma e zolfare e donne in pianto da secoli per i figli uccisi, e furori contenuti o scatenati, banditi per amore o per giustizia.20

È nel solco di questa continuità letteraria che si situano le storie di Andrea Camilleri, capaci di convogliare i più molteplici influssi letterari in esiti assolutamente autonomi e ricchi di suggestione.



BIBLIOGRAFIA


Opere di Andrea Camilleri alle quali si fa riferimento:


Camilleri, Gli arancini di Montalbano, Mondadori, Milano 2001.

Camilleri, Biografia del figlio cambiato, Mondadori, Milano 1999.

Camilleri, Il birraio di Preston, Sellerio, Palermo 2001.

A. Camilleri, La mossa del cavallo, Rizzoli, Milano 1999.

A. Camilleri, La pensione Eva, Mondadori, Milano 2006.

Camilleri, Un sabato, con gli amici, Mondadori, Milano 2009.

Camilleri, Il tailleur grigio, Mondadori, Milano 2008.

Camilleri, La vampa d'agosto, Sellerio, Palermo 2006.


Altri riferimenti essenziali:


G. Capecchi, Andrea Camilleri, Edizioni Cadmo, Fiesole 2000.

S. Demontis, I colori della letteratura. Un'indagine sul caso Camilleri, Rizzoli, Milano 2001.

M. Manotta, Luigi Pirandello, B. Mondadori, Milano 1998.

S. Quasimodo, Poesie e discorsi sulla poesia, Mondadori, Milano 1996.

L. Sciascia, Occhio di capra, Einaudi, Torino 1984.

L. Sciascia, La scomparsa di Majorana, Einaudi, Torino 1975.




NOTE



1 Non sempre: si pensi al recente romanzo Un sabato, con gli amici, Mondadori, Milano 2009, scritto interamente in lingua italiana, senza alcuna traccia dialettale e non inquadrabile né tra le storie di Montalbano né tra i romanzi storico-civili legati, in modo più o meno diretto, all'isola natia.

2 A. Camilleri, citato in S. Demontis, I colori della letteratura. Un'indagine sul caso Camilleri, Rizzoli, Milano 2001, p. 27 (tutte le successive citazioni si riferiranno a questa edizione).

3 S. Demontis, I colori della letteratura, op. cit., p. 28.

4 A. Camilleri, citato in G. Capecchi, Andrea Camilleri, Edizioni Cadmo, Fiesole 2000, p. 86 (tutte le citazioni sono tratte da questa edizione).

5 Per un'analisi della Mossa del cavallo e l'importanza delle implicazioni linguistiche cfr. G. Capecchi, Andrea Camilleri op. cit., pp. 64-66.

6 L. Sciascia, Kermesse, Sellerio, Palermo 1982; poi in Id., Occhio di capra, Einaudi, Torino 1984. Per queste riflessioni cfr. S. Demontis, I colori della letteratura op. cit., pp. 15-18.

7 Cfr. L. Sciascia, La scomparsa di Majorana, Einaudi, Torino 1975. Per una conferma dei legami tra quest'opera e l'esperienza di Camilleri cfr. S. Demontis, I colori della letteratura op. cit, pp.161-163.

8 Cfr. Giovanni Capecchi, Andrea Camilleri op. cit., pp. 13-16.

9 Cfr. A. Camilleri, Biografia del figlio cambiato, Rizzoli, Milano 2000. Della sterminata bibliografia critica pirandelliana si cita qui M. Manotta, Luigi Pirandello, B. Mondadori, Milano 1998, utile sia per un inquadramento generale che per una'analisi delle singole opere.

10 Come Camilleri stesso ha avuto modo di spiegare, il nome di Vigàta racchiude in sé i toponimi di Porto Empedocle e Licata; Montelusa, capoluogo di provincia, è il nome che Pirandello stesso usa nelle sue novelle – in alternativa a Girgenti – per indicare Agrigento.

11 Le citazioni sono tratte da A. Camilleri, Prova generale in Id., Gli arancini di Montalbano, Mondadori, Milano 2001, pp. 7-17.

12 A. Camilleri, Sostiene Pessoa in Id., Gli arancini di Montalbano op. cit., pp. 52-63. Tutte le citazioni sono tratte da questa edizione.

13 È impossibile non pensare al romanzo Sostiene Pereira (1994) di Antonio Tabucchi, profondo conoscitore (e traduttore) dell'opera di Pessoa.

14 Cfr. A. Camilleri, Un caso di omonimia in Id., Gli arancini di Montalbano op. cit., pp. 64-76.

15 Tutte le citazioni sono tratte da A. Camilleri, Montalbano si rifiuta in Id., Gli arancini di Montalbano op. cit., pp. 130-137.

16 Tutte le citazioni sono tratte da A. Camilleri, Il birraio di Preston, Sellerio, Palermo 2001.

17 Cfr. S. Demontis, I colori della letteratura op. cit., p. 154.

18 Tutte le citazioni sono tratte da A. Camilleri, La vampa d'agosto, Sellerio, Palermo 2006.

19 Si pensi alla trilogia sul gallismo di Brancati o ai romanzi La cugina (1965) e Un bellissimo novembre (1967) di Patti, dove l'ambientazione sembra fondersi con la sensualità dei personaggi, o, per Camilleri, alla Pensione Eva (2006), qui non analizzata per motivi di spazio, il cui titolo allude ad una casa di tolleranza che, nella Sicilia della seconda guerra mondiale, sarà per un gruppo di ragazzi un luogo di iniziazione e di crescita morale.

20 Il discorso, del 1950, si legge in S. Quasimodo, Poesie e discorsi sulla poesia, Mondadori, Milano 1996 (la frase citata è a pagina 279).