IL CRISTALLO, 2010 LII 1 [stampa]

G. PEDULLÀ, Il teatro italiano nel tempo del fascismo, Corazzano (Pisa), Titivillus, 2009, pp. 345.

recensione di MASSIMO BERTOLDI

Pubblicato nel 1994 a Bologna da Il Mulino, il fortunato libro di Gianfranco Pedullà giunge alla seconda edizione per iniziativa di Titivillus, che lo pubblica integralmente aggiungendo la prefazione dell'autore e una serie di immagini raccolte nella sezione "Il teatro di massa nel tempo del fascismo". Si tratta di un contributo fondamentale per conoscere la situazione, le contraddizioni, le anomalie del teatro italiano durante il Ventennio. Argomento questo oggetto di altri studi relativamente recenti che hanno arricchito con indagini specifiche e nuove prospettive di ricerca le molteplici sfaccettature della vita dello spettacolo in una fase di grandi cambiamenti, riusciti e falliti, che riguardano il tramonto del teatro mattatoriale e la tormentata acquisizione del regista (Roberto Tessari, Teatro italiano del Novecento. Fenomenologie e strutture (1906-1976), Firenze, Le Lettere, 1996), la riorganizzazione del sistema con un assetto legati alle leggi del mercato, che prima provocò il superamento della famiglia d'arte quale principale nucleo produttivo poi assorbito dalle severe regole di controllo e di censura attivate dal regime (Emanuela Scarpellini, Organizzazione teatrale e politica del teatro nell'Italia fascista, Nuova edizione accresciuta, LED, Milano, 2004). A Silvio d'Amico, fondamentale figura di critico teatrale e influente organizzatore culturale, sono stati indirizzati studi specifici ed è stata pubblicata l'edizione in quindici volumi di una selezione de Le cronache teatrali, a cura di Alessandro d'Amico (Palermo, Ed. Novecento, 2001-2005).

Le metamorfosi dell'attore, la controversa affermazione del regista, l'industrializzazione del consumo dello spettacolo, l'intervento statale del fascismo, il ruolo della critica militante, sono temi che si intrecciano e si rincorrono nella ricerca storica di Pedullà. Si posizionano in una fitta rete di collegamenti complessi e articolati e colorano un quadro ricco di fermenti e progetti innovativi, che cercarono di attecchire nel tessuto culturale e strutturale della scena italiana.

Nel primo decennio dell'era fascista mancò "un chiaro referente istituzionale che si prendesse cura programmaticamente del sistema teatrale nazionale", sottolinea lo studioso, che ricorda l'importanza delle prefetture per l'ordine pubblico e l'esercizio della censura. Furono anni di profonda crisi della scena drammatica e lirica, penalizzata dalla crisi finanziaria e, di riflesso, da un pubblico perciò latitante e attirato da altre forme di intrattenimento di massa, quali in cinema e le manifestazioni sportive. le risposte alla crisi furono numerosi progetti di riforma finalizzata a garantire un concreto intervento statale in grado di superare il nomadismo dell'attore e la formazione di compagnie stabili nei teatri pubblici. Parteciparono ai dibattiti, tra i tanti, Pirandello, Martinetti, lo stesso d'Amico che risultò decisivo e trovò i favori di Mussolini. La fondazione della Corporazione dello spettacolo nel 1930 poco incise sulle condizioni precarie dello spettacolo, mentre la ristrutturazione avvenne negli anni 1934-1338 quando si concretò una forte e incisiva azione dello Stato attraverso l'istituzione dell'Ispettorato generale del teatro poi diventato Direzione generale del teatro, quindi Ministero per la Cultura Popolare. La nuova impalcatura legislativa diventò un rigido sistema d controllo attraverso le sovvenzioni distribuite alle principali compagnie. Furono favorite le cosiddette "primarie", fu dato nuovo impulso alla lirica, considerata depositaria dei valori popolari dell'italianità. Pedullà dedica un interessante e approfondito capitolo, Fuori d'Italia, alle tournée internazionali degli attori italiani e dimostra come dalla circuitazione degli anni Venti dovuta essenzialmente alla ricerca di nuove platee per effetto della crisi interna, si passò ad un incremento negli anni Trenta e Quaranta attraverso sostanziosi contributi governativi che, in questo modo, intendevano esportare l'immagine elevata e colta della "nuova Italia".

"L'Italia in guerra - scrive ancora Pedullà - richiedeva la promozione di forme teatrali che dimostrassero connotazioni chiaramente popolari". Così trovarono nuova linfa vitale generi prima trascurati o relegati in posizioni marginali, quali la rivista, l'operetta, il teatro comico e brillante in genere, e il tanto osteggiato repertorio dialettale.

Pregio de Il teatro italiano nel tempo del fascismo è il metodo di assemblaggio e di interpretazione di una massa di materiali eterogenei, accorpati in un piano storico e culturale assai complesso. Le ombre e le luci si accendono e si spengono quando puntano i riflettori sulle esperienze creative in un certo senso solitarie, da Pirandello a Bragaglia e Petrolini, che assai poco legarono con il culto del teatro di massa.