IL CRISTALLO, 2010 LII 2-3 [stampa]

LA POESIA CIVILE DI RENZO FRANCESCOTTI

di SILVANO DEMARCHI

Di Renzo Francescotti poeta trentino di rilevanza nazionale, che scrive sia in lingua che in dialetto, ci occuperemo solo delle poesie in lingua, escludendo in questa trattazione la consistente produzione narrativa e saggistica.

La poesia di Renzo Francescotti è tutta incentrata sulla realtà, sugli eventi storici o i fatti della vita quotidiana. Estranea alle suggestioni simboliste o ermetiche, si concentra sulla visione sociale, inizialmente entro un'ottica marxista, obbiettivandosi in figure e situazioni, come quella ad esempio dell'intervento americano nella Guerra del Vietnam, di cui allora su tutti i giornali se ne parlava, su cui scrisse questa bella poesia intitolata a una farfalla (vagamente ispirandosi a una nota poesia di Rimbaud "I colori").

"Papilio Priamus". Poiché tutta la mia disperazione popolo del Vietnam/ non ha più peso/ dell'ala d'una farfalla/ ne dirò solo i colori. / Verde i campi di riso. Giallo/ le bombe al fosforo. Rosa/ la vampa del napalm. Nero/ giungla defoliata. / "Papilio Priamus"/ c'era scritto lì sotto. / Veniva dal Vietnam. Bella. / Trafitta da uno spillo. Avevano/ ammazzato anche quella.

Originale nella sua tematica è la "Morte di Manitou", raccolta premiata nel "Città di Bolzano 1978", ispirata alla storia dei Pellerossa e del loro genocidio operato dai Bianchi che si svolge in una rapsodia di situazioni e figure che rievoca, da un lato, tutto quello che di suggestivo offriva quella popolazione e la sua civiltà sullo sfondo di praterie sterminate, dall'altro la denuncia pungente e amara del colonialismo con i suoi tradimenti ed eccidi. Hanno fumato con noi/ per tante volte/ che non c'era più quasi/ scorza di salice rosso. / Ma sempre poi/ ci hanno sparato addosso. E il raccapricciante massacro: Li hanno ammazzati tutti/ quando ci fu la corsa all'oro.

Siamo in presenza di momenti che ci fanno dolorosamente meditare sull'eterno conflitto di oppressi e oppressori, i primi vittime innocenti, rei soltanto di aver posseduto una terra che nascondeva ricchezze, i secondi arroganti predatori, sospinti dalla fame dell'oro opportunamente mascherata dall'ideale della civilizzazione.

Manitou è uno di questi oppressi, più simbolo che persona: "Manitou/ lo so che il mio volto è una pietra, rosa da troppe lune, / radici quasi secche le mie gambe. "

Frequenti i toni di alta drammaticità, chiaro il messaggio sociale che deriva da una personale ricognizione della storia che non si può rifiutare.

Con quest'opera, osserva il critico Nunzio Carmeni che gli ha dedicato un saggio, Renzo Francescotti ha raggiunto la piena maturità poetica, dopo gli esordi alla ricerca di una propria identità stilistica e tematica ("Il grido imbavagliato", 1972, "Se ci vogliamo salvare", 1974), abbandonando definitivamente il modulo simbolista e metaforico della poesia prebellica, per un aggancio diretto alla realtà storica e sociale.

Di essa scrive: "Opera di grande respiro lirico, la "Morte di Manitou" ha un'unità che non conosce incrinature. Molti testi sono, semplicemente, degli autentici capolavori. " Fra questi "Fuoco": "Brucia la prateria, / non sentite l'afrore del fumo? "…Non lo sappiamo, ma siamo/ accerchiati da una frontiera/ di fuoco. / Bisognerebbe far cadere/ la grande pioggia. / Ma ne abbiamo scordato la preghiera. "

L'interesse per le ingiustizie perpetrate dai Bianchi sulle popolazioni locali prosegue in "L'usignolo del Don", 1984, condanna della guerra; "Il canto del fiume verde", 1989, relativo alle genti amazzoniche; "Saguaro", 1992, riguardante gli Indios messicani accompagnate da sillogi dialettali di cui la più significativa è forse "La guerra dei carneri".

 

Nell'"Usignolo del Don" il poeta riprende i temi del pacifismo e dell'antimilitarismo, collocandoli in altro contesto storico e geografico. Narra infatti del soldato costretto contro la sua volontà, a combattere sui campi di battaglia di Grecia e di Russia. Chiaro appare il contrasto tra chi vuole la guerra, magari senza direttamente affrontarla, e chi, come il soldato, deve eseguire gli ordini, uccidendo il fratello. In mezzo a questa tragedia compare ogni tanto qualche intermezzo di contemplazione della natura: "Ci proteggevano/ l'urlo del vento, la follia/ della tormenta. / Non ci sarebbe stata/ per quella notte/ la porta spalancata in un risucchio/ di fragore, e bianchi messaggeri/ di morte a sparare nel mucchio… basta/ la pagoda verde/ d'un salice piangente/ sulla riva d'un piccolo stagno/ e torna la carezza, di nostra madre. " Il verso è alfierianamente secco, essenziale secondo la poetica di Francescotti, contrario ad orpelli retorici, a inutili amplificazioni per dare adito a tutta la forza drammatica di cui è intessuta la vicenda narrata o talvolta a smemorarsi in quiete descrizioni di paesaggio o in ricordi d'un irrevocabile passato.

L'archetipo del fiume sembra esercitare una particolare attrazione sul poeta, forse perché attraversando varie regioni è testimone muto e inconsapevole di tante vicende.

Così nel "Canto del fiume verde" dove una imbarcazione sconnessa risale dalla foce alla sorgente il fiume, che potrebbe essere il Rio delle Amazzoni. Osserva Giancarlo Sevignani: "La lenta corrente del fiume densa di miasmi, marciume putrescente (è) trasparente e robusta metafora di una vita che anela a purezze cristalline, empirei incontaminati, primigeni candori".

Un racconto poetico come metafora, un paesaggio più mentale che reale: "È un remare dolente. / È un paesaggio della mente/ questo che percorriamo, topografia/ del cervello, argonauti/ senza bussola. Dentro e fuori. "

La barca viaggia in un mondo misterioso dove il degrado però è evidente: "odore di fango e cadavere, notte d'antracite, nebbie/ di putredine, verde palude, capanna disabitata. " Si chiede il poeta prestando la sua voce agli uccelli: "Ma/ che ci facciamo qua, / uccelli oscuri di bagnate piume/ tremanti sullo scoglio, / senza sapere dove/ spiccare il volo nel buio? " Paulo maiora canamus! Il clima si solleva, pur mantenendo il disagio esistenziale in "Saguaro" che parla di un missionario gesuita tra gli indios dell'Amazzonia, tre secoli fa. I "mantelli neri" ossia i preti portavano il Vangelo al seguito degli sterminatori bianchi, ponendosi spesso dalla parte degli oppressi. Scrive all'inizio l'Autore: "Sono stato in Brasile, a trovare mio figlio. E là ho conosciuto dei missionari trentini che operano nella favelas, tra i derelitti. A tutti loro, gli uomini in missione nel mondo, è dedicato questo libro. " La visione di quell'ambiente povero si connette al ricordo dell'infanzia nella sua Anaunia; così in "Melecotogne": "Questo profumo di melecotogne/ che avvolge i mattoni di argilla secca/ nella mia piccola stanza, cresciute/ qui a Nuestra Senora de los Dolores/ viene da diecimila chilometri da qui. / Oltre le mappe delle tempeste/ di là dall'oceano che io so/ non riattraverserò, poiché/ con lacci iridiscenti/ come le loro lacrime/ mi trattengono i miei, / nella mia Anaunia che ha la luce di cristallo/ di queste foreste pluviali…"

Su questo libro, scrivevo a suo tempo sulla rivista "Il Cristallo": "Un esempio di poesia dove l'alto lirismo si sposa ad una elevata eticità… poesia dai calibrati esiti formali, dove le evocazioni liriche si alternano ad accensioni drammatiche, a momenti meditativi, dove la denuncia è più sottesa all'episodio che scopertamente enunciata, acquistando il tono di una profonda amarezza. "

A rendere accattivante la lettura sono le sparse incisioni del noto artista trentino Remo Wolf che impreziosiscono il testo.

 

Lasciate le epopee di popoli e civiltà scomparse, oppresse dall'ingiustizia, Renzo Francescotti si è ritirato nel suo territorio, rilevando le origini celtiche, esaltando un pacifico tipo di vita alpestre, destinato prima o poi a scomparire, contro il ritmo frenetico della vita cittadina, secondo un modulo ricorrente nella poesia latina e privilegiando il dialetto trentino. tutto ciò ha dato luogo all'ultima opera "Lovi solagni" (lupi solitari) del 2007 che riunisce cinque precedenti poemetti, tutti con traduzione in lingua da parte dell'Autore.

Come si vede, complessa e quanto mai interessante e attuale la produzione poetica di Renzo Francescotti, nel segno di un'alta cifra stilistica, di una tematica coinvolgente.

Personalissima questa poesia tutta riversa sul sociale, che mette brechtianamente in risalto l'eterna lotta tra oppressori e oppressi indifesi per bieche mire di potere e di ricchezze materiali, assente ogni senso di umana pietà. Di qui l'alto senso civico e morale che induce i lettori a non dimenticare.

 

NOTA BIBLIOGRAFICA PER LE SILLOGI IN LINGUA