IL CRISTALLO, 2010 LII 2-3 [stampa]

LUDOVICA SCOTTI, Nel profumo dei ricordi, autobiografia, pp. 258, € 18.00, Ed. Italia Letteraria, Milano, 2010.

recensione di RAFFAELE DE LAURO

La professoressa Ludovica Scotti è l'autrice di un'autobiografia scritta come le è uscita dal cuore, senza ricercatezza di stile. La storia prende avvio dalla prima infanzia fino ai giorni nostri. Nella vita può capitare di sentirsi troppo carichi di brutti ricordi e di non farcela più a sopportarne il peso. Per questo motivo la scrittrice di questa intensa, lunga e sofferta autobiografia ha deciso di liberare l'anima deponendo il suo fardello di amare esperienze. Ricordare, talvolta, aiuta a vivere meglio. È proprio il caso di Ludovica Scotti, la quale ha vissuto un'infanzia triste con una madre dispotica e severa nei suoi confronti fin dalla tenera età.

"Mia madre, che per me non è stata proprio una madre, era una donna dispotica, dalla doppia personalità, affetta da manie di grandezza e di raffinatezza. Era un essere che ostentava un comportamento aristocratico senza aver proprio niente di nobile; spesso eccentrica e non di rado ridicola nelle sue manifestazioni, nel vano tentativo di identificarsi con una categoria sociale superiore. Tutta la sua vita è stata improntata a questi suoi atteggiamenti che le hanno impedito di essere una normale madre, dolce, affettuosa, comprensiva. Lei era invece impulsiva, violenta, aggressiva e, oltretutto, anche poco intelligente. Si faceva chiamare 'contessa' dai suoi sudditi che poi eravamo noi, sue figlie, poi suo marito, il cameriere, la cameriera, il giardiniere, i vari fornitori e tutto il parentado, tutti insieme formavamo la sua 'corte'. Arrivava sempre in ritardo dappertutto, ma mai che chiedesse scusa a chicchessia. Noi figli dovevamo chiamarla 'mammà', con l'accento sulla a, com'era d'uso presso le famiglie nobili; dovevamo sempre tacere a tavola, mai sedersi prima che si fosse seduta lei, parlare francese con la 'mademoiselle' che ci portava a passeggio due volte la settimana, uscire con il cappottino elegante e il cappello che io odiavo, essere la più brava a scuola e passare il pomeriggio in silenzio, nelle rispettive camere, a studiare". "I nonni paterni hanno sempre rappresentato per me l'unico ricordo dolce e affettuoso dell'infanzia, ammesso che fossero poi miei veri nonni, data l'incertezza su chi sia stato veramente mio padre. Ma allora non sapevo ancora nulla e certamente loro non volevano soprattutto che io sapessi. I nonni materni invece erano già morti, quando io sono nata".

L'autrice, dall'età di tre anni fino al periodo della vita coniugale con il marito, Michele, ha sperimentato sulla propria pelle inenarrabili ingratitudini e amarezze di ogni genere.

"Avevo soltanto dodici anni e stavo tornando a casa da sola, perché mia madre non mi accompagnava mai, dalla lezione d'inglese (sì, perché dopo il francese, una bambina di buona famiglia doveva imparare anche l'inglese!) quando un operaio, sceso da un camion rosso scuro, lo ricordo ancora, mi chiese di leggergli un nome sui campanelli di un palazzo. Mentre mi sollevavo sulla punta dei piedi per cercarglielo, orgogliosa di poter fare la mia buona azione quotidiana scout, mi afferrò di peso sotto la pancia e mi spinse dentro il portone chiudendoselo alle spalle. Ero una bambina magrolina, minuta, e lì per lì non capii bene perché facesse così. Mi ricordo ancora chiaramente che indossavo un vestitino a quadretti, chiuso davanti da tanti bottoncini. Lui cominciò a sbottonarmeli uno per uno e via via che li sbottonava, io li riabbottonavo con le mie mai tremanti, perché ero una bambina timida e vergognosa e intuivo che stava per succedere qualcosa di brutto. Allora cominciò a sollevarmi il vestitino ed io lo riabbassavo velocemente presentendo un pericolo, ma senza avere la forza né di urlare né di scappare, tanto ero impietrita dallo spavento. E poi scappare dove? Ero in trappola! Finché lui si aprì i pantaloni e tirò fuori il suo organo genitale tutto rosso e turgido che a me parve enorme. Mi afferrò le manie me lo fece toccare cercando di farle scorrere in su e in giù, stringendomi a sé sempre più forte e tenendomi le mani in una morsa ferrea. Non dimenticherò mai quei momenti che mi parvero interminabili. Avevo il cuore in gola, mi tremavano le gambe, non sapevo cosa fare per difendermi da un omaccione così. Allora in un baleno gli sferrai un bel calcione in quel posto e ottenni che di colpo lasciasse la presa e facesse un passo indietro. D'un balzo fui al portone e, con la forza della disperazione, spostai il grosso paletto e corsi fuori più veloce che potei. Corsi, corsi fino a casa, facendo tutta la salita di Via Bolognese senza fermarmi mai, con il terrore che lui fosse alle mie spalle per acchiapparmi di nuovo. Arrivata ansimante a "La Loggetta", caddi per terra piangendo, sia per lo spavento, sia per l'enorme sforzo che avevo compiuto. Ma il peggio giunse dopo! Al mio racconto frammentario e confuso, perché sconvolta, mia madre dette in escandescenza, chiamò la polizia a cui io proprio non volli raccontare niente, perché ero sotto choc, obbligò mio padre a guardarmi in mezzo alle gambe per vedere se l'uomo mi avesse violentata, telefonò a tutte le amiche per metterle al corrente di cosa era successo e infine… per nascondere a se stessa di essere in difetto, sfogò su di me tutta la sua rabbia picchiandomi ripetutamente come una forsennata e dandomi della mentecatta e deficiente, perché per strada non si deve dare retta a nessuno, perché non avevo preso la targa del camion, perché non avevo voluto fare la descrizione fisica dell'uomo alla polizia e perché, come al solito, io le rovinavo la vita, ne combinavo sempre una e, soprattutto, perché le sarebbe toccato, d'ora in avanti, accompagnarmi sempre alla lezione d'inglese: E ancora non era finita, perché per aggravare la faccenda la 'contessa' il giorno dopo volle assolutamente mi confessassi dal parroco, dal quale mi trascinò piangente e ricalcitrante, perché mi vergognavo terribilmente di parlare di certi argomenti con chicchessia e tanto meno con un prete. Mi spinse dunque fino al confessionale affondandomi le unghie nel braccio e ripetendomi tante volte quello che dovevo dire: "Padre, ho commesso atti impuri". Siccome nel mio giornalino preferito "La settimana dei ragazzi" si parlava di un certo signor Pampurio che vinceva sempre un milione per le buone azioni che compiva, andò a finire che io confessai piangendo che ero stata con il signor Pampurio! Certamente il prete mi credette una bambina un po' ritardata e non capì niente di questa strana confessione, per cui mi dette l'assoluzione e tutto finì lì. Ma questo brutto episodio non si è mai cancellato dal mio animo. Ciò mi ha procurato un blocco mentale di fronte alla figura maschile che è durato per anni e anni, una continua resistenza e ripugnanza per un normale rapporto tra un uomo e una donna".

Al matrimonio la Scotti era arrivata soprattutto per fuggire dal clima oppressivo e insostenibile della mamma. Per questo motivo la sua vita coniugale da subito si manifestò un fallimento in quanto dal coniuge non ebbe mai un aiuto finanziario né morale. I figli in tenera età, bisognosi di affetto, sono stati lasciati sempre e soltanto alla mamma perché il padre, anche nei momenti più difficili, si assentava per andare a caccia o a sciare con gli amici. Questo modo di vivere denotava una mancanza di sentimento e di amore verso la famiglia. La scrittrice ha sentito il bisogno struggente, oggi, di voler raccontare questa lunga e tormentata vita vissuta. La Scotti è stata comunque una moglie fedele e una madre esemplare sottoponendosi ai più incredibili sacrifici mentre il coniuge, ribadiamo, non si è mai responsabilizzato ed è stato sempre un "uomo inutile". Il matrimonio per lei è stato un interminabile calvario.

"Nel profumo dei ricordi", a prima vista, potrebbe sembrare "tradire" le aspettative del lettore che, dal titolo è forse portato ad immaginare un "quid" di lirico, di nostalgicamente bello, ed invece s'imbatte in una narrazione autobiografica crudele, tagliente, ma sempre autentica, caratterizzata da una scrittura di getto, senza ripensamenti e nessuna particolare ricercatezza stilistica, senza fantasia né voli pindarici, solo un racconto umano ed umanizzante, perché costruttivo, intenso, carico d'intimità, intessuto, a dispetto di tutto e di tutti, di sogni, ideali, amore, di rabbioso sentimento di riscatto personale. Dopo una lunga vita grama, sul viale del tramonto, la scrittrice conquista la sua meritata serenità assieme ai quattro figli e con loro quella vera libertà di vivere.

"… Spesso le più grandi parole sono i silenzi, in cui la mente non pensa, ma lascia parlare solamente il cuore. La vita scorre dunque come un fiume che trova la sua strada fino alla vastità del mare, ma essa non è quella che si è vissuta, bensì quella che ci si ricorda e come la si ricorda per raccontarla. Ecco, io l'ho raccontata così, semplicemente come mi è scivolata fuori dal cuore, sulle ali del tempo che vola e che lascia scolpiti in noi tanti fatti memorabili… Ed è magnifico vivere in pace con se stessi e con gli altri e cullarsi dolcemente nel profumo dei ricordi".