IL CRISTALLO, 2010 LII 2-3 [stampa]

FRANCO ZANGRILLI, La favola dei fatti. Il giornalismo nello spazio creativo. Milano, Edizioni Ares, 2010, pp. 312, 18.00 Euro.

recensione di ENY DI IORIO

La favola dei fatti esamina il quadro storiografico del nostro giornalismo dal 1800 al 2000, è un lungo dibattito che pone l'una accanto all'altra la scrittura giornalistica e la scrittura letteraria: con un'analisi testuale (e metatestuale) Zangrilli ritrae il passaggio costante dello scrittore-giornalista a protagonista della notizia, ad eroe che scrive la storia. Non è un caso che molti giornalisti utilizzano pseudonimi, quasi a esorcizzare il potere della parola giornalistica, nel loro doppio ruolo di scrittori e di giornalisti, per cui il giornalismo non è separabile dalla letteratura, e/o la letteratura dal giornalismo. Questo tema è ripreso attraverso lo studio di una serie di autori, di giornalisti-scrittori americani e sudamericani, francesi e non (pp. 20-34, 283297), di autori italiani, dai quali sono estrapolati argomenti giornalistici presenti nella narrativa contemporanea, da Poe a Montale, da Twain a Buzzati, dalla Serao alla Fallaci, da D'Annunzio a Landolfi, da Moravia a Doni, da Maupassant a Ferlinghetti. Si potrebbe obbiettare con Zangrilli che oggi "non si è scrittori se non si è fondamentalmente giornalisti" (p. 13), ma anche che non si è giornalisti se non si è scrittori. Molti scrittori "scrivono sui giornali e non per i giornali" (p. 14), sfruttano i giornali per fare "buona letteratura, " ed è vero che molti di loro diventano "qualcuno" grazie ai giornali. In passato gli annali riportavano (a mano) i maggiori eventi storici, politici, e culturali del tempo. Con l'invenzione della stampa le notizie non potevano essere un mero elenco di fatti. Il lettore non vive la notizia, tutt'al più prende conoscenza di un qualcosa che non richiede la sua immedesimazione; purtroppo oggi la notizia è soprattutto un "prodotto di cose infelici e scandalistiche" (p. 23), che serve al giornale per vendere più copie.

Il giornale è la stesura di notizie che gli scrittori-giornalisti riprendono molto da vicino con parole crude; oppure in prospettiva, a debita distanza; attraverso una tecnica investigativa che nasconde sempre un interesse soggettivo. Le notizie riportate (scritte, o rappresentate con foto, o disegni), per quanto possono sembrare oggettive, sono sempre viziate, intese "più a far scalpore che alla verità degli eventi" (p. 37), e quindi ad essere di parte. Si evince che non esiste un giornalismo imparziale: il giornale è un "insieme" di fogli di carta stampata con un numero limitato di pagine che comporta sempre una selezione (e/o un'esclusione) delle notizie, ma anche di coloro che le scrivono. La redazione seleziona o esclude la "notizia" in base ad un criterio di validità commerciale, perché si schiera dalla parte dei diritti della donna (p. 90), perché difende una certa linea politica.

Lo "scrittore-cronista, " secondo Zangrilli, sperimenta strutture e tecniche "del racconto nel racconto" (p. 48), "dell'intervista nell'intervista" (p. 261), della "discussione-riflessione" (p. 262); il metodo di scrittura dell'articolo (il "pezzo") non è una creazione estemporanea ex nihilo, risponde ad una tecnica di composizione giornalistica con una propria struttura narrativa. La morfologia del "pezzo" è composta di due parti: il fatto e l'opinione; il fatto è riportato da una voce singola o da più testimoni. L'opinione rappresenta le opinioni sottoforma d'intervista, di confessione, di dichiarazioni, che possono essere false o vere, che appartengono al giornalista o che possono essere interamente inventate. Oltre a queste due parti il pezzo varia a seconda dei vari piani di realtà, tutti quelli che è in grado di rilevare il giornalista, l'inviato speciale, che scrive come secondo lavoro, per soldi, ingaggiato per il prestigio del giornale. Esemplari sotto questo aspetto sono i pezzi della Serao che "dice ciò che pensa e ciò che osserva" (p. 61), della Fallaci "alla ricerca del significato della vita" (p. 93), di Buzzati che trasforma "il reale nell'irreale" (p. 98). Il giornalista a contratto si distingue dall'articolista di mestiere, il primo vede "nella luce delle cose" (p. 69) la notizia, è in grado di cogliere la psicologia di chi ha commesso il fatto e/o di chi è in grado di procurargli notizie di prima mano, il secondo vive nel giornale il giornale, come una seconda pelle, conosce la realtà della redazione. Il giornalista moderno possiede una "straordinaria forza mimetica (p. 99) ma non deve incorrere nel pericolo di assuefarsi all'ambiente, deve distanziarsi dai fatti per riportarli come essi sono, colpevole solo di scrivere la verità (p. 101), e non di occupare il centro della notizia (p. 129), al punto da sostituirsi ad essa.

Zangrilli enfatizza che la notizia ubbidisce a principi editoriali imprescindibili del giornale che, per motivi d'interesse politico, economico, culturale, etico, si colloca da una o dall'altra parte di uno schieramento politico; oppure la notizia ubbidisce al volere del direttore, ed è più raro, ma non è credibile, in quanto ogni direttore viene assunto in base ad un contratto che vincola la sua funzione alla linea politica-economica del giornale (oppure non si spiegherebbero i licenziamenti e/o le dimissioni quando si distanziano dalla linea editoriale); in terzo luogo, il giornalista di mestiere che scrive "cose né viste né lette" (p. 49) è più incline a conformarsi ai parametri della linea editoriale, mentre il giornalista-inviato speciale, abituato alla libertà della fonte, si sente censurato, umiliato: a volte vede i suoi "pezzi tagliati, " a volte non gli viene concesso lo spazio per trattare un tema particolare (p. 52), a volte si vede accettato soltanto come firma e non per la validità della sua notizia.

L'articolo è un prodotto dal vivo, è un fatto visto (colto e confezionato) sul posto, parla del presente, non conosce a priori una durata precisa in quanto può essere un "pezzo" di realtà che si trasforma momento per momento. In un mondo globalizzato l'articolo nasce da agenzie di stampa, o da altre fonti, che riprendono un fatto di guerra, un terremoto, una manifestazione di massa.

L'articolo occupa uno spazio preciso del giornale, se è giudicato importante (per il lettore) è posto in prima pagina, o in terza pagina. La linea editoriale emerge sempre in ogni giornale, e lo si capisce subito dallo spazio dedicato ai titoli, per la loro dimensione, in rapporto agli altri titoli. Il lettore non si pone la domanda quale sia la verità della notizia, "il sentimento del vero" della notizia (p. 57), per lui, come per il giornale, è importante che siano soddisfatte le sue attese, che la "notizia" e o le "notizie" rispondono alle sue aspettative di lettore. Per noi appare evidente che dobbiamo chiederci qual è la notizia che dovrebbe interessare il lettore.

Zangrilli mostra che il problema del giornalismo moderno è dato dal relativismo della notizia (p. 94) per la sua capacità di sfornare "pezzi" a ripetizione sullo stesso fatto, al punto che il lettore non è più in grado di ricordarsi quale sia stato l'elemento che ha scatenato la rincorsa alle notizie. L'inviato speciale, figura del pioniere moderno della notizia, si contrappone al giornalista-stanziale, di mestiere, entrambi alle prese con "pezzi" che difendono ciascuno a suo modo. I giornalisti-pionieri cercano di occupare sempre più posti, o avamposti, per meglio osservare i fatti in progress, per meglio descrivere quanto è successo in loro assenza. A forza di costruire avamposti sempre più arditi, ed esclusivi, oltre a mettere se stessi in pericolo non "costruiscono" mai abbastanza la verità della notizia; senza contare che come giornalisti-avamposto si contrappongono ai giornalisti-burocrati, "indifferenti" (p. 95), della redazione, che rendono vani i loro sforzi; per ciascuno l'importante è occupare il massimo di spazio possibile sul giornale, là dove gli spazi sono decisivi per determinare la qualità del "pezzo" e il prestigio di avere il proprio nome in prima pagina, e/o in terza pagina. Si tratta di capire fino a che punto la notizia possa subire uno scadimento della verità a favore di una lotta tra giornalisti, nel loro costante desiderio di firmare il pezzo. Per le pressioni, per l'assillo di essere tagliati, alcuni giornalisti demistificano le loro fonti, forniscono notizie corrette o errate, false o inventate, pur di avere il pezzo pubblicato sul giornale. E questo per il lettore non è facile da comprendere, bisognerebbe leggere i giornali à rebours, riprendere i giornali di oggi e confrontarli con quelli di ieri, della settimana precedente, del mese scorso; questa lettura a ritroso il lettore non può permettersela e neppure è tenuto a pensarla, ma chi analizza il rapporto fenomenologico del giornalismo, che tiene conto della verità o meno della notizia, si rende conto che la fortuna di molte testate è data dall'impossibilità del lettore di ricordare, di rileggere la notizia, di viverla, vera o falsa che sia, così come è stata concepita. In un mondo soggetto alla legge del più forte, della selezione, del compiacere al proprio lettore, il giornale metabolizza il lettore, non gli lascia il tempo di assimilare l'informazione (p. 111), lo controlla attraverso la proliferazione della notizia, con lo scopo di occupare più spazio possibile sul mercato.

L'informazione giornalistica per conquistare clienti-lettori, spesso, e purtroppo, per un lato propina una cultura ribollita e ormai scontata del gioco delle parti, invece di offrirsi per quella che è, un mezzo che riporta "fedelmente" la nostra vita quotidiana, per l'altro mette in serio pericolo la funzione del giornalismo, un'arte che dovrebbe esaltare l'onestà intellettuale dei suoi operatori. Zangrilli ci fa notare che il potere del giornalismo è enorme (p. 132), e questa potenza rischia di creare un vuoto sempre più grande tra l'editore e i giornalisti-cronisti (p. 141), tra il giornale e i lettori, dando luogo ad un'idiosincrasia intellettuale ed economica. Il rigetto della notizia con notizie "false" per proteggere una grande verità (p. 143) si conclude con il rifiuto di sentire, di leggere la notizia. Continuare a vivere come se nulla fosse accaduto significa negare la verità della notizia, la sua realtà, che è anche la nostra. Il giornalista coscienzioso ha il compito di rendere l'ignoto noto (p. 145), di lasciar vedere e sentire la voce della gente; ed è importante che la notizia venga individuata, nominata, e comunicata (p. 148), senza incorrere nell'anarchia dell'informazione, la non-informazione che costituisce la "spazzatura" della notizia (p. 151).

Sotto la "maschera della pacatezza" (174) gli oratori moderni non spiegano e non informano, rilasciano notizie tendenziose ad attrarre il lettore, perché faccia suo il loro punto di vista. L'autore sostiene che la notizia assume un'immagine negativa, è facilmente alterabile dai "castroni" della cronaca (p. 176), che si adoperano a confutarla laddove invece dovrebbe assumere la qualità di un verbo apodittico, di un modello di trasparenza sociale condivisibile. Oppure che il giornalismo è un'altra cosa, asseconda i "gusti frivoli" del pubblico, risponde alla "moda del mercato" (p. 183), fa suo la spettacolarizzazione della notizia, per un uso strumentale e capitalistico del prodotto, dove emerge l'arte della non comunicazione (p. 185). In ogni caso il protagonista è sempre la parola, che si nutre dell'ironia, delle tante sfumature di cui è composta la realtà della notizia; a differenza del personaggio-giornalista, il giornalista reale non ha una conoscenza omodiegetica dei fatti, come accade al personaggio di un romanzo, e non può nemmeno inventarseli, perché non è stato presente nella notizia, vi giunge sempre dopo che è già accaduta.

Diversamente da ciò che accade in letteratura, nella notizia giornalistica non tutto è ammissibile (p. 200), vi sono regole, delle persone da rispettare, vi sono interessi che superano quelli propriamente giornalistici. Il giornalista pertanto dovrebbe avvalersi di uno stile e di un linguaggio "ligi alla logica della chiarezza" (p. 206): riporta i fatti e li interpreta, possiede una conoscenza propedeutica della notizia, è in grado di gestirla in quanto l'esperienza giornalistica per uno scrittore è necessaria "per diventare buoni narratori" (p. 210), gli permette di interpretare, aggiustare, ricostruire, integrare, completare la realtà secondo la sua visione della vita. Moravia cinicamente ammette che egli modifica la verità, produce una scrittura romanzata che si nutre dell'immaginazione per influenzare e trasgredire la realtà, senza neppure conoscere la realtà della notizia, per il fatto che "il lettore oggi non vuole tanto leggere quanto l'impressione di aver letto" (p. 212). Il giornalismo non è un genere letterario inferiore, contiene una sua affabulazione, possiede una "sua propria arte estetica" (p. 213), un linguaggio che aiuta il lettore a riflettere "su ciò che è vero o su ciò che potrebbe essere vero" (p. 214). Il giornale non viene acquistato dal lettore per leggere la verità della notizia, ma per l'immagine che è in grado di alimentare in lui. Il giornalista dovrebbe "prendere la parte e parlare per chi non ha voce" (p. 218), e che la stampa deve chiedersi, per il ruolo che occupa in ambito sociale, se è all'altezza del suo compito, se può rappresentare interessi, problemi sociali, denunciare ingiustizie, essere utile alla vita in comune.

Di certo per Zangrilli "la distinzione tra l'informazione e la verità, e che il giornalismo moderno fornisce l'una ma non l'altra" (p. 225), è una problematica che deve assillare il giornalista più della sua notizia, nel suo limitarsi a fornire l'informazione ma non la verità, in quanto egli ha il dovere di scrivere quanto vede e quanto sente. In un'epoca di massificazione della notizia la verità affoga nel gran mare delle notizie, il giornalismo moderno ha due modi per "nascondere la notizia": non dare l'informazione, oppure dare notizie a ripetizione sullo stesso argomento, con tutti i mezzi mediatici per confondere l'autenticità della notizia.

La realtà della verità contrasta con quella intima, soggettiva, del giornalista, che si oppone a una società corrotta e ipocrita. La lettura del giornale assume la funzione di una "ancora di salvezza" (p. 228) per il lettore preparato, che assimila, digerisce, e comprende le notizie dei giornali, che sa leggerle, e "farle proprie" (p. 229), e che sa penalizzare un giornalismo che predilige la notizia negativa, che non vive il dramma del lettore che vede, vede se stesso, nel labirinto della sua esistenza. Zangrilli riflette sul male di vivere, mette in evidenza i problemi personali e quelli sociali. La difesa della libertà di stampa si rivela una forma di utopia demistificatoria. La natura labile e fugace della notizia mediatica tende inevitabilmente il giornalista a riportare le "cose opportune" (p. 234), a credere che può cambiare le cose, che può far scaturire "la verità della menzogna" (234), che non disdegna la "propaganda" (p. 235), che il giornalismo è "una potente "arte" di persuasione" (p. 235) per convincere il lettore, perché lo scopo della notizia è pari a quella di una "predicazione moderna" (p. 236), in cui il ruolo di predicatore nel giornalismo è sentito come un atto di fede (p. 237), una missione simile a quella del "sacerdote" (p. 257).

La notizia giornalistica, secondo il critico, assume la valenza di un "farmaco" che ci allevia le frustrazioni, che prende sempre più le distanze del milieu redazionale, di giornalisti che "fingono di lavorare, " impiegati, tipografi, e "segretarie che sembrano delle sirene" (p. 241), al punto che la redazione del giornale appare una "prigione" (p. 241). Mentre il giornale è una finestra sul mondo, riflette la realtà del nostro mondo, annuncia come evolverà l'umanità futura, che il giornalismo è una professione difficile, che "intrappola" (p. 246) tutti coloro che si avvicinano e che desiderano riportare il giornalismo alla visione originaria di un giornale senza strumentalizzazioni politiche ed economiche.

Per la varietà dell'argomento questo libro avvicina il lettore al mondo del giornalismo, e della letteratura giornalistica, Zangrilli mantiene diligentemente al centro del dibattito la notizia stampata, ci fa partecipi del suo cambiamento che, come la vita, è una "forza in perpetuo divenire" (p. 288), fatta di parole che hanno il potere di smuovere le cose, di rendere visibile l'invisibile, che sposa la filosofia di Ferlinghetti, del "poeta come profeta della notizia, della poesia come notizia" (p. 290), di un io poetico del giornalista che ha la capacità di lasciare un segno del suo ruolo nella società per la sua capacità di cambiarla, al pari della poesia, nella sua ricerca costante della verità della notizia. In ultima istanza si può parlare di un giornalista-poeta che aiuta a comprendere i mali che assillano l'uomo e i suoi conflitti sociali, politici, e religiosi, senza restarne indifferenti.