IL CRISTALLO, 2010 LII 2-3 [stampa]

GUIDO ZAVANNONE, Viaggio stellare, Ed. di San Marco dei Giustiniani, Genova

recensione di ANGELO MENDULA

Dopo il poemetto Il Viaggio che sembrava aver esaurito ogni possibile tensione "religiosa" ed escatologica del laico Zavannone, esce ora Viaggio stellare, anch'esso nelle importanti edizioni di San marco dei Giustiniani di Genova. Guido Zavannone, poeta tra i più importanti di oggi, non solo vi conferma una sua più netta vocazione metafisica dopo qualche perplessità di quel suo primo, indimenticabile poemetto, ma si mostra dotato perfino di più forti penne (per usa una terminologia dantesca certamente cara all'Autore) per spiccare un volo assai più alto, addirittura stellare, come quelle "guerre" che il cinema ha reso famose. Come ben dice Giuseppe Conte con la sua straordinaria finezza e conoscenza di critico e di poeta d'alto rango, questa poesia di Zavannone ha molti punti di riferimento (oltre che nella Commedia dantesca qui più volte Sapientemente evocata) nella letteratura italiana e straniera, nel cinema appunto, nella televisione, nella fantascienza. Zavanone ha innalzato, insomma, questa sua cattedrale (gotica la definisce acutamente Conte) su solidissime basi culturali che contribuiscono ad irrobustire la già complessa e, talvolta perfino vertiginosa architettura. La forma è sempre adeguata e l'uso perfetto dell'endecasillabo, verso fondamentale della nostra poesia, è sen'altro il miglior metro per un'opera come questa che sembra voler accogliere in sé, come i grandi poemi epici di ogni tempo, l'uomo nella sua totalità, nella sua dimensione civile e religiosa, nella sua autentica realtà storica e umana, volentieri collocandolo sullo sfondo di una realtà diversa, epica e mitica e arricchendola di fascinose figurazioni. Qui si parla di nani e di giganti (e questo tempo, si sa, quanti potrebbe enumerarne), di "industriali che comprano e rivendono coscienze", di "ben noti politici, solerti e faccendieri" ma anche di "magistrati dai volti severi" (E. Zavannone, già altissimo magistrato, non poteva non ricordarli) Ma il poeta -viaggiatore incontra qui anche Gesù, il Gesù misericordioso che perdona anche l'adultera, e perfino un insolito e modernissimo Dante che sembra voler dichiarare la fine della poesia e dei poeti. E parla di Giordano Bruno "che salì sul rogo per non tradire la fede nel vero". E vi è un momento di forte commozione quando il poeta incontra il padre e la madre, ricevendone un'emozione che subito, per la forza della poesia, si trasmette al lettore: Ma vi è spazio per l'indignazione, per la reprimenda, per il sarcasmo. Qualche freccia tocca anche alla Chiesa che "può vivere nei secoli se è fonte di amore e non di prediche severe". E qui il nome di Welby "liberato infine da una vana sofferenza" è quasi d'obbligo. Insomma, una risentita moralità, del resto coerente con tutta l'opera del Nostro, vibra tratto tratto anche in questo poema che si offre al lettore con tale nitidezza e leggerezza (in questi tempi di troppo frequente oscurità e pesantezza) da invogliarlo a percorrere questo viaggio subito con il suo ineguagliabile fascino volentieri giocato tra mito ed epos. Sebbene compiuto tra le stelle, questo viaggio cosmico e metafisico, di cui parla Conte, ci pare attinga una verità umana che le stelle possono soltanto illuminare, come nella celebre sentenza di Immanuel Kant: "Il cielo stellato sopra di me e la coscienza morale dentro di me". Zavannone è riuscito a darcene una poetica e indimenticabile rappresentazione, portando fin lassù, tra le stesse, la sua coscienza di uomo e dio poeta, come esatto specchio delle nostre debolezze e delle nostre contraddizioni, di cui il poeta non si stanca di farsi testimone e interprete tra i più alti e dotati del nostro tempo.