IL CRISTALLO, 2011 LIII 1 [stampa]

Note bibliografiche goldoniane. Saggi e testi.

di MASSIMO BERTOLDI

La vita e il teatro di Carlo Goldoni di Siro Ferrone (Venezia, Marsilio, 2011, pp. 378) e Goldoni il libertino. Eros, violenza, morte di Roberto Alonge (Bari, Laterza, 2010, pp. 150) sono due pubblicazioni importanti, in quanto sommano i risultati della revisione critica avviata negli ultimi vent'anni in merito alla figura e alla produzione del commediografo. L'obiettivo comune fissato dalla storiografia ruotava intorno all'inquadramento di Goldoni in una prospettiva di indagine che lo emancipasse dall'interpretazione meramente letteraria per recuperare la sua vera natura di uomo di spettacolo. In merito i due libri in questione costituiscono due modelli esemplari, pur assai diversi per metodi di indagine e percorsi interpretativi, di come il ricco e variegato repertorio e l'esperienza teatrale del drammaturgo veneziano siano fondati sul corpo palpitante di materiali fluttuanti e dinamici, anche contraddittori, in quanto espressioni di un lavoro creativo, teorico e pratico, di ricerca e dialogo con le dinamiche culturali e sociali del suo tempo. È significativo rilevare che i due studi costituiscano il completamento di lavori precedenti.

Risale al 1990 (Firenze, sansoni) la prima edizione di Carlo Goldoni. Vita, opere, critica, messinscena di Ferrone, pregevole monografia incentrata soprattutto sull'analisi letteraria dei testi nel loro succedersi cronologico e in relazione alle tappe drammaturgiche della riforma. Diversa risulta l'impostazione de La vita e il teatro di Carlo Goldoni. La ricerca ora si apre alla storia materiale dello spettacolo. Si assimilano al contenuto delle opere teatrali i punti nodali per la materializzazione dello spettacolo, quali la cultura e il bagaglio tecnico dell'attore, la tipologia del teatro, le dinamiche delle compagnie professionistiche, le ragioni economiche e le strategie attuate dagli impresari per vendere il prodotto in una realtà dalla concorrenza accesa come fu la Venezia del settecento. Il progetto goldoniano non si sviluppò intorno ad un modello teorico, si costruì sull'attività pratica di commediografo a stretto contatto con la realtà e le problematiche legate alla costruzione e promozione dello spettacolo. Ferrone legge le tappe della riforma come prodotto interattivo delle azioni di attori, impresari e pubblico.

Durante la fase dell'apprendistato non sviluppò una concreta idea di riforma, mantenne un "atteggiamento più empirico che teorico" (p. 32) e non incise nemmeno il soggiorno pisano, che lo mise a contatto con i propositi innovatori dl circolo degli Arcadi, perché, spiega ancora Ferrone, "per la riforma della commedia dell'Arte si deve intendere nient'altro che la riforma del gusto e delle abitudini invalse nel sistema teatrale veneziano" (p. 33). L'eliminazione delle maschere più datate prima e via via le altre, avvenne per effetto delle caratteristiche espressive degli attori con cui Goldoni quotidianamente si relazionava. Modellò i ruoli teatrali sulle loro potenzialità. In qualità di drammaturgo del teatro di san Giovanni Grisostomo, dove agiva la compagnia Imer, compose il canovaccio Momolo cortesan (poi L'uomo di mondo) sulle doti di Francesco Gabinetti, cantante-attore abile nella maschera di Pantalone, come l'omonima protagonista de La donna di garbo assunse le sembianze della giovane attrice fiorentina Anna Baccherini. Rientrato nel 1748 a Venezia, dopo gli anni di permanenza in toscana per praticare con dubbio successo l'avvocatura, Goldoni fu assunto come autore drammatico a tempo pieno dal teatro Sant'angelo diretto da Girolamo Medebach, e in qualità di librettista e di adattatore di opere musicali per il piccolo teatro di san Mosè. Il procedimento creativo non mutò, si consolidò e, passo dopo passo, sviluppò segnali di riforma. Lo schema si riproduce: la protagonista de La vedova scaltra, per esempio, assorbì la psicologia della prima attrice della compagnia, la volitiva e affascinante Teodora Medebach. La sperimentazione del nesso tra personaggio del testo e carattere dell'attore diventò veramente incisiva nelle cosiddette sedici commedie del 1750-1751 e in quelle del fecondo periodo 1751-1753. spicca tra le tante fortunate commedie La locandiera "che porta al massimo grado il raffinamento del carattere della protagonista attraverso l'innalzamento e lo slittamento di ruolo imposto a Maddalena Marliani" (p. 84), che da consumata servetta diventò per l'occasione prima donna (si vedano in merito gli approfondimenti di Sara Mamone nell'Introduzione a Carlo Goldoni, La locandiera, a cura di S. Mamone e T. Megale, Venezia, Marsilio, 2007, pp. 9-91).

Il lavoro drammaturgico di Goldoni, un "genio prudente" fu inoltre condizionato dagli scontri e dalle polemiche con l'abate Pietro chiari, che segnarono un calo della produzione di commedie in prosa e un aumento massiccio di commedie in versi. Affrontare l'avversario sullo stesso terreno letterario significava che la riforma non avanzava in senso unidimensionale, si dimostrava cioè permeabile e ricettiva verso quanto le coeve mode lanciavano nel mercato dello spettacolo. Gli anni cinquanta del settecento segnarono per Goldoni un periodo caratterizzato da una certa inquietudine sociale: il suo cauto ottimismo borghese, spiega lo studioso, declinò in parallelo al ruolo politico della classe politica di riferimento e, di riflesso, ad una sorta di chiusura a riccio della facoltosa nobiltà mercantile.

Alla conclusiva esperienza in Francia (1862-1793) Ferrone dedica pagine illuminanti per capire come il progetto di riforma costituisse il risultato di un mondo teatrale, con le proprie leggi di mercato e compagnie, quale fu solo quello maturato nella Venezia del settecento. A Parigi Goldoni non cercò di esportare il modello della riforma, ma di creare un genere capace di mediare il gusto italiano con le mode teatrali locali in materia di commedia dell'Arte. In parte ci riuscì in parte fallì, proprio perché gli mancò il necessario ancoraggio alle caratteristiche degli attori.

Ne La vita e il teatro di Carlo Goldoni si trattano altri argomenti che concorrono ad una completa conoscenza del drammaturgo veneziano. Il capitolo La fortuna sulla scena e nei libri ripercorre dal settecento ad oggi le valutazioni ed i principi interpretativi avanzati dalla critica letteraria, gli imitatori goldoniani, e il parallelo riscontro scenico delle commedie. Particolare attenzione è rivolta agli allestimenti fondamentali, dal Servitore di due padroni curato da Max Reinhardt nel 1932 a La locandiera di Konstantin Stanislavskij a quella di Luchino Visconti del 1952, proseguendo con le celebri regie di Giorgio Strehler, Luigi Squarzina, Luca Ronconi, Massimo Castri. A completamento di questo libro, vera e propria miniera di notizie storiche e complete informazioni bibliografiche, ci sono gli apparati, che, affidati alle competenze di Anna Scannapieco, presentano in modo dettagliato le edizioni dei testi, cui seguono ricche e utili schede informative sugli attori, attrici e capocomici presenti nelle compagnie per le quali Goldoni collaborò.

Il secondo libro in esame è il citato Goldoni il libertino. Eros, violenza, morte firmato da Roberto Alonge che, come Ferrone, completa un suo percorso di studi avviato in Goldoni. Dalla commedia dell'arte al dramma borghese (Milano, Garzanti, 2004), in cui si sostiene che dietro la patina comica della commedia crebbero i germogli del dramma borghese, segnatamente nella Trilogia della villeggiatura. A questa lettura innovativa corrisponde il suo seguito in questo libro edito da Laterza, che pone Goldoni "sullo sfondo di quella settecentesca civiltà libertina, che non a caso si esprime nell'opera scandalosa del veneziano Giacomo Casanova, ma anche in quel curioso istituto matrimoniale triangolare (forse non solo italiano), innervato dalla figura del cicisbeo", scrive Alonge nella Prefazione (p. VII). Per verificare questa suggestiva ipotesi, lo studioso seziona con i bisturi della chirurgia critica nove commedie predisposte in ordine cronologico. Così forti elementi narrativi, che sottendono la pratica del sesso legato alla prostituzione, emergono nelle azioni dell'omonimo protagonista di Momolo cortesan, abile nell'assicurarsi un'amante fissa e un giro allargato di sgualdrine di estrazione popolare, fino a quando, esaurito il denaro, sposa la agiata Eleonora. Alonge ricorda che Goldoni si sposò nel 1736, tre anni dopo il debutto di Momolo cortesan, "che è anche un modo di testimoniare della sua scelta di vita" (p. 24). La rappresentazione di una borghesia arcigna e spigolosa, assente in Italia ma presente in Europa soprattutto nella Francia anteriore al 1789, caratterizza il tessuto narrativo de La buona famiglia (1749) e de La famiglia dell'antiquario (1750). In quest'ultima commedia lo studioso indaga nella vita della protagonista Pamela "la dinamica della chiusura, dell'imprigionamento, della segregazione", che trasforma l'ambiente in una "vera casa-incubo" (p. 70) non dissimile da quella incontrata da Justine, la protagonista del romanzo Justine. Le sventure della virtù del Marchese de Sade.

La meticolosa radiografia delle commedie goldoniane scopre indelebili tracce di violenza sessuale di stampo libertino quando i protagonisti, di estrazione nobiliare, indossano divise militari. Prima ne L'amante militare poi ne La guerra lo spirito guerresco converge nella furia erotica.

Se il metodo di indagine di Alonge può alimentare sospetti di forzatura nella decodificazione delle battute e nell'interpretazione dei passaggi narrativi, è con il discorso rivolto all'analisi della messinscena di un testo goldoniano che le ipotesi 'libertine' assumono maggiore concretezza. Nella lucida lettura della memorabile messinscena de La locandiera firmata da Luchino Visconti nel 1952, allestimento che modificò radicalmente le tradizionali versioni per approdare al cosiddetto realismo, lo studioso segue le astuzie di Mirandolina nell'intascare regali, illudere i corteggiatori ma non concedersi mai. Si spiega, per esempio, la tanto criticata recitazione di Marcello Mastroianni, un cavaliere di Ripafratta duro e veemente, che, secondo Alonge, "è inscritto nel testo di Goldoni, prima che nella regia di Visconti" (p. 100). La locandiera non è la storia di una seduzione, risulta piuttosto il segno di "Goldoni come autore realista, come cantore della borghesia progressista" (p. 90), incarnata dalla protagonista nella solitudine del suo lavoro che le permette di guadagnare senza ricorrere all'uso del proprio corpo. Ancora una battuta felice di Alonge: "Mirandolina fa pagare una locanda a quattro stelle, ma il servizio è a due stelle" (p. 95). Un altro brillante esempio di come un regista possa sviluppare itinerari interpretativi aderenti alla natura del testo rispetto, cogliendone con un'operazione di scavo, la complessità delle dinamiche tra i personaggi, è offerto dall'allestimento de Il ventaglio ideato da Luca Ronconi nel 2007 (produzione Piccolo teatro di Milano), al quale è dedicato un capitolo.

Non solo i saggi pubblicati negli ultimi anni, di cui in contributi di Ferrone e Alonge costituiscono solo esempi recenti, ma anche le edizioni di testi hanno concorso a rinnovare l'immagine del maggiore drammaturgo italiano. Significativo in merito è il progetto editoriale avviato da Marsilio con la pubblicazione in edizione nazionale delle opere di Goldoni, raccolte in volumi monografici che corredano il testo con l'introduzione, un ricco apparato di note, la bibliografia aggiornata e un capitolo dedicato alla fortuna scenica. Ultimo prodotto della collana edito nel 2011 è Il servitore di due padroni, a cura di Valentina Gallo, introduzione di Siro Ferrone (pp. 402). Nel titolo manca la parola Arlecchino, usato in precedenti edizioni e nelle locandine di molti allestimenti odierni, ma assente nell'originale goldoniano. Fu un'aggiunta voluta da Giorgio Strehler in occasione dell'allestimento della commedia nel 1947 nel piccolo teatro di Milano. In merito Ferrone nell'Introduzione al volume Marsilio chiarisce molto. Il testo fu composto per Antonio sacco (o sacchi), anche coautore della prima stesura, un attore dotato di eccellenti doti acrobatiche e ballettistiche, noto agli spettatori dell'epoca con il nome di truffaldino, ossia nella tipologia dei personaggi della commedia dell'Arte uno zanni astuto. Inoltre Il servitore di due padroni fu il rifacimento di un copione francese, Arlequin valet de deux maîtres di Jean Pierre des Ours de Mandajors: "Quando sacco - dice Ferrone - si rivolge a Goldoni perché adattasse per lui un canovaccio che avesse come attore protagonista truffaldino al posto di Arlecchino previsto dall'originale, mirava - oggi direbbe un commerciante - a differenziare il prodotto per il mercato italiano" (p. 14). Le leggi della libera concorrenza, come ampiamente illustrato dallo stesso studioso nel citato volume La vita e il teatro di Carlo Goldoni, connotarono e determinarono un preciso indirizzo drammaturgico: sacco, attore professionista, diventò sul palcoscenico truffaldino davanti ad una platea italiana, indossò i panni di Arlecchino all'estero, dove quella maschera aveva assunto indelebili valenze comiche e simboliche, come dimostrato dalle recite a san Pietroburgo nel 1733-34. Nella rielaborazione del canovaccio francese Goldoni apportò significative modifiche che ebbero ricadute nelle esibizioni di sacco. Eliminò, per esempio, gli scontri fisici più violenti fra servo e padrone, ed i lazzi che compromettevano l'unità d'azione della commedia, aggiunse il lunghissimo 'a parte' del protagonista nelle celebre scena del doppio servizio a tavola (a. II, sc. 10-15). Questi e altri interventi segnarono il punto di partenza del canovaccio lungo il corso della storia del teatro, italiano ed europeo, come si legge nell'approfondimento della Nota sulla fortuna del Servitore di due padroni. La ricostruzione segue la cronologia degli eventi. Si enuclea dal citato Arlequin valet de deux maîtres di mandajors rappresentato nel 1718 da Luigi Riccoboni e comèdiens Italiens du roi nel parigino theatre de l'Hotel de Bourgogne, cui seguono il debutto del testo goldoniano a Milano nel 1749 ad opera della compagnia del teatro san Luca di Venezia e la successiva e rapida diffusione europea per merito soprattutto di Antonio sacco. Altro momento di svolta fu l'assimilazione del servitore nel repertorio del Grande Attore nel corso dell'Ottocento, che trovò in Antonio Gandusio il maggiore interprete creativo, perché "egli è tra i primi attori a mostrare la consapevolezza critica ed interpretativa che gli consente di lavorare non più sul canovaccio ma sulla 'maschera' di Arlecchino" (p. 308). Gandusio fu perciò l'ultimo interprete del servitore, dal punto di vista dell'arte dell'attore, prima dell'avvento della regia moderna. Risultò decisivo il contributo di Max Reinhardt con la messinscena epocale del 1924 sul palcoscenico del viennese Theater in der Josefstadt, da lui stesso diretto. Si avvalse di attori di grande prestigio e maestria comica come i Thimig (Hugo, Hermann ed Helen), commissionò ad Hugo von Hofmannsthal la stesura di un prologo, trasformò i monologhi in arie musicali e inserì recitativi, balletti, musiche di Mozart e Haydn. Emerse uno spettacolo nuovo, diverso e originale, "sospeso tra l'operetta viennese e le teorie di Mejerchol'd".

La storia italiana della fortuna del Servitore incontra Giorgio Strehler con l'edizione del 1947 modellata sulle abilità performative di Marcello Moretti, che impresse al personaggio goldoniano una nuova veste comica, caratterizzata dal recupero della mezza maschera realizzata da Amleto Sartori e da una gestualità "quasi da marionetta" (p. 332). Il Servitore di Strehler-Moretti conobbe altre fortunate edizioni nel '52 e nel '56. Nel 1963 subentrò Ferruccio Soleri con un Arlecchino più acrobatico e raffinato, che mantenne anche nelle successive riprese, ultima delle quali datata 1997. Le oltre duemila repliche in tutto il mondo accompagnarono il successo planetario dell'opera goldoniana, che visse nella seconda parte del Novecento il periodo di massima diffusione. Questa ricognizione si conclude con la considerazione delle rappresentazioni più recenti, internazionali e italiane, in cui primeggiano attori e registri fondamentali, tra i quali Alessandro Haber e Nanni Garella, Marcello Bartoli e Giuseppe Emiliani.

In definitiva i tre libri esaminati offrono al lettore attento e allo studioso nuove traiettorie interpretative in merito alle commedie goldoniane e soprattutto intrecciano in modo indissolubile la parola al testo, malleabile e mutevole, con la voce e il corpo dell'attore, che si esibisce su un palcoscenico al cospetto di un pubblico variabile in senso storico e geografico. E questo indirizzo non riguarda solo lo specifico caso del complesso repertorio goldoniano, coinvolge più in generale il metodo di indagine con cui la storiografia contemporanea indaga la vita dello spettacolo.