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LIBRI

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Giorgio Manzi

Ultime notizie sull'evoluzione umana

 

Bologna, Il Mulino, 2017, pp. 242

La lunga vicenda dell’umanità, in tempi come questi in cui si torna a dubitare di condividere con gli altri bipedi della nostra specie la cruda realtà dell’uguaglianza animale (già: siamo tutti animali della stessa specie, dalla Brianza al Polo nord, che si migri o si sia stanziali), è sempre una interessante questione. Di questo tratta un interessante libro, Ultime notizie sull'evoluzione umana di Giorgio Manzi che ha vinto il Premio del Fondo Autonomo Linceo "Alfonso Susca" per il miglior libro sulla diffusione della Scienza 2018. L’autore è una firma molto nota ed importante. Docente universitario a Roma, è forse il paleoantropologo più famoso e scientificamente autorevole che abbiamo in Italia, riconosciuto anche a livello internazionale.

In effetti, il libro di Manzi rappresenta un felice esempio di un altrettanto solare momento di discontinuità storica che si sta miracolosamente verificando in campo letterario nel nostro Paese: e cioè il sopraggiungere di un nuovo canone di scrittura, innovativo, efficace, non ridondante che è quello della divulgazione scientifica di alto profilo. I libri, oggi, di Rovelli, di Pievani, di Barbujani, sono alcuni dei recenti successi editoriali, cui ora si aggiunge la prosa chiara e lineare del docente romano: un viaggio ordinato, nitidamente descritto, affascinante non per le suggestioni ma per la bellezza rigorosa del metodo scientifico di una disciplina che per propria natura è ibrida, multiforme; e mette spesso in discussione ogni passaggio precedente di sapere.

A parere di chi scrive, la raccolta di articoli qui riuniti da Manzi ha il suo gioiello nel capitolo intitolato “Orologi e molecole”, dove illustra le più recenti acquisizioni relative alla pluralità delle umanità (genere Homo) compresenti fra 90mila e 60 mila anni fa (Sapiens, Denisoviani, Neanderthal, forse Erectus). Se molta importante antropologia culturale ha saputo confrontarsi sul tema della (delle) identità alla luce dei mutamenti in atto nell’era digitale e globalizzata, la riflessione che la paleoantropologia può sviluppare sullo stesso tema appare doppiamente affascinante: la sua prospettiva temporale è infatti, per così dire, rovesciata.

Da un punto di vista di discorso ricostruttivo della storia dell’umanità, la disciplina è doppiamente complicata: non solo lo sguardo è posato sul passato più remoto, del quale mancano del tutto documenti o segni linguistici – anche poco comprensibili. Ma il passato remoto, riaffiorando di continuo nuove testimonianze materiali, oggetti e resti, diventa oggi più leggibile che mai in passato (prossimo); grazie alla impetuosa innovazione strumentale sperimentale degli ultimi 40 anni, si rileggono in modo radicalmente innovativo i risultati “assodati” delle precedenti ricerche, sottoponendo ad una ridiscussione serrata e metodica gli assunti della stessa disciplina, ponendo nuovi elementi conoscitivi (si pensi all’applicazione delle genetica alla paleoantropologia).

Non solo. Mentre le scienze antropologiche che posano gli occhi sul presente (che può essere anche quello di 500 anni fa) rispetto all’”umano” hanno categorie tutto sommato robuste, la paleoantropologia sottopone a discussione forte lo stesso assunto di “umano”, ponendo domande importanti sulla natura stessa della specie, che ha visto in epoche remote ma conosciute la compresenza di esseri (umani?) di specie diverse. Questo il motivo per cui molta retorica politica contemporanea, con gli occhi di questa scienza, appare davvero divertente: chi ricostruisce il lunghissimo e tortuoso viaggio delle umanità per il pianeta, dalla culla africana (dato geneticamente certo), sorride di fronte al linguaggio “stanzialista” (non “sovranista”…) oggi così à la page!

                                          di Andrea Felis

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