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Massimo Cianetti

Es: la vita ha gli occhi azzurri
 

Bolzano, Latmag, 2018, pp. 380

In questa nuova opera, Es: la vita ha gli occhi azzurri, forse opus magnum di Massimo Cianetti, scrittore e giornalista di origini toscane, vissuto quasi sempre a Milano ma di recente in Alto Adige, troviamo alcune caratteristiche stilistiche che si legano molto bene al roman-fleuve, che però non annoia, nel senso che anche la “ripresa” della narrazione intensifica la tensione precedente, approfondisce e rimemora la vicenda con una scrittura semplice ma mai semplicistica (questo è invece l'errore di molta scrittura di oggi), senza mai perdersi in quelle descrizioni e considerazioni a latere, che per esempio rendono a tratti “noioso” Proust nella Recherche du temps perdu, dove si ha il confronto tra visioni del mondo/Weltanschauungen diverse, legate anche ma non solo al conflitto generazionale.

Il tutto espresso con uno stile che alterna efficacemente discorso diretto e indiretto, paratassi e ipotassi, dove la varietas non è mai una ricerca di un formalismo sperimentalista (o post-sperimentalista, per dir meglio) fine a se stesso, ma produce appunto ciò che possiamo definire il confronto dialettico. Presenze “inquietanti” e “perturbanti” come Nostradamus (ossia Michel de Nostredame o Miquel de Nostradama), e Gustavo Adolfo Rol, due personaggi di epoche ben diverse (rispettivamente 1500 e 1900) non sono le sole, almeno per una certa “consuetudine borghese”: si parla anche di massoneria, che pure qui si concilia, in alcuni personaggi con la fede cattolica, teoricamente la seconda interdice o quanto meno sconsiglia l'affiliazione alla prima...

Ma la creatività latina e italiana riesce tranquillamente a conciliare orientamenti apparentemente diversi (dico “latina”, dato che nel mondo latino-americano erano cattolici e al tempo stesso osservanti nonché “rivoluzionari”): Augusto Cesar Sandino, eroe anti-imperialista del Nicaragua e Salvador Allende, il grande presidente socialista del Cile scalzato con un vile golpe da Augusto Pinochet, “telecomandato” dalla CIA, paradossalmente anch’egli massone ma ben presto espulso per negligenza, mancato pagamento delle quote associative e altro ancora.

Il romanzo di Cianetti ha tanti altri snodi: il rapporto vita-morte, la tematica della malattia, l'Eros, sempre legato al Thanatos, il conflitto generazionale che si manifesta anche in diverse concezioni non solo della vita, ma del denaro, della famiglia, dell’ubi consistam che si esprime anche in un radicamento territoriale, della “patria” che si trova “ubi bene” ... e molto altro ancora. Per chi ama lo “happy end” tradizionalmente inteso, il romanzo non sarà un motivo di conforto, ma (si spera) di riflessione proprio su ciò che sia e voglia dire “happy end”. Es (il riferimento a Freud non è celato, ma chiaramente espresso nel retro di copertina) è anche un vero e proprio anti-Bildungsroman, ossia un antiromanzo di formazione: contro le certezze della “saggezza” e del “saper vivere” (??), il personaggio del figlio che chiaramente simboleggia il futuro di una maniera di vivere e di concepire la vita e il mondo, sceglie la deterritorializzazione assoluta, quella che la concezione cristiana-borghese considera “immoralità”, perde l'ubi consistam nella ricerca frenetica del sesso e della droga e non si adatta a seguire la “saggezza” paterna, pur se faticosamente conseguita dall'esponente della generazione matura...

In controtendenza con i “livres du coeur” non è che in Es manchino i “buoni sentimenti” o siano carenti. Vengono messi in discussione. Non indulgendo alla creduloneria e alla superstizione di stampa magico-occultistico. Cianetti non lacera la schisi che però mantiene i due piani della realtà e del sogno, ma indubbiamente colloca un bel punto interrogativo accanto all'esposizione in breve delle convinzioni di tipo “esoterico”o pseudoesoterico citate sopra, affermando un probabilmente “sacrosanto” Ignoramus et ignorabimus. Torna in mente Emil Du Bois-Reymond, fisiologo e pensatore positivista del 1800...

Certo che questo è il testo nel quale Cianetti sviluppa al meglio la sua scrittura narrativa; e sia detto senza ascriverlo totalmente al fantastico italiano che ha in Dino Buzzati il suo hapax, in quanto c'è comunque uno “scarto” critico rispetto ai sogni premonitori, rispetto al “nescimus, sed scimus” che la figura del padre-patriarca (Napoleone di nome, non a caso....) sembra voler preconizzare-annunciare-profetizzare; diremo meglio che è un “fantastico post-modern” nel quale le certezze sono crollate...

 

                                 di Eugen Galasso

 

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