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SPETTACOLI E MOSTRE

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Luciano

Ideazione e regia di Danio Manfredini

con Danio Manfredini, Ivano Bruner, Cristian Conti, Vincenzo Del Prete,
Darioush Forooghi, Giuseppe Semeraro

produzione La Corte Ospitale

 

La drammaturgia scenica di Danio Manfredini proietta lo spettatore in una dimensione particolare, diversa dalla ricezione convenzionale. Si entra in un mondo rarefatto, fortemente intimista, artificiale e reale, tratteggiato dal linguaggio del corpo che cerca, trova e poi perde la sua anima poetica e crudele, segnata dal racconto di frammenti di vita di uomini-fantasmi.

Sono questi gli ingredienti di base di Luciano, ultima produzione di questo artista visionario da decenni presente nei piani alti del teatro di ricerca italiano. Il titolo dello spettacolo deriva dal nome di un paziente conosciuto dallo stesso Manfredini nel corso dei suoi frequenti contatti con strutture psichiatriche. In una sottile tensione dialettica si rincorrono la follia e la solitudine di identità smarrite, di vite nascoste nei bassifondi della società, negli angoli bui e nascosti affollati da prostitute e omosessuali che si definiscono in modo frammentario e disarticolato, negando, in questo modo, il principio della linearità narrativa. Perciò Luciano, di fatto contenuto in circa quarantacinque minuti, potrebbe durare il doppio, il triplo, oppure il tempo di bere un caffè accompagnato da una sigaretta.

Le frasi si interrompono, ricominciano, si dissolvono come bolle di sapone nel tutto-nulla.

Come nei precedenti Tre studi per una crocifissione e Cinema cielo, l’allucinazione delirante e la spinta dell’immaginazione diventano visione e rappresentazione del mondo secondo la proiezione di queste anime dall’identità smarrita eppure di grande interiorità. In scena corpo e parola si rincorrono in un movimento stilisticamente perfetto. Manfredini-Luciano esibisce un repertorio gestuale di millimetrica precisione, ora sospeso nel vuoto ora metaforicamente appesantito dalle domande sulla vita e sulla morte provocate da una realtà insidiosa e intollerante verso il “diverso”. La voce, biascicata e profonda, pennella scene surreali, grottesche, finemente comiche, inquietanti, e articola battute non scontate e dotte citazioni letterarie (Leopardi, D’Annunzio).

Gli altri attori, che accompagnano degnamente la performance di Manfredini, rappresentano la dimensione reale dell’omosessualità, quella quotidiana fatta, tra l’altro, di marchette nei bagni pubblici. In loro manca la rabbia, permane il senso della desolante normalità-anormalità che contemporaneamente li fa vivere e morire. Alla fine di “Luciano”, spettacolo visto al Teatro Comunale di Gries nell’ambito della rassegna “Stagione Gries Galleria Telser” curata dal Teatro Stabile, mentre si sviluppa una straniante rappresentazione di un matrimonio, Manfredini-Luciano cammina lentamente tracciando un percorso circolare, tirando sulle sue ruote un piccolo elefante di pezza. Cala il buio in scena. L’uomo-bambino ritorna nel mondo delle sue tenebre.

 

                                di Massimo Bertoldi

 

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