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DANTE E I DISPATRIATI
Sublimazione di un destino

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  Capitolo 9.     Il tema dell’esilio nei profeti: Daniele   

Daniele, il coraggioso giovane in carriera

Il caso del profeta Daniele è interessante, perché si tratta di un “dispatriato”, di un deportato a Babilonia, con tutti gli altri ebrei esuli, ma trattato miracolosamente con i guanti e salito al vertice dei cortigiani del re per le sue qualità.
Oggi potremmo paragonarlo alla grande quantità di nostri dispatriati ed esuli, soprattutto giovani, che non trovando in patria il riconoscimento per i loro meriti e le loro competenza, vanno all’estero e vi trovano una carriera fulminea e di grande prestigio.
Questo, tuttavia, non inquinò l’integrità morale di Daniele e dei suoi colleghi. A differenza della maggior parte di coloro che, nel nostro sistema politico, salgono al potere, diventano deputati o senatori o ministri, oppure anche alti burocrati, sottosegretari alla Presidenza del Consiglio, capi di gabinetto o con altri incarichi, subiscono rapidamente una metamorfosi che li trasforma in esseri cinici, avidi, disumani e soprattutto ammalati di familismo amorale e di delirio di onnipotenza, pieni di conflitti di interesse e capaci di ritenersi immuni da ogni limite nello sfoggiare la loro arroganza e il loro status, di ritenersi immutabili, intoccabili, impuniti.

 

Daniele e Dante: esiliati ma con dignità

Una certa affinità possiamo riscontrarla anche fra Dante e il profeta Daniele, soprattutto per il comune status di esiliati: questo dato, già di per sé importante, riveste ancora più rilievo se si considera il rapporto del poeta con il Liber Danielis, che era divenuto un testo di riferimento fondamentale per tutti i Padri della Chiesa e poi, insieme all’Apocalisse di Giovanni, era considerato l’opera più importante per i movimenti millenaristici dell’Occidente medievale. Dante stesso lo conferma nel Cantico del Paradiso:

«E se tu guardi quel che si rivela
per Daniel, vedrai che ’n sue migliaia
determinato numero si cela»
(Paradiso XXIX 133-135)

Un altro elemento di affinità elettiva con il profeta Daniele è anche la incredibile integrità morale del giovane profeta, che non ha mai abusato dei privilegi che aveva e della ospitalità nella corte di Nabucodonosor: è difficile trovare giovani delle classi sociali elevate e con una posizione invidiabile nella nomenclatura politica che siano così privi di arroganza e di avidità bulimica e conservino il coraggio di fare una lettura lucida e fortemente critica della situazione politica del regno di Babilonia, senza nessun cedimento a quel servilismo che caratterizza di solito chi vive nelle corti e rinuncia alla propria dignità e libertà di pensiero.
Dante, nel suo lungo esilio, ha avuto modo di essere ospitato, con onore, in molte corti di principi e di signori, ma non ha rinunciato a esprimere in piena libertà il suo pensiero politico, morale e religioso, anche quando il potere della chiesa, del papa o delle varie signorie e fazioni poteva creargli problemi e ostacoli. E non ha mai ceduto alle lusinghe dei muovi padroni di Firenze che lo volevano far tornare in città, a condizione che si umiliasse ai loro piedi.
Per esempio non ha mai rinunciato, per accondiscendenza, al suo ideale politico di una monarchia universale, con un auspicio rivolto ad una grande strategia unificatrice dell’impero, che i suoi stessi ospiti (signori di staterelli italiani in continua lotta tra di loro) certamente non vedevano in modo favorevole. Anche nella politica attuale, i leader di piccoli o piccolissimi partiti resistono ad ogni logica di sistema per trarre vantaggi personali e spesso inconfessabili.

 

Episodi interpretativi di Dante

Nei capitoli centrali del libro del profeta Daniele (Dan 2,4b-7,28), sono narrati sei episodi, di cui tre sogni e tre racconti: ma in particolare uno è assunto da Dante come esplicitamente congruente con le sue stesse visioni morali e politiche ed è l’interpretazione del sogno fatto dal re di Babilonia. Il re aveva sognato una statua enorme composta di diversi materiali sempre più scadenti dalla testa ai piedi; un grosso masso si stacca dalla montagna, colpisce la statua e la riduce in frantumi. Daniele lo interpreta come la storia dei regni che si succederanno nella storia.
Dante trasforma questo racconto del Libro di Daniele (Daniele II, 31-33) in quello del Veglio di Creta. Si tratta di una statua ciclopica che Dante colloca a Creta, nel Monte Ida, dove, secondo la mitologia greca, era stato nascosto Zeus.
L’isola di Creta è scelta da Dante come culla della civiltà.
Le componenti della statua del Veglio di Creta narrato da Dante nel XIV Canto dell’Inferno, sono simili a quelle della statua sognata dal re di Babilonie: oro nella testa, argento nelle braccia e nel petto, rame nel busto fino all’inguine, ferro nelle gambe compreso il piede sinistro, mentre quello destro è di terracotta e per questo molto fragile: è qui che, secondo il Libro di Daniele, cade la pietra staccatasi dal monte e colpendo il piede fa crollare l’intera statua.

«La sua testa è di fin oro formata,
e puro argento son le braccia e il petto,
poi è di rame infino a la forcata;

da indi in giuso è tutto ferro eletto,
salvo che ‘l destro piede è terra cotta;
e sta ‘n su quel più che ‘n su l’altro, eretto”
(Inferno XIV, 103-111)

 

Il potere effimero di tutte le civiltà “imperiali”

La spiegazione di questo complesso sistema di simboli è quella derivata dalla tradizione biblica: le varie sezioni del Veglio rappresenterebbero le epoche della civilizzazione.
Da un'epoca aurea, da dove non sgorgano lacrime, cioè priva del peccato (cioè di peccatori che piangano), si passa a regni via via meno virtuosi e più fragili, fino ai due piedi che rappresenterebbero l'epoca contemporanea.
La loro divisione sarebbe quella tipica del mondo dantesco tra potere papale e imperiale: l'Impero sarebbe il piede di ferro, ancora forte ma poco presente, perché ormai ci si appoggiava più all'altro piede, quello del papato, più debole perché d’argilla, ma più potente.
Il vecchio, corrotto da innumerevoli fratture si specchierebbe nella Roma papale corrotta.

In mezzo mar siede un paese guasto",
diss' elli allora, "che s'appella Creta,
sotto 'l cui rege fu già 'l mondo casto
.

Una montagna v'è che già fu lieta
d'acqua e di fronde, che si chiamò Ida;
or è diserta come cosa vieta”
(inferno XIV, 94-99)

Virgilio trae inoltre dal Veglio di Creta la spiegazione dell'origine dei fiumi infernali (Inferno XIV, 94-120).

 

L’esilio insegna la relatività

Anche in questo racconto Daniele manifesta la sua antipolitica come maître à penser: l’idea della aleatorietà dei regni, della precarietà dei governi, della decadenza del potere.
Questo concetto è rimosso in modo ossessivo da chi ha o conquista il potere: entra in lui in modo ineluttabile la certezza di essere immortale e di durare in eterno.
L’uomo che forse più di tutti ha incarnato questa presunzione assurda è Hitler 1: la sua prospettiva del potere con il Terzo Reich era indefettibilmente eterna e universale, e invece è durato solo 12 anni (anche se in questo breve periodo ha commesso atti devastanti che altri imperi non commisero neppure in cento).
Ma questo tarlo che penetra nel cervello paranoico di questi uomini di potere non ha purtroppo nessun vaccino che renda immune l’uomo di potere, se non una educazione molto profonda di etica della responsabilità (come sosteneva Max Weber) e di lettura dei libri sapienziali e profetici, come appunto il Libro di Daniele.
Qualche autore, nel commentare le previsioni e gli scenari profetizzati da Daniele, arriva a identificare i destini di molti imperi reali della storia passata e recente, perfino una anticipazione dei destini dell’impero britannico 2.

 

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1In Daniele si percepisce lo stesso acume critico di altri grandi ebrei contemporanei, come Horkheimer, Adorno, Fromm e la Scuola di Francoforte nei confronti di tutte le personalità, soprattutto politiche, affette da autoritarismo psicotico.

2In effetti i quattro metalli di cui è composta la statua gigante del Veltro, che rispecchia la statua sognata dal re di Babilonia e interpretata da Daniele, rappresentano, secondo alcuni, quattro imperi (quello neobabilonese, quello persiano, quello di Alessandro Magno e quello ellenico dei Seleucidi, mentre i piedi in parte di ferro e in parte d’argilla alludono, secondo alcuni, all’Impero Romano, secondo altri all’impero britannico.

 

 

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