IL CRISTALLO, 2008 L 1 [stampa]

RENZO FRANCESCOTTI: Lóvi solàgni / Lupi solitari, Curcu & Genovese, Trento, 2007

recensione di SILVANO DEMARCHI

Renzo Francescotti, il più rappresentativo poeta trentino, che scrive in lingua e nel dialetto della sua terra, ha raccolto in un unico volume le precedenti sillogi Cantada desperada, Celtica Zità en tra i crozi, Iris, e, non pubblicata a parte, L'ultima cantada, opere scritte nell'arco di dodici anni. Tutte le poesie hanno la versione italiana a piè di pagina, fatta dall'autore. Si tratta di un ciclo di cinque poemetti che, come lo definisce, con una bella immagine, l'Autore è una "cattedrale laica a cinque navate".

Il titolo Lóvi solàgni o Lupi solitari riguarda i protagonisti dei cinque poemetti: un cantore girovago, il Rosso, Gal, Iris, Nando, anch'egli cantastorie come il primo. Essi fuggono dalla vita urbana per ritirarsi tra i monti, desiderando vivere secondo natura e guardare da quell'alta specola il mondo. Chiara è la contrapposizione fra questa vita semplice, agreste, ricca di pacate gioie, meditativa e sapiente e quella frenetica, artificiosa, mai paga delle città, che in certo qual senso ci ricorda un topos ricorrente della poesia latina. Ma vi è anche, soprattutto in Celtica, il richiamo ad una tradizione perduta, quella degli antichi Celti, sconfitti dai Romani, che aveva "un rapporto sacrale con gli animali e le piante, le acque e le pietre", che considerava la vita come un'avventura e sprezzava la morte. Il poeta sembra essere un inflessibile Laudator temporis acti, sennonché vi è in lui la drammatica consapevolezza, oggi vissuta dagli ambientalisti, che stiamo vivendo una vita non più a misura d'uomo e che anche la vita in montagna sta sempre più urbanizzandosi con le devastanti conseguenze che è facile prevedere. Giacinto Spagnoletti, accostando Francescotti ai grandi poeti dialettali come Pierro, Loi, Guerra ecc., scrive: "La sua passione è totale, indiscriminata, e perciò il mondo d'oggi gli appartiene solo di striscio" e parla di un "grande fermento morale prima che letterario".

E Paolo Ruffilli: "La poesia di Francescotti ricompone tra le maglie del tessuto memoriale il fluire del tempo (…) l'apparente mancanza di orizzonti della vita, il buio della conoscenza". Il registro prevalente di questa poesia è l'elegia, velata di tristezza, che passa attraverso l'evocazione memoriale per concludersi in poesia civile, di forte e vissuto impegno sociale, ma ciò che a prima vista colpisce sono gli scorci paesaggistici della natura alpina, visti non solo nella loro grandezza ma anche nelle piccole cose, di cui il poeta si mostra curioso entomologo e botanico. Il tutto giova a costruire un mondo edenico, che forse non è mai esistito nella sua forma ideale, ma a cui è bello e confortevole guardare, perché, come diceva Orazio: "Aut prodesse volunt aut delectare poetae". In questo variegato e affascinante mondo poetico, creato da Renzo Francescotti, è chiaro che il dialetto nell'efficacia delle sue espressioni svolge un ruolo insostituibile, che si può percepire soprattutto nella diretta lettura dei testi.