IL CRISTALLO, 2008 L 1 [stampa]

ANTONIO LEOTTI, Il giorno del settimo cielo, Fandango, Roma, 2007, pp, 312

recensione di LEANDRO PIANTINI

Questo romanzo insolito, che non si allinea agli stereotipi della nostra narrativa, racconta un'ossessione, quella di Aldo nei confronti della sua famiglia altoborghese e soprattutto del padre, grandissimo stronzo, avvocato romano di successo, amico di personaggi potenti, con una moglie devotissima e a lui asservita. Aldo è cresciuto nel vuoto affettivo e fin dalla più tenera età coltiva nel cuore un odio implacabile per questo padre onnipotente. Il libro racconta la tardiva ma inesorabile vendetta di Aldo, che riesce a portare alla rovina il padre e a mandarlo in galera. A missione compiuta diventerà un barbone e smetterà di parlare per sempre.

Questo romanzo avvincente, che colpisce per l'energia trascinante con cui è scritto, sembra un libro d'altri tempi, quasi ottocentesco. In un linguaggio lento e analitico, attento ai minimi dettagli, si svolge una trama di solido spessore. Il romanzo forse è talora ridondante, ma ciò non sminuisce la forza narrativa che ci comunica, con le sue penetranti analisi della malattia mentale, di patologie e di nevrosi rese con grande efficacia e che talora fanno pensare a Dostoevskij.

La storia di Aldo corre in parallelo con quella di Giovanni, psichiatra, che lavorando a Roma in un consultorio ha in cura Aldo, il quale nemmeno con il medico ha mai aperto bocca anche se Giovanni ha intuito che il barbone capisce tutto e se non parla deve avere i suoi motivi. Giovanni è divorziato, soffre di depressione, non ha molta fiducia nelle proprie capacità curative, insomma sembra che abbia qualcosa in comune con Aldo, sembra il fratello maggiore che ha avuto un destino più felice, ma la pianta da cui provengono è la stessa, quella di chi è sempre sull'orlo del disastro. Tuttavia Giovanni è un bravissimo psichiatra, e questo lo sanno forse più i suoi colleghi di lui, e una famosa conduttrice televisiva fa di tutto per farsi prendere in cura da lui.

Insomma due storie intrecciate, di disagio e di infelicità, raccontate con una intensità drammatica rara al giorno d'oggi, in una narrativa in cui gli scrittori fanno di tutto per non esporsi e non rischiare, con risultati naturalmente mediocri. Il cuore del libro consiste nella penetrante descrizione del dolore e della sofferenza psichica, nel racconto dei meccanismi occulti che provocano la disperazione ma anche l'innamoramento e la felicità. Condizioni esistenziali che l'autore dimostra di conoscere alla perfezione e soprattutto di possedere qualità di scrittura e d'invenzione capaci di trasformarle in romanzo. Ecco come Giovanni decide di farsi carico della nevrosi della diva: "Lo spavento per quella sinistra eco di disfacimento era stato determinante"; "Giovanni ne avvertiva tutta la caotica carica distruttiva, come un'aria degradata, malata, la cosa più vicina all'infelicità che avesse mai provato, ebbe un tuffo al cuore, si era spaventato come sempre succedeva quando i suoi sensi coglievano, qualche volta sbagliando, lo sapeva, la disperazione, il vuoto, un segno di morte, bello come un'orchidea del cielo, cesellato nell'anima di chi gli stava di fronte, per fortuna durava poco, l'esperienza e la razionalità sapevano prendere subito il timone senza escludere i sentimenti" (p. 192). Non si potrebbe dire meglio di così. Alla fine i destini dei due personaggi arrivano ad identificarsi. Giovanni trova l'amore e sente allentarsi le dolorose pulsioni che lo legavano alla sofferenza dei suoi pazienti. Mentre Aldo ne passa di tutti i colori, rifiuta drammaticamente il lascito familiare e arriva a distruggere i mobili della lussuosa casa che i genitori gli hanno regalato. Come un Francesco d'Assisi si è privato di tutto e la condizione di barbone ne e il rifiuto di parlare sono per lui una dolorosa conquista, l'approdo alla libertà di seguire fino in fondo il suo destino.

Unico scopo della sua vita sarà godere l'ebbrezza della libertà, dopo la prigione dorata in cui la pazzia del padre, la sua natura tirannica ammantata di perbenismo, lo hanno costretto a vivere annullando la sua personalità. Aldo si è vendicato rivelando che il padre non era il santo che voleva far credere di essere agli alti prelati suoi amici ma un farabutto, che per anni ha esportato all'estero le ingenti fortune dei suoi clienti. E così il padre finisce in carcere e il figlio a mendicare.