IL CRISTALLO, 1975 XVII 2 [stampa]

PETRARCA E IL PETRARCHISMO NELLA LETTERATURA GERMANICA

di HORST RÜDIGER

Petrarca ebbe dapprima fortuna in Germania per i trattati e le epistole latini, anziché per il Canzoniere. L'influenza di essi rimase però in un primo momento limitata alla cerchia degli amici, soprattutto di quelli boemo-tedeschi riuniti intorno all'imperatore Carlo IV a Praga e facenti parte della Cancelleria dello Stato. Una personale amicizia legò fino alla morte il primo 'homme de lettres' dell'epoca moderna all'imperatore e al suo cancelliere Johannes von Neumarkt. I risultati del tentativo di Petrarca di influire sulle decisioni politiche furono certo irrilevanti; tuttavia, proprio per questo, dimostrano il carattere utopistico dell'attività politica di molti letterati e il perché del loro naufragare di fronte alle esigenze del potere e della realtà. Anche l'importanza che Konrad Burdach e i suoi seguaci vollero attribuire a Petrarca e a Cola di Rienzo per lo sviluppo della lingua letteraria tedesca e soprattutto per l'influsso che egli ebbe sull'Ackermann aus Böhmen (Aratore di Boemia), 'disputa' tra l'uomo e la morte, di Johannes von Tepl, è stata ridimensionata dall'esame più realistico degli storici e dei filologi più recenti. La «crisi culturale» che Burdach credeva di vedere nella metà del Trecento in Germania, fu alquanto diversa da come egli se la immaginava: il 'preumanesimo' boemo ricevette si impulsi da Petrarca, ma non ebbe poi per l'umanesimo tedesco in generale l'importanza che il Burdach voleva attribuirgli. Ed anche se si potessero dimostrare 'influssi' più rilevanti di Petrarca sull'Aratore, di quanto in effetti si possono notare, si potrebbe tuttavia a fatica estendere il concetto di Rinascimento a un mondo sociale e culturale ancora molto diverso da quello del Comune italiano.

Rimane indiscutibile però l'importanza che Petrarca ebbe, sia come autore che come uomo, e non solo su Johannes von Neumarkt, suo ammiratore entusiasta, e sulla corte imperiale di Praga. La sensibilità di Petrarca per l'armonia della lingua latina — «sola me verborum dulcedo et sonoritas detinebat» —, e cioè per la qualità estetico-musicale, fino ad allora trascurata, del latino, le clausole e i 'cursus' del quale le cancellerie di Praga e poi anche le altre della Germania medio-orientale cominciarono ad imitare negli scritti latini e tedeschi; la forza immaginativa che portava il poeta italiano a parlare familiarmente con gli scrittori romani; la infaticabile ricerca di manoscritti latini perduti e di conseguenza il suo irrequieto vagare di chiostro in chiostro e di corte in corte; l'indifferente sicurezza con cui Petrarca si muoveva tra principi e personalità di alto rango — tutto questo non poteva non colpire l'immaginazione della gente colta al di là delle Alpi. Ma dovettero passare più di cento anni prima che il medico Heinrich Steinhöwel, laureatosi a Padova, traducesse in tedesco la novella di Griselda di Boccaccio dalla rielaborazione latina di Petrarca (stampata nel 1471); l'argomento si diffuse poi con tale rapidità da divenire uno dei libri più noti dell'epoca della Riforma. E soltanto nel 1532 apparve poi in traduzione completa il trattato De remediis utriusque fortunae. Tuttavia l'umanista olandese Rodolphus Agricola già nel 1474, in occasione del primo centenario della morte del poeta, aveva scritto una Vita Petrarchae secondo il modello di Pier Paolo Vergerio. Anche Agricola, come Steinhöwel, aveva trascorso parecchi anni in Italia, accolto dagli Italiani come uno di loro per le sue capacità retoriche. Ovviamente non a caso la fama di Petrarca umanista fu diffusa da quei Tedeschi che avevano studiato nei centri di maggior fioritura dell'umanesimo italiano. Uno dei più dotati fra loro, Albrecht von Eyb, che si era laureato in giurisprudenza a Pavia, nella sua Margarita poetica, raccolta di modelli retorico-stilistici (stampata nel 1472), prese come esempio, tra gli altri umanisti, anche Petrarca per diffondere in Germania la nuova cultura.

Mentre in Italia, e presto anche in Spagna, Francia, Inghilterra ed Olanda, fiorivano il petrarchismo e l'antipetrarchismo, suo inseparabile contrapposto, la letteratura volgare tedesca, tutta presa dalle lotte religiose, politiche e sociali dell'epoca della Riforma, rimase insensibile al giuoco delle forme e delle figure retoriche, nonché alla passione e alle sofferenze amorose. Lo zelo iconoclasta e la rozzezza della lingua che accompagnarono le contese confessionali, soffocarono il gusto del giuoco e il piacere dell'artigianato letterario, presupposti naturali del petrarchismo. Solo nella poesia neolatina degli umanisti tedeschi apparvero dapprima tali elementi. Martin Opitz, ad eccezione di alcuni precursori e seguaci meno importanti, con la pubblicazione del Buch von der Deutschen Poetery (Libro sulla poetica tedesca; 1624), fu il primo ad instaurare in Germania la fortuna del petrarchismo che durò fino alla morte di Johann Christian Günther (1723), e cioè esattamente un secolo. Opitz era pienamente consapevole del caratteristico ritardo della letteratura tedesca rispetto alle altre letterature nazionali europee. L'esigenza di ricuperare il gusto delle forme (e non solo del sonetto caldamente raccomandato dall'Opitz ai poeti tedeschi, ma anche di strofe così difficili come la sestina); il desiderio di far propri motivi erotici psicologicamente più differenziati e la malinconia della poesia petrarchesca, vera o finta che sia, furono presto e pienamente soddisfatte. Già Paul Fleming (morto nel 1640) rappresentò l'espressione più significativa del petrarchismo.

Certamente non si può parlare di petrarchismo nel senso datogli dal Bembo. La nuova moda venne sopraffatta da mode più antiche come i canti madrigaleschi e da quelle più recenti come il marinismo, la poesia anacreontica e quella pastorale, mescolandosi al petrarchismo tradizionale. Nella letteratura barocca tedesca mancarono anche fenomeni come il neoplatonismo, le cortigiane cultrici della poesia petrarchistica o una «Laura nazionale» quale fu per gli Inglesi la regina Elisabetta; del resto i poeti tedeschi non svilupparono una forma propria di sonetto come Wyatt, Spenser e Shakespeare. Tuttavia i dotti patrioti tedeschi raggiunsero lo scopo di dimostrare che la loro lingua era capace di gareggiare con le altre lingue nazionali e con il latino; essa, mediante l'esercizio assiduo, era divenuta abbastanza duttile da dimostrare la propria padronanza non solo delle strofe e del concettismo retorico, ma anche dell'immaginativa melanconica di Petrarca. Mancò però ancora alla letteratura tedesca un poeta di sonetti del rango di Shakespeare.

Se si ricercano negli autori dell'epoca giudizi su Petrarca umanista e lirico, ci si rende conto che perfino negli esperti di storia della letteratura si trovano poche osservazioni originali. Opitz esalta con espressioni convenzionali la «sapienza raffinata» di Petrarca e la preferisce di gran lunga all'arte di Dante. Il verbo 'petrarquiser', creato da Ronsard, viene da lui reso significativamente così: «wie Petrarcha buhlerische reden brauchen» («usare il linguaggio carezzevole di Petrarca»). Nonostante ciò traduce il sonetto «S'amor non è...» (132) in un tedesco più duttile di quello dei suoi predecessori. La prima valutazione più approfondita di Petrarca si trova, per quanto io sappia, nell'edizione migliorata dell'Unterricht von der Teutschen Sprache und Poesie (Insegnamento della lingua e poesia tedesche; 1700) di Daniel Georg Morhof. Ad un esame più attento ci si accorge però che l'enciclopedico professore di Rostock si limitò solamente a compilare ciò che aveva trovato in opere critiche di autori italiani. La lingua italiana è per lui un «parlare bastardo» composto da elementi latini e «gotici», ed egli avrebbe preferito che gli Italiani si fossero fermati al latino. La causa di ciò che Morhof ritiene un pervertimento, starebbe nel fatto che «i primi triumviri tra i poeti italiani», Dante, Petrarca e Boccaccio, «non osarono creare qualcosa di valido in lingua latina perché tutto allora era in piena barbarie, benché Petrarca abbia fatto nel miglior dei modi e sia apparso come una stella improvvisa e rischiarare la notte oscura». Ciò farebbe supporre che il Morhof avesse letto almeno gli scritti latini di Petrarca, tanto più che cita subito dopo un passo tipicamente umanistico contro lo studio della giurisprudenza: «Quid, ad faciendum virum bonum, ista [studia] conveniunt?». Ma dubito che egli conoscesse direttamente le opere di Petrarca, giacché anche rispetto ai sonetti egli cita nuovamente un passo significativo di un critico italiano, il quale vede nella «maraviglia» e nel «diletto» i segni caratteristici della poesia petrarchesca. Un altro studioso, Benjamin Hederich, si limita nella sua Notitia auctorum... (1714) a qualche cenno biografico e a giudizi di seconda mano. E Gottsched, nella Critische Dichtkunst (Critica dell'arte poetica; 1730, 1751), non sa referire altro che Petrarca avrebbe dato al sonetto «la sua giusta forma mediante i canti amorosi in onore di Laura» e cita come esempio «Voi ch'ascoltate...». Per il lettore tedesco del primo Illuminismo Petrarca era, come già per Erasmo, «reflorescentis eloquentiae princeps apud Italos..., sua aetate celebris et magnus, nunc vix est in manibus...».

Uno nome celebre, la cui opera era conosciuta solo sommariamente: questa definizione esprime anche il concetto che i lirici tedeschi, da Klopstock al giovane Schiller, avevano di Petrarca. L'espressione di Opitz riguardante il «linguaggio carezzevole» e quella di Gottsched sui «canti amorosi» tradiscono ancora il disagio moralistico per il senso di cupidigia amorosa che si era introdotto sin dalla cosiddetta Seconda Scuola Slesiana, mediante l'empio connubio del petrarchismo con il marinismo, l'anacreontismo e la 'poésie fugitive'. Come elemento nuovo si aggiunge ora la 'Empfindsamkeit' (il 'sentimentalismo'), che è sintetizzato per i lirici esperti del petrarchismo nel nome di Laura: non come 'donna angelicata' di Petrarca, bensì come simbolo, similmente a Phyllis o Amaryllis, Annette o Lisette, della fanciulla borghese da cui l'amante è preso senza speranza, per la quale versa lagrime di desiderio e accanto alla quale può vedersi elevato nell'immortalità. In alcuni versi dell'elegia «Die künftige Geliebte» («L'amata del futuro»; scritta nel 1747/48, stampata per la prima volta nel 1748), Klopstock identifica quasi le figure di Laura e della sua Fanny:

Heißest du Laura? Laura besang Petrarca in Liedern,
Zwar dem Bewunderer schön, aber dem Liebenden nicht!
Wirst du Fanny genannt?...

Ti chiami tu Laura? Laura cantò Petrarca in canti,
belli si per l'ammiratore, ma non per l'amante!
Ti chiami tu Fanny?...

Nell'ode «Petrarca und Laura» (scritta nel 1748, stampata nel 1771) Klopstock celebra il suo amore non corrisposto per Fanny in dolci asclepiadei, che vanno da un tono smorzato e melanconico ad un tono di gioia celeste. Non manca nessun elemento del sentimentalismo: né la «luna argentea», né lo «stanco occhio melanconico» del poeta, né l'usignolo, «compagno nel pianto», il cui «lamento melanconico» non riesce a lenire le sofferenze. Solo il sonno le scioglie in una visione, in cui si trovano però anche appunti critici contro l'anacreontismo privo di sentimenti genuini:

Laura sah ich im Traum, bey ihr den fühlenden
Liedervollen Petrarca stehn.
Sie war jugendlich schön. Nicht wie das leichte Volk
Rosenwangichter Mädchen ist,
Die gedankenlos blühn, und im Vorübergehn
Von der Natur, und im Scherz gemacht,
Leer an Empfindung und Geist, leer des allmächtigen
Triumphirenden Götterbliks...
An ihr klopfendes Herz legte Petrarca sich...

Laura vidi in sogno, e presso di lei
Petrarca ricco di sentimento e di canto.
Era giovanilmente bella, non come la folla
di fanciulle leggere dalle gote rosate,
che fioriscono prive di pensieri e create
dalla natura quasi per caso e per ischerzo,
prive di sentimento e di spirito, prive dell'onnipotente
sguardo divino che trionfa...
E Petrarca si pose accanto al di lei cuore palpitante...

Il «cuore palpitante» di Laura eleva il poeta fra gli immortali, «singhiozzi e lagrime» trascolorano in gaudio per «l'immortalità della nostra fama presso i posteri / nel mondo terreno». Ancora i nipoti godranno della gloria suscitatata dall'entusiasmo poetico:

Enkel, die ihr ihr folgt...,
Euch gehorche das Spiel, das von der Leier tönt.
Singet würdig der Ewigkeit,
Würdig der, die euch liebt — Gebt sie den folgenden
Späten Tagen zum Muster hin.
Enkelinnen, die ihr Laurens Empfindungen habt...,
Euch nur singe das Spiel, das von der Leier tönt,
Seyd unsterblich, wie Laura ist.

Oh nipoti che seguite la vostra fanciulla...,
vi sia docile il suono che nasce dalla lira.
Cantate degni dell'eternità,
degni di quella che vi ama — tramandatela
come modello ai giorni che verranno.
Oh mie nipoti che avete nel cuore i sentimenti di Laura...,
solo per voi risuoni il canto della lira,
siate immortali come lo è Laura.

L'evolversi della storia dello spirito, percepibile in questa ode, porta a una reazione, di cui i primi segni appaiono appunto nel Klopstock, reazione alla secolarizzazione di espressioni e valori religiosi nella critica dell'arte, nella poesia, nel culto dell'amicizia e dell'amore. Questa reazione si realizza in un capovolgimento della secolarizzazione, e cioè nella santificazione, o più esattamente nell'apoteosi del poeta e dell'amata e in un'appena velata identificazione con il modello letterario. Non a caso Klopstock sceglie Petrarca e Laura come simboli di moti del suo animo: essi non hanno per lui solo la funzione di Virgilio e Beatrice nella Divina Commedia, ma gli danno la certezza della propria immortalità poetica.

Nessun seguace di Klopstock osa tanto. I Petrarchische Gedichte (Poesie petrarchesche; 1764) del Gleim e le Phantasien - Nach Petrarka's Manier (Fantasie - Alla maniera di Petrarca; 1772) di Klamer S c h m i d t si valgono quasi solamente della forza attrattiva di un nome celebre per solleticare nel pubblico le aspettative 'amorose'. Lessing percepisce subito l'ambiguità degli intenti. Quanto alla raccolta del Gleim, scrive che l'aggettivo 'petrarchesco' gli sembra «del tutto inadatto», e maliziosamente aggiunge: «...il suo tono è più quello giocoso di Anacreonte che quello solennemente singhiozzante di Petrarca. Questi, l'Italiano platonico, non appunta lo sguardo così cupidamente ai 'gigli del seno', e quando intreccia morte ed eternità con le espressioni della sua tenerezza, intreccia davvero, mentre in quelle poesie tedesche il sacro e il profano, l'amore e la pietà religiosa sono elementi giustapposti, che rimangono però ciascuno chiaramente distinto dall'altro senza che dalla loro intima unione nasca quella melanconia voluttuosa, che è il carattere proprio della poesia di Petrarca». Tuttavia persino la critica che Lessing fa all'ondeggiare «tra le due funeste sirti, la sensualità e il misticismo» (come Goethe si esprime in altra occasione), non riesce a cancellare l'idea convenzionale sulla «melanconia voluttuosa» di Petrarca: giudizio questo che riguarda però meno il poeta stesso che quella maniera del petrarchismo che Leonard Forster ha definito sado-masochistica.

Pure i discepoli veri e propri di Klopstock non raggiunsero il maestro. Lo Hölty scrisse una serie di odi alla sua Laura in cui, accanto a motivi petrarcheschi, elaborò anche motivi anacreontica e classici. L'esempio più significativo di un'ardita mescolanza di motivi è l'ode «An Laurens Kanarienvogel» («Al canarino di Laura»):

Liebes Vögelchen, ach, wie ruhig schläfst du,
Mit dem grünlichten Köpfchen unterm Flügel,
Träumest liebliche Lieder, pickst aus meines
Liebchens Händen ein Stücklein Zucker, oder
Was für goldene Träume sonst dich letzen.
Neidenswerter, ach, neidenswerter ist dein
Los, du Glücklicher, als mein Mißverhängnis.
Nie umflattert des Schlummers Rosenfittich
Meine tränenden Augen. Laura klopfet
Mir in jeglichem Puls, und Laura fliehet.
O was frommet mir solch ein Trauerleben!... ecc.

Oh caro uccellino, come riposi tranquillo
con la testa verdolina sotto l'ala,
sogni dolci canti, e becchi dalle
mani della mia amata una zolletta di zucchero, oppure
quali altri sogni d'oro ti allietano.
Più invidiabile, ahimé, più invidiabile è la tua
sorte, oh beato, della mia infelicità.
Mai le piume rosee del sonno aleggiano
intorno ai miei occhi piangenti. Laura mi pulsa
in ogni vena, e Laura fugge.
Oh, a che mi vale una simile vita di pianto!... ecc.

Il motivo centrale è ovviemente un'imitazione dei versetti di Catullo dedicati al passero della sua Lesbia; oltr'a ciò lo Hölty riprende gli endecasillabi del neoterico, e alla fine pone un'immagine anacreontica mescolata forse con un fugace ricordo dell'inno al Sonno di Stazio. Ma la «vita di pianto» dell'amante ha spinto il poeta a gratificare l'amata col nome indicativo di 'Laura', in modo che il lettore sappia subito ciò che l'aspetta, e cioè l'indifferenza della donna amata. Hölty stesso sembra abbia intuito la sconvenienza della mescolanza dei motivi, tanto che in una stesura posteriore chiama la fanciulla col nome greco meno impegnativo di Daphne.

Nella «Prefazione» alla seconda parte della scelta delle sue poesie del 1803, Schiller chiama le sue prime liriche «prodotti selvaggi di un dilettantismo giovanile, esperimenti malsicuri di un'arte ancora in germe e di un gusto ancora discorde con se stesso». La precedente autorecensione dell'Anthologie auf das Jahr 1782 (Antologia dell'anno 1782) aveva però espressamente escluso da questo giudizio severo le otto poesie dedicate da Schiller alla s u a Laura: esse sarebbero scritte infatti «con fantasia ardente e con profondità di sentimento», e si distinguerebbero «a loro vantaggio dalle altre. Ma tutte sono esaltate», egli continua, «e tradiscono un'immaginazione troppo sfrenata; qua e là noto anche qualche passo lascivo velato da gonfiezza platonica». Gli appunti che Schiller fa a se stesso coincidono con quelli rivolti da Lessing al Gleim: platonismo in ibrida mescolanza con cupidigia. Nella «Phantasie an Laura», ricca di ardite antitesi petrarcheggianti, Schiller stesso usa questo termine:

Mit dem Stolze pflegt der Sturz zu tändeln,
Um das Glück zu klammern sich der Neid,
Ihrem Bruder Tode zuzuspringen
Offnen Armes Schwester Lüsternheit.

Con l'Alterigia suole amoreggiare la Caduta,
l'Invidia suole avvinghiarsi alla Fortuna
e la Cupidigia slanciarsi a braccia aperte
Verso la sorella Morte.

La suggestiva armonia di Cupidigia e Morte, che ricorda l'atmosfera macabro-sensuale dell'amore di Tristano e Isotta, è resa ancor più evidente dalla terminologia musicale, in quanto la parola 'Fantasia' dà l'idea di una composizione musicale liberamente creata. La stessa atmosfera ritroviamo poi nella poesia intitolata «Laura am Klavier» («Laura al pianoforte»):

Seelenvolle Harmonien wimmeln,
Ein wollüstig Ungestüm,
Aus den Saiten...

Armonie ricche di sentimenti,
violentemente lascive,
si sprigionano dalle corde...,

oppure in un passo da «Die seligen Augenblicke» («Gli istanti beati», poesia più tardi intitolata «Entusiasmo per Laura»):

Meine Muse fühlt die Schäferstunde,
Wenn von deinem wollustheißem Munde
Silbertöne ungern fliehn...

La mia Musa sente l'ora idilliaca
quando dalla tua bocca avida
fuggono a fatica i suoni argentini...

Tuttavia, al di sotto delle esaltazioni e crudezze della lirica giovanile di Schiller, si rivelano genuini sentimenti petrarcheschi «Freundlos irr ich und allein...» («Errabondo cammino solo e senza amico...») che richiama il «Solo e pensoso...», oppure «Schwermütig süß mein Minnelied...» («Melanconicamente dolce il mio canto amoroso...»), e ancora «Ach, die Welt ist Sterbenden so süß...» («Oh, dolce il mondo per chi muore...»). Inoltre Schiller, probabilmente senza conoscenza diretta del Canzoniere, domina magistralmente l'arte delle antitesi petrarchesche. Nella «sfrenata immaginazione» del giovane poeta il petrarchismo subisce una strana metamorfosi: d'una parte esso si avvicina di più a Petrarca della imitazione cosciente dei petrarchisti barocchi, dall'altra pone le reminiscenze di seconda mano nella luce splendente di un mondo dei sentimenti ancora caotico, che in pochi anni si sarebbe meravigliosamente urbanizzato ed umanizzato. Le idee e le metafore di Petrarca e dei petrarchisti saranno poi sopraffatte da altre; ma esse a volte traspaiono ancora nella gioiosa melanconia delle sue scene drammatiche di morte e trasfigurazione, come nell'ultima scena della Vergine d'Orléans:

Der Himmel öffnet seine goldnen Tore,
Im Chor der Engel steht sie glänzend da,
Sie hält den ewgen Sohn an ihrer Brust,
Die Arme streckt sie lächelnd mir entgegen...

Il cielo apre le sue porte d'oro,
ella splende nel coro degli angeli,
stringe al petto il figlio eterno
e stende sorridendo le braccia verso di me...

Nel maggio del 1789 Gottfried August Bürger inviò la seconda edizione delle sue Poesie a Schiller che aveva conosciuto da poco personalmente e che stimava molto. La raccolta conteneva fra l'altro i sonetti a Molly. Bürger l'aveva sposata dopo l'infelice matrimonio con la sorella di lei, ed anch'ella gli fu strappata dalla morte dopo pochi mesi. La durezza che Schiller dimostra nella recensione Über Bürgers Gedichte (Sulle poesie di Bürger; 1791) è spiegabile con un più alto grado di maturità da lui ormai raggiunto. Lamenta in quelle poesie la mancanza di ciò che egli stesso non aveva ancora realizzato nei versi dell'Antologia del 1782, e cioè «quell'idealismo, quella elevazione, senza la quale egli [il poeta] cessa di meritare il suo nome». Critica anche la «discontinuità del gusto» nonché qualche banalità e «crudezza», manchevolezze d'altronde che si ritrovano in Bürger, come pure nello Schiller giovanile. Considerato obiettivamente, il giudizio di Schiller resiste a quello della storia. Tuttavia, nell'ambito della resezione tedesca di Petrarca, ai sonetti a Molly del Bürger spetta un'importanza non lieve. Egli riprende la forma del sonetto di Petrarca sostituendo, secondo il modello di Klamer Schmidt, gli alessandrini barocchi con i più moderni endecasillabi in rima, e si attiene pure allo schema originale delle rime. Bürger conosce direttamente il Canzoniere e ne riprende pure i motivi. Alcuni sonetti sono in parte liberamente parafrasati, in parte sono quasi fedeli traduzioni dal Petrarca. Così egli rende l'ultima terzina del sonetto «In qual parte del ciel...» (159):

... non sa come Amor sana e come ancide
chi non sa come dolce ella sospira
e come dolce parla e dolce ride.

...Der kannte nie der Liebe Lust und Schmerz,
Der nie erfuhr, vie süß ihr Atem fächelt,
Wie wundersüß die Lippe spricht und lächelt.

In versi siffatti si annunzia già la rara arte di tradurre del discepolo di Bürger, August Wilhelm Schlegel; in altri versi invece non riuscì al poeta di decantare la sua esperienza amorosa, per la quale si sentiva vicino a Petrarca, di eliminare le scorie dello Sturm und Drang e di spiritualizzarla sulla scia del Canzoniere.

La comprensione romantica di Petrarca si sviluppò sin dall'Illuminismo. I primi impulsi dettero critici italiani come Gravina, Muratori e soprattutto il conte Pietro di Calepio, con il quale il critico svizzero Bodmer aveva un intenso scambio di lettere. In uno dei Neuen Critischen Briefe über gantz verschiedene Sachen (Nuove lettere critiche sopra argomenti diversi; 1749) Bodmer fa un apprezzamento su Petrarca che, pur se ancora legato a idee illuministiche, tuttavia coglie fino ad un certo punto l'originalità del poeta italiano. La forma del sonetto gli sembra però un «letto di Procruste», poiché il poeta deve «ora allungare, ora accorciare» i suoi pensieri. È interessante pure l'osservazione dell'allievo bodmeriano Johann George Sulzer, anch'egli svizzero, che però svolse la sua attività a Berlino, il quale afferma persino nella seconda edizione dell'Allgemeinen Theorie der Schönen Künste (Teoria generale delle belle arti; 1779), che il sonetto in Germania «è del tutto fuori di moda, ma che gli Italiani ne sono ancora innamorati», e che di ciò senza dubbio debbono render grazia all'«inimitabile Petrarca». Non si poteva ancora prevedere che il sonetto alcuni anni più tardi avrebbe avuto anche in Germania una nuova fioritura.

 

Una comprensione critica più approfondita fu raggiunta da Johann Nikolaus Meinhard che si può definire con un certo diritto il primo italianista tedesco. I suoi Versuche über den Charakter und die Werke der besten Italienischen Dichter (Saggi sul carattere e le opere dei migliori poeti italiani), apparsi anonimi in prima edizione nel 1763 '64, furono stranamente ritenuti dapprima opera di Winckelmann, al quale Meinhard fece visita a Roma nel dicembre del 1763. Certo Meinhard non aveva bisogno di sentire da Winckelmann che Dante «non è da paragonare né ai Greci né ai Romani», ma che è «un poeta originale»; tuttavia sorse allora una nuova concezione della poesia del Trecento, coniata sia dalla critica italiana che dal Preromanticismo europeo, nel momento in cui Meinhrd afferma che Dante e Petrarca sono «entrambi geni originali, entrambi creatori di un nuovo genere di poesie e del linguaggio poetico presso il loro popolo, il quale, guidato dal loro esempio, forgiò, unico fra tutte le nazioni, una sua propria lingua per la poesia...». Ciò che Meinhard intende per 'genio', lo precisa meglio nel saggio su Lorenzo de' Medici: senza aver bisogno di un mecenate «il vero genio... si apre una via, simile a un torrente in piena, attraverso i più grandi ostacoli». Questa definizione piacque tanto a Lessing che la citò nella sua recensione dei Saggi di Meinhard. E poiché questi addusse anche Shakespeare come esempio di forza geniale, nella critica tedesca fu tolta l'interdizione a Dante e Petrarca: a fianco del poeta inglese furono elevati anch'essi al rango di 'geni originali'.

Certo rimanevano ancora da togliere le scorie del petrarchismo, che fino ad allora avevano impedito la comprensione serena dei Tedeschi per il Canzoniere. Anche in questo riuscì Meinhard nel capitolo «Sugli imitatori di Petrarca». Come straniero incontrò in tale impresa «non lievi difficoltà». Era infatti consapevole dell'alta stima, «in cui i petrarchisti erano tenuti dai più valenti critici italiani, quali Gravina, Maffei, e Muratori», mentre egli giudicava le loro opere «parossismi febbrili»; infatti per interi secoli gli Italiani avrebbero «singhiozzato, languito e, presi dai sentimenti di folle amore, sarebbero impazziti rattopando espressioni petrarchesche». Come dunque si spiegava il giudizio positivo della critica italiana? Meinhard invero non faceva ancora distinzione tra 'imitatio' ed 'aemulatio', ma il suo senso critico lo portava ad intuire che il petrarchismo andava visto nell'ambito della storia della lingua e della prosodia italiane. Egli riconobbe le qualità musicali e le finezze di espressione dell'italiano, accanto alle quali il contenuto perdeva valore: «In Italia si è estremamente sensibili nella scelta dell'espressione...», afferma Meinhard, «e questa scelta è un merito peculiare non solo di Petrarca, ma anche dei suoi imitatori. A questi meriti si aggiungono ancora la purezza e la correttezza nell'uso della lingua... Già per tale merito essi sono ritenuti dagli Italiani... degni dell'immortalità». Del resto tra la «folla degli imitatori» figuravano «parecchi nomi famosi, gente che... pur nella loro imitazione portava qualcosa di originale». Fra quelli Meinhard nomina il Bembo, Giovanni della Casa e Annibal Caro, ai quali dedica il capitolo successivo, mettendo soprattutto in risalto il platonismo del Bembo. Il merito di Meinhard consiste dunque in questo, che egli distingue chiaramente Petrarca dal petrarchismo, che riconosce in quest'ultimo, giustificandolo in parte, un fenomeno della letteratura nazionale, e classifica Petrarca stesso un 'genio originale'.

Questa concezione non ha mancato di avere risonanza tra gli autori tedeschi. Poco di nuovo invero seppe aggiungere Christian Joseph Jagemann su Petrarca e il petrarchismo nell'Antologia poetica italiana (1776/77), che egli compose nella sua qualità di bibliotecario e di insegnante di italiano della Duchessa Anna Amalia di Weimar, e persino negli otto volumi del Magazin der Italienischen Literatur und Künste (Magazzino della letteratura e delle arti italiane), di cui curò l'edizione nel 1780/85, si trova solo un catalogo di alcune delle edizioni di Petrarca. Non è da sottovalutare però l'influsso di Jagemann sulla corte di Weimar; oltre la duchessa erano suoi allievi dame e signori del seguito ed altre persone colte. Dopo la sua morte lo sostituí il critico d'arte Karl Ludwig F e r n o w, che aveva vissuto anch'egli per lunghi anni in Italia e che mori nel 1808. Notava allora Goethe: «La sua perdita fu grande per noi, poiché la fonte della letteratura italiana, che dopo la morte dello Jagemann era appena sgorgata di nuovo, si inaridì per la seconda volta...». Anche Fernow aveva scritto su Petrarca e aveva edito e commentato le Rime. Goethe possedeva i due volumi.

Di importanza critica maggiore fu la recensione che Lessing pubblicò nel 1765 nei Briefe, die neueste Literatur betreffend (Lettere concernenti la letteratura recentissima) sui Saggi di Meinhard. «L'autore... è un uomo che desta vera ammirazione», afferma Lessing. «Un'opera siffatta ci mancava, e potevamo augurarci, ma appena sperare di vederla svolta con tale gusto». Infatti fino allora la letteratura italiana sarebbe stata quasi sconosciuta. «È vero che un tempo», continua Lessing, «i nostri poeti sceglievano quasi solo modelli italiani. Quali però? Il Marino con la sua scuola... Dante e Petrarca dovettero pagare la seduzione che esercitarono i loro seguaci ampollosi e amanti della sottigliezza». Anche Lessing distingue dunque nettamente Petrarca dal petrarchismo e rispettivamente dal marinismo. Abbiamo visto sopra come i limiti della comprensione di Petrarca da parte di Lessing risultavano chiari dalla critica da lui fatta alle Poesie petrarchesche del Gleim. Egli riprese il luogo comune della «melanconia voluttuosa» del Canzoniere, mentre la tensione tra l'amore terreno e l'anelito religioso, tra amore e morte, il reprimere delle passioni mediante l'arte e l'intelletto rimasero ancora estranee all'Illuminismo. Il calore con cui Lessing raccomandò l'opera di Meinhard contribuì però in modo decisivo a far si che i Saggi di questo diventassero l'opera più importante per la conoscenza della letteratura italiana in Germania durante l'epoca di Goethe. Essi prepararono il terreno per la recezione romantica insegnando a vedere Petrarca non offuscato dai pedissequi imitatori.

Herder, già nel Journal del suo viaggio, che intraprese venticinquenne da Riga a Nantes e Parigi nel 1769, si infiammava per la letteratura italiana. «Gli Italiani sono i più raffinati e i più ricchi di inventiva», egli scrisse, «cosa più che mai vera per il Medioevo... I Francesi hanno rubato tutto il loro Parnaso alla Spagna e all'Italia; in ambedue i paesi c'è più di vera natura, di genio e di creatività. La commedia italiana e quella francese, Ariosto e La Fontaine..., Petrarca e i cantori d'amore francesi — quale differenza! Oh, conoscessi io l'Italia...!». Quando vent'anni dopo la conobbe, ne fu deluso; ma il suo amore per i poeti italiani rimase immutato. Egli tradusse tra l'altro anche poesie di Petrarca e gli dedicò il cinquantacinquesimo dei Briefe zu Beförderung der Humanität (Lettere per promuovere l'affinamento del senso di umanità; 1795).

Già nel Giornale di viaggio Herder fa delle osservazioni molto personali. Per lui il Medioevo giunge fino al Rinascimento e persino al Seicento. Stupisce anche l'affermazione del pastore evangelico che la poesia dei paesi cattolici, Italia e Spagna, aveva per lui «più di vera natura, di genio e di creatività» della letteratura francese, alla quale egli non nega invero tali qualità, ma che tuttavia sottovaluta. La vera causa di questo giudizio sorprendente sembra doversi ricercare probabilmente nella simpatia per umanisti dello stampo di Petrarca. Questi è per Herder in prima linea tra i rappresentanti di un'umanità cristiana al di sopra delle confessioni. Per questo nelle Lettere sull'umanità elabora quei tratti che meglio corrispondevano al suo programma di umanizzazione del genere umano: «il nobile, inestinguibile carattere dell'amore per l'antichità...; un carattere», continua Herder, «venerabile per me in ogni sua manifestazione, dovunque io lo ritrovi, e che ci fa tanto bene riconoscere in Petrarca e nel suo tempo, e vedere realizzato in ogni circostanza della sua vita». Per primo Herder mette in rilievo il carattere nazionale dell'umanesimo di Petrarca sottolineando il suo legame con la civiltà dei Romani che Petrarca «considerò suoi concittadini», e accennando all'opposta posizione del Neo-umanesimo tedesco, più incline alla venerazione dei Greci. Egli distingue inoltre tra imitazione meccanica e organica penetrazione nello spirito della Romanità riconoscendo in Petrarca «l'alto sentire» e la «nobiltà del pensiero» dei Romani. Questa megalopsichia Herder vede realizzata nella capacità di Petrarca, «patriota come Tullio e Catone....di mitigare piacevolmente i severi principi di Seneca con la grazia e la cordialità dei rapporti umani di Orazio... Un'umanità tipicamente etica è il carattere di tutti gli scritti di Petrarca». Questa è esattamente la meta a cui tende il pensiero umano e cristiano di Herder. Petrarca è per lui un testimone classico dell'idea dell'umanità. L'indifferenza con cui egli si volge all'imperatore e al papa, a principi e cardinali, dimostra la stima che si ebbe «per l'ingegno e la schietta scienza di Petrarca». e noi moderni dobbiamo a tale stima il fatto di trovarci svincolati dalla barbarie. Persino la poesia amorosa petrarchesca rappresenta per Herder un atto di umanizzazione: scegliendo dall'immaginativa della sua epoca ciò che era adatto a plasmare «un ideale puramente femminile di umanità etica». Petrarca cercò di «elevare [Laura] alla più alta ed eterna figura di bellezza etica femminile». In ciò si distinse sia dai poeti amorosi romani sia da quelli moderni incapaci di una tale idealizzazione. Così Laura si trasforma addirittura in un simbolo dell'umanità herderiana, simbolo privo di qualsiasi accidentalità e caducità terrene e che rende capace colui che ama e comprende di elevare se stesso all'umanità.

È una conseguenza del programma universalistico di Herder che le testimonianze letterarie gli servono in prima linea a documentare l'idea dell'umanità. Le Lettere sull'umanità non dimostrano quella specifica sensibilità per i valori estetici, di cui sono caratterizzate le pagine di August Wilhelm Schlegel su Petrarca. Simile a tanti umanisti e studiosi dell'umanesimo, Herder dà la preferenza ai problemi della storia della civiltà e della pedagogia oppure a quelli della filosofia e della teologia, mentre Schlegel, anzitutto nelle lezioni berlinesi sulla Geschichte der romantischen Literatur (Storia della letteratura romantica; 1802/03), preferisce portare la poesia petrarchesca alla comprensione moderna. Herder, partendo dagli scritti umanistici di Petrarca in lingua latina, cerca di immedesimarsi nello spirito del tardo Medioevo; Schlegel invece pone il poeta del Canzoniere immediatamente al centro del suo saggio. Egli respinge qualsiasi biografismo, nonché la propria intenzione precedente di scrivere «la vita di Petrarca inserendovi le poesie nei punti più appropriati, metodo questo poco efficace. La raccolta delle poesie di Petrarca», egli afferma, «è già di per se un romanzo... L'essenza del romanzo sta nel fatto che il poetico racchiude già la vita e quindi anche una biografia particolare. A che cosa servirebbero dunque quei fastidiosi ornamenti accessori?». Come Petrarca per Herder è un testimone dell'idea dell'umanità, così la sua opera lirica per Schlegel rappresenta «un vero e completo romanzo lirico», anzi di più: «una composizione veramente romantica», in cui «la vita si rispecchia nei suoi aspetti molteplici: nell'amore..., nell'amicizia, nell'inclinazione alla poesia, nel patriottismo, nell'interesse politico e persino nell'ira divina...». In un'opera tanto complessa la concatenazione esteriore dell'azione conta poco: «L'amore forma la vita rapsodicamente», il che vorrebbe dire che esso crea i legami interiori; «gli intervalli vuoti da uno stato d'animo all'altro permettono échapées de vue all'infinito».

La stilizzazione del Canzoniere in un modello del Romanticismo riguarda anche l'analisi della sua struttura e delle sue forme. Con particolare attenzione Schlegel studia il sonetto. Esso è per lui «una forma ripiegata in se stessa, completa e organicamente articolata», che si avvicina alla poesia lirica e didattica e perciò all'epigramma, mentre nella sua struttura dialettica è affine al dramma: presa di posizione, questa, tipicamente romantica, anche perché dimostra una critica al postulato classicistico della purezza dei generi. In tal modo Schlegel abbozza una vera e propria filosofia ed aritmetica delle forme petrarchesche trattandovi pure la canzone, la ballata e la sestina. Nel volume apparso dopo le lezioni berlinesi, intitolato Blumensträuße italiänischer, spanischer und portugiesischer Poesie (Antologia della poesia italiana, spagnola e portoghese; 1804), egli dà a Petrarca la preferenza rispetto a tutti gli altri poeti delle lingue neolatine. Insieme alle traduzioni di Johann Diederich Gries, le sue versioni tedesche di 38 poesie di Petrarca si noverano fra i capolavori dell'arte romantica del tradurre. Per quanto riguarda la fedeltà al testo italiano e l'eleganza dello stile con cui Schlegel vince in molti casi le difficoltà tecniche, i risultati da lui ottenuti sono da paragonare agli originali. Prova ne è, per esempio, la traduzione delle due terzine del primo sonetto petrarchesco, in cui Schlegel riesce persino a rendere l'allitterazione dell'originale:

Ma ben veggio or si come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;

e del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto,
e 'l pentersi, e 'l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.

Wohl seh' ich jetzt, wie ich zu lange Zeiten
Der Menschen Fabel war, und muß entbrennen
Vor Scham, wenn ich mich mahn' an mein Versäumen.

Und Scham ist nun die Frucht der Eitelkeiten,
und büßendes Bereu'n und klar Erkennen,
Daß, was der Welt gefällt, ein kurzes Träumen.

Schlegel propagò anche la diffusione della forma del sonetto in Germania. Credeva che potesse «essere di grande importanza» che alcuni poeti avessero provato recentemente ad introdurre di nuovo il sonetto (accennando con questa osservazione probabilmente a Bürger e a se stesso), e non era affatto dell'opinione di Bodmer che tale forma fosse «il letto di Procruste» del poeta. Essa è per lui «piuttosto uno strumento... poetico», che nasce «insieme alla prima concezione della lirica», di modo che «contenuto e forma sono inseparabili come corpo e anima». In virtù della sua autorità di critico, lanciò la moda del sonetto imitata ben presto da numerosi poeti romantici. Fra questi è da nominare Zacharias Werner, i cui sonetti vennero apprezzati anche da Goethe, mentre dal punto di vista storico hanno importanza solamente perché Goethe ne prese lo spunto per il proprio ciclo di 17 sonetti (inverno 1807/08). Nel complesso delle sue liriche essi rappresentano soltanto un episodio; riguardo all'arte non sono da paragonare né alle Elegie romane né al Divano. Tuttavia non sono nati soltanto, come credeva Friedrich Gundolf, per «volontà artistica»; dànno anzi a tutta una serie di motivi esteriori e di esperienze vissute quella forma per la quale Goethe aveva mostrato un atteggiamento distanziato poco prima scrivendo:

So möcht ich selbst in künstlichen Sonetten,
In sprachgewandter Maße kühnem Stolze,
Das Beste, was Gefühl mir gäbe, reimen;

Nur weiß ich hier mich nicht bequem zu betten,
Ich schneide sonst so gern aus ganzem Holze,
Und müßte nun doch auch mitunter leimen.

Così anch'io vorrei in artistici sonetti,
nell'audace orgoglio di versiloqui metri,
rimare il meglio che il sentir mi inspira;

sol che io qui non so comodamente adagiarmi:
altre volte io tagliai ben volentieri dal legno intero,
ed ora invece dovrei talvolta incollare.

(secondo la traduzione di Mario Pensa)

Nonostante la sua diffidenza verso il sonetto, Goethe decise di crearne persino un intero ciclo. Erano anzitutto motivi esteriori ad indurlo alla scelta di questa forma: la moda romantica in genere, la gara col Werner e le serate nella casa del libraio Frommann di Jena, dove gli amici convenuti leggevano le loro poesie. L'intenzione socievole della poesia sonettistica di Goethe è evidente; egli non cerca la solitudine come fece Petrarca. Altrettanto evidente è però l'esperienza personale che sta a base dei sonetti. Sono due donne che contribuirono alla loro nascita: la allora ventiduenne Bettine Brentano, ammiratrice entusiasta di Goethe, mediante le sue lettere d'amore appassionatamente esaltate, dalle quali Goethe «tradusse» metafore ed idee nei sonetti, e la diciottenne Minna Herzlieb, pupilla del Frommann, mediante la sua presenza che affascinava tra gli altri anche Goethe. È di scarsa importanza per il nostro argomento indagare a quale delle due donne siano dedicati i singoli sonetti e come siano da separare le due esperienze. Nella maggior parte delle poesie che ci interessano come testimonianze della recezione di Petrarca da parte di Goethe, il riferimento a Minna è senz'altro evidente.

Della vita di Petrarca Goethe si era informato nell'edizione del Canzoniere curata dal Fernow; oltr'a ciò ne possedeva da lungo tempo un'edizione veneziana del Settecento. Nei suoi scritti si trovano però soltanto poche allusioni a Petrarca. Esse hanno per lo più carattere aneddotico e si tengono in ogni modo nei limiti della conoscenza di un uomo colto dell'epoca. Tuttavia alcuni sonetti dimostrano che determinate idee e situazioni del Canzoniere gli sono ben presenti benché del resto vi si trovino pochi elementi veramente petrarcheschi. L'incertezza se la forma del sonetto sia adatta o meno all'argomento amoroso, gli nasce di nuovo e si trasforma in tema dominante di alcuni componimenti. A mala pena Goethe riesce ad acquietarne i dubbi (XI, XIV, XV): ciò che egli chiama «smania di sonetti e di amore» non è quello stato d'animo in cui il poeta si sente a suo agio e riesce ad esprimersi liberamente. Tuttavia, l'amante si sente pure «sulla giusta strada»:

Das Allerstarrste freudig aufzuschmelzen,
Muß Liebesfeuer allgewaltig glühen.

Per sciogliere le forme più che mai irrigidite
il fuoco d'amore deve ardere onnipotente.

In questa fatica di «sciogliere le forme irrigidite» Goethe si serve della testimonianza e dell'appoggio di Dante e più ancora di Petrarca. Ponendo alla fine del primo sonetto le parole «ein neues Leben», egli allude alla Vita nova di Dante: simbolo questo della rigenerazione delle forze vitali mediante l'irrompere di un avvenimento «demoniaco» nel senso goethiano. Nei primi versi del secondo sonetto egli riprende la situazione in cui si trova il poeta del «Solo e pensoso...» (35):

Im weiten Mantel bis ans Kinn verhüllet,
Ging ich den Felsenweg, den schroffen, grauen,
Hernieder dann zu winterhaften Auen,
Unruhgen Sinns, zur nahen Flucht gewillet.

Avvolto dal largo mantello fino al mento
io camminai lungo il ripido e buio sentiero roccioso,
poi scesi verso i prati invernali,
inquieto nell'animo e volonteroso di darmi presto alla fuga.

Ma poi Goethe volge il pensiero in un'altra direzione:

Auf einmal schien der neue Tag enthüllet:
Ein Mädchen kam, ein Himmel anzuschauen,
So musterhaft wie jene lieben Frauen
Der Dichterwelt. Mein Sehnen war gestillet.

Improvvisamente la giornata nuova sembrò svelarsi:
venne una fanciulla, simile ad una visione celeste
e così esemplare come quelle donne beate
del mondo dei poeti. Il mio desiderio fu chetato.

La «giornata nuova» riprende la «vita nuova» del primo sonetto; le «donne beate / del mondo dei poeti» non sono certamente né Giulia né Isotta né Laura solamente, come altri ha creduto di poter affermare, ma sono Beatrice e Laura. E la «coerenza poetica» che risulta da questa unione di motivi non è affatto «estremamente generale», ma estremamente concreta: essa prepara l'animo del lettore a quelli «liebevollen, traurig heitern Töne», a quella «melodia amorosa e melanconicamente serena», di cui Goethe parla nel terzo sonetto, e cioè alla melodia della poesia amorosa di Petrarca che accompagna quella dei sonetti goethiani.

I due ultimi sonetti del ciclo rivelano più chiaramente le allusioni al Canzoniere, ma anche l'esperienza amorosa di Goethe in modo tale da indurre il poeta a non pubblicarli nell'edizione delle sue opere del 1815. Il sedicesimo sonetto, intitolato «Epoche» («Epoca»), allude alle date d'importanza storica della poesia amorosa moderna: il primo incontro di Petrarca con Laura il 6 aprile 1327 e la morte di Laura il 6 aprile 1348:

Mit Flammenschrift war innigst eingeschrieben
Petrarcas Brust vor allen andern Tagen
Karfreitag, Ebenso, ich darfs wohl sagen,
Ist mir Advent von Achtzehnhundertsieben.

Ich fing nicht an, ich fuhr nur fort zu lieben
Sie, die ich früh im Herzen schon getragen,
Dann wieder weislich aus dem Sinn geschlagen,
Der ich nun wieder bin ans Herz getrieben.

Petrarcas Liebe, die unendlich hohe,
War leider unbelohnt und gar zu traurig,
Ein Herzensweh, ein ewiger Karfreitag;

Doch stets erscheine, fort und fort, die frohe,
Süß, unter Palmenjubel, wonneschaurig,
Der Herrin Ankunft mir, ein ewger Maitag.

A lettere di fuoco era scritto in fondo
al petto di Petrarca sovra ogni altro giorno
il venerdì santo. Così io posso dire
che è l'Avvento per me del milleottocentosette.

Non cominciai, ma continuai ad amare
colei che già prima avevo in cuore,
poi saggiamente scacciata di mente,
al cui cuore sono ora risospinto.

L'amore di Petrarca infinitamente alto
fu, ahimè, inascoltato e troppo triste,
un mal di cuore, un venerdì santo eterno;

ma a me sempre paia il lieto,
dolce, in festa di palme, ebbro d'incanto
l'arrivo della Donna, un giorno eterno di maggio.

(traduzione di Mario Pensa)

Questo sonetto rappresenta un'opera ricca di correlazioni. Esso presuppone anzitutto la conoscenza del quinto sonetto, intitolato «Wachstum» («Sviluppo»). L'argomento è la trasformazione dell'amore paterno per la bambina (Minna Herlieb) in amore fraterno per la fanciulla crescente e infine in amore dell'uomo per la donna, amore che ha preso lui, sessantenne, appassionatamente. In quest'ultimo sonetto l'amata appare al poeta una «Fürstin» («principessa»), mentre in quell'altro egli la chiama «Herrin», parola che corrisponde alla «Donna» di Petrarca. Così, ed anche parlando dell'«amore di Petrarca infinitamente alto», Goethe riprende lo stile elevato del Canzoniere, stile che Schlegel aveva caratterizzato «dolce nella grandezza». Goethe riprende pure, ma quasi con il distacco dello storico, il celebre motivo del venerdì santo, trasformandolo però in un avvenimento fausto: egli confronta il «mal di cuore» di Petrarca con la propria fortuna amorosa. Goethe la celebra dapprima usando il simbolo cristiano dell'«Avvento», ma poi, parodiando quasi la rima «ewiger Karfreitag» («venerdì santo eterno»), parla di un'«ewger Maitag» (un «giorno eterno di maggio»), evento naturale, il quale si annunzia con la festa prepasquale delle palme, «unter Palmenjubel». Se non sbaglio, vi è un cenno appena percepibile di ironia che si manifesta nel verso sull'amore di Petrarca, amore che fu «leider unbelohnt und gar zu traurig» («ahimé, inascoltato e troppo triste»), e tale ironia rafforza la distanza già sensibile dalla melanconia petrarchesca. Insomma, il sonetto di Goethe, non è né un'imitazione né una parafrasi; esso è una 'contraffazione' libera: al dolore del venerdì santo per la morte di Laura e di Cristo si sostituisce la speranza nella nascita e nella risurrezione dell'eros dell'uomo.

Il ciclo si chiude con il sonetto «Scharade» («Sciarada»). Di nuovo Goethe si ispira ad un celebre motivo di Petrarca, al giuoco col nome di Laura, adattandolo alla propria situazione. Egli conobbe certamente alcuni sonetti petrarcheschi, in cui il nome di Laura è messo in relazione con il lauro, la aura o l'oro. Tuttavia l'impulso diretto gli venne da un sonetto del Werner, sonetto che è stato paragonato a ragione a un «debole compito scolastico». Anche il sonetto di Goethe non è da inserire nei migliori del suo ciclo; come «sciarada» ha il carattere di un giuoco che si fa in società. Il nome Herzlieb ('Cuore caro') provocò la rivelazione dell'amore segreto nella cerchia degli amici, ed era questa la ragione per cui Goethe dapprima non dette la poesia in balia del pubblico. Tuttavia è riconoscibile un senso recondito già nel decimo sonetto che porta il titolo lievemente beffardo «Sie kann nicht enden» («Ella non riesce a por fine») e che prende lo spunto dalle missive di Bettine. Il sonetto viene messo in bocca a Bettine: ella si immagina di aver spedito all'amato un foglio bianco che questi, dopo averlo coperto di saluti amorosi, le rispedisce:

Da läs ich, was mich mündlich sonst entzückte:
Lieb Kind! Mein artig Herz! Mein einzig Wesen!

Allora leggerei ciò che altre volte mi rallegrò dalla tua viva voce:
Cara fanciulla! Cuor mio gentile! Unica mia creatura!

Il verso venne messo in rilievo tipograficamente, ma solo colui che conosce le circostanze è capace di comporre il nome Herzlieb. Era Bettine tra coloro che conoscevano il segreto? Allora avrebbe dovuto sentire che in una poesia, la quale poteva credere rivolta a se, veniva celebrata in maniera petrarchesca il nome di un'altra donna. Può darsi che da parte di Goethe vi fosse un appunto appena percepibile contro l'importuna ed esaltata scrittrice di lettere. Questa sarebbe però un tratto d'ironia molto goethiano e poco petrarchesco...

Ma lasciamo in sospeso questo problema. Anche le ipotesi di Leonard Forster, riguardanti influssi petrarcheschi sull'atto di Elena nella seconda parte del Faust, non dimostrano in fondo più di ciò che sappiamo già da tempo, e cioè che Goethe si moveva nella tradizione europea della letteratura e ne usava i topoi comunque e dovunque ne aveva bisogna. Anzitutto il Forster prende lo spunto dai versi pronunciati da Lynkeus; secondo me però proprio in questo casco influssi della poesia medievale tedesca sono più probabili che non quelli del petrarchismo. Recentemente anche Heine è stato inserito nella schiera dei petrarchisti, seppure come «rinnovatore e demolitore del petrarchismo» nello stesso tempo. Se è vero che si sente già in Goethe un lieve distacco da Petrarca, esso si rafforza ovviamente in Heine: il «petrarchismo sentimentale» gli apparve «sempre una donchisciotteria lirica». Infatti scrisse da Avignon ad un amico che egli amava Petrarca tanto poco quanto i papi: «Odio la menzogna cristiana nella poesia altrettanto quanto nella vita». Tolta la forma del sonetto, che nonostante qualche polemica venne usato anche dopo il Romanticismo, il petrarchismo nella letteratura tedesca dell'Ottocento e del Novecento è caduto nelle mani degli epigoni, mentre la figura di Petrarca stesso è divenuto oggetto della poesia d'educazione storico-culturale. Non mancano né i drammi né le ballate intorno all'amore di Petrarca e Laura, mentre il Canzoniere non destò più alcuna forza poetica vitale. La discussione si spostò ai problemi filologici e di storia della letteratura, che sorpassano però il nostro tema.

È stata invece nostra intenzione di esporre quali metamorfosi abbiano subito le forme e i motivi petrarcheschi, nonché la figura del poeta stesso nella storia della civiltà e della letteratura tedesche. La recezione, partendo da Petrarca umanista, comprese prima il petrarchismo e poi anche Petrarca lirico, la cui grandezza fu scoperta dai contemporanei di Goethe: Herder vide in lui il rappresentante dell'idea dell'umanità, mentre Schlegel scopri Petrarca come antenato della poesia romantica e come maestro del sonetto. Ma Goethe solo riuscì a far suo, seppure solo parzialmente e per breve tempo, lo stile amoroso e poetico di Petrarca, il che vuol dire che egli riuscì ad adattarlo al proprio mondo spirituale. Un tale processo non è possibile senza guastare, in un modo o in un altro, l'originale. Ma solo così, e cioè nel riflesso di spiriti congeniali oppure in contrasti ricchi di tensione, si manifesta e si perpetua la inviolabile forza vitale del poeta Petrarca.