IL CRISTALLO, 2009 LI 1 [stampa]

THOMAS STEARNS ELIOT, UN AMERICANO A PARIGI

di VITTORIO SELLERI

Nel 1910 T. S. Eliot, americano nato a Saint Louis in Missouri (1888), è a Parigi nel suo primo viaggio in Europa, dove si fermerà per un anno. Ci ritornerà poi nel 1914 con una borsa di studio per Oxford, in Inghilterra, dove poi risiederà stabil­mente fino ad ottenere la cittadinanza britannica nel 1927 e convertirsi al ramo anglo-cattolico della Chiesa di Inghilterra.

A Parigi il poeta, autore del poema The Waste Land (La terra desolata, 1922) e premio Nobel per la poesia (1948), può approfondire la cultura europea e in particolare lo studio della poesia simbolista francese. Egli legge il volume di Arthur Symons The Symbolist Movement in Literature con le poesie di Arthur Rimbaud, Stéphane Mallarmé, Paul Verlaine, Maurice Maeterlinck, Joris–Karl Huysmans e Jules Laforgue.1

La poesia simbolista ha una notevole influenza sul giovane poeta di educazione puritana. Egli infatti aveva frequentato a Saint Louis la Smith Academy, la "prepa­ratory school" fondata dal nonno, una scuola di impostazione puritana.

Gli echi del simbolismo accompagneranno Eliot fino alla stesura del suo famoso poema La Terra Desolata (pubblicato per la prima volta nel 1922). Fra i vari poeti rap­presentanti di questa corrente fu influenzato particolarmente da Jules Laforgue (1860-1887), uno dei precursori del simbolismo e innovatore della tecnica poetica, autore di Les complaintes (I compianti, 1885) e L'imitation de Notre-Dame de la Lune (L'imitazione di Nostra Signora la Luna, 1886).

Laforgue esprime sia una profonda melanconia, esemplificata dalle immagini ricor­renti del Pierrot e di Amleto, sia una sofferta ironia, inoltre rifiuta l'idea della donna intesa nella sua sessualità e nei rapporti carnali, rifugiandosi in un ideale di femmi­nilità pura ed eterea con un atteggiamento psicologicamente pre-adolescenziale. Forse anche perciò Eliot, cresciuto con un'educazione puritana, trova un grande interesse per l'opera del poeta francese.

La poesia di Laforgue è estremamente musicale, la sua originalità consiste, dal punto di vista metrico, nell'impiego del verso dispari che nelle ultime opere si evol­ve in direzione del verso libero. Dal punto di vista lessicale c'è l'uso del linguaggio quotidiano e gergale, dei neologismi e della combinazione parodistica di più generi poetici mescolati tra loro.

La maggior innovazione linguistica della poesia simbolista fu l'adozione del verso libero: la strofa nel verso libero è senza un numero fisso di versi e la sua musicalità dipende da elementi soggettivi voluti dall'autore.

Secondo Verlaine il critico letterario non ha diritto di giudicare la disposizione dei versi liberi che il poeta simbolista mette nella strofa, perché è proprio questa dispo­sizione che esprime la soggettività intima, personale e unica dell'autore.

La soggettività esasperata nella poesia costituisce la divergenza fra la concezione simbolista e quella di Eliot che riteneva che la poesia dovesse essere impersonale e con una funzione sociale nel senso di rappresentare l'uomo nell'ambito della sua epoca.

Così scrive Eliot:

"Possiamo dire che il dovere del poeta, in quanto poeta, è solo indirettamente un dovere verso la sua lingua: il suo dovere diretto è verso la sua lingua, prima per preservarla, e poi per estenderla e migliorarla. Nell'esprimere ciò che altra gente sente egli cambia anche quel sentimento renden­dolo più consapevole, egli rende gli altri più consapevoli di ciò che già sentono, e quindi insegna loro qualcosa su loro stessi."2

Osserva Alessandro Serpieri3 sulla teoria dell'impersonalità:

"La sua teoria dell'impersonalità dell'arte non vuole togliere, ma anzi aggiungere, autenticità all'e­spressione artistica, sottraendola all'ipoteca di messaggi ideologici estrinseci e, ancor più, a quella di una "confessione" personale in cui il linguaggio sarebbe un mezzo, turbolento e «romantico », per rivelare tesori o orrori nascosti. L'arte non deve traboccare anche perché – per parafrasare un altro suo luogo critico – per quanto le nostre esperienze siano personali, le nostre idee sono comuni. È l'invenzione della forma a fare l'arte, e non i contenuti preesistenti. La forma non è un'aggiunta, come vedremo, a dei significati dati: è, anzi, il «significato» precipuo dell'arte.

La posizione di Eliot è antitetica rispetto a quella dei simbolisti che, come Verlaine pensavano che nell'espressione poetica la propria soggettività costituiva qualcosa di irrinunciabile e consideravano che i "terrori o orrori nascosti" della personalità, rive­lati al lettore, potevano sublimarsi in un simbolo universale, comunicabile a tutti. Infatti Eliot dichiara, nel saggio giovanile Tradition and Individual Talent (1919), in contrasto con la posizione simbolista:

"Quel che avviene è una continua rinuncia a se stesso, come egli è al presente, per qualcosa che è più prezioso. Il cammino di un artista è un continuo sacrificio di se stesso, una continua estinzio­ne della personalità."4

Per il critico Hugh Kenner il distacco dall'imitazione del simbolismo di Laforgue nella poesia di Eliot è dovuto sopratutto all'influenza della filosofia di Francis Herbert Bradley (1846-1924). Così scrive Kenner5:

"Ciò che i lettori di Eliot hanno spesso preso per uno stato d'animo, il tono alla Waste Land, ciò che con magniloquenza I. A. Richards chiamò «la disillusione di una generazione» è, in effetti, il profondamente meditato scetticismo metafisico di Bradley..."

È dunque soprattutto la filosofia di Bradley e tutta la cultura filosofica di Eliot, attinta dallo studio di molte culture, che caratterizza la sua poesia distaccandola da una concezione semplicemente simbolista. Eliot aveva ottenuto il dottorato in filo­sofia proprio con una tesi su Bradley dal titolo «Knowledge and Experience in the Philosophy of F. H. Bradley» ("Conoscenza ed esperienza nella filosofia di F. H. Bradley", scritta tra il 1914 e il 1916 e pubblicata solo nel 1964), quindi dopo il sog­giorno a Parigi nel 1910, dove peraltro aveva seguito anche le lezioni di Henri Bergson. Questa tesi è indispensabile per capire gli sviluppi delle sue scelte poeti­co-letterarie. In sintesi il dibattito filosofico che Eliot instaura nella sua opera è la questione filosofica sulla possibilità di dare un senso all'irreversibile antitesi tra ragione e percezione sensibile, questione iniziata con Kant e proseguita con Hegel. Con lo studio di Bradley, Eliot si impadronisce degli strumenti linguistici e intel­lettuali necessari a pensare quelli che diventeranno i nuclei centrali della sua ricerca poetica: i limiti della soggettività, l'irrinunciabilità di una teoria dell'oggetto e la cri­tica alla nozione di assoluto quale riconciliatore della frammentarietà della conoscenza umana.6

Leggiamo qualche passo della tesi:

"La realtà dell'oggetto non sta nell'oggetto stesso, ma nell'estensione delle relazioni che l'oggetto possiede senza una sua significativa falsificazione. Queste relazioni sono tutte differenti punti di vista sull'oggetto (...) arriveremo alla conclusione che l'apparente fondamentale separazione tra il reale e l'ideale non è che sperimentale e provvisoria, un momento in un processo (...) la coscienza non è un'entità, ma un aspetto, e un aspetto inconsistente della realtà. L'esperienza, possiamo asserire, insieme comincia e finisce in qualcosa che non è conscio..."

Ancora sull'influenza del pensiero di Bradley sull'opera di Eliot scrive Serpieri.7

"Il principio di simultaneità, da Eliot esplicitamente proposto già nella tesi su Bradley quale via d'uscita o "fuga" dalla «difficoltà nel tempo della percezione», investe ogni sua operazione, e in particolar modo, sul piano gnoseologico, la relazione simultanea di «percipiente e percepito», la visione sincronica della tradizione e la sua concezione dell'opera d'arte come un tutto che si forma nel segno della funzionalità relazionale di elementi disparati."

L'irrinunciabilità di una teoria dell'oggetto e la relazione simultanea di «percipiente e percepito» sono due elementi fondamentali nella formulazione successiva del «correlativo oggettivo». Il saggio nel quale il correlativo oggettivo viene proposto all'attenzione del lettore per la prima volta è «Hamlet and His Problems» che, dopo esser apparso nel 1919, venne successivamente incluso in The Sacred Wood, Essays on Poetry and Criticism (1920).

La formulazione del «correlativo oggettivo» è questa8:

"L'unico modo di esprimere le emozioni in forma d'arte è quella i trovare un "correlativo oggetti­vo", un insieme di oggetti, una situazione, una catena di eventi che sarà la formula di quella emo­zione particolare; così che quando i fatti esterni, che debbono terminare in esperienza sensoriale, vengono dati, l'emozione viene evocata immediatamente".

Un'altra procedura usata da Eliot nella creazione dei versi è il cosiddetto «metodo mitico», la sorprendente rievocazione dei miti passati traslati nell'epoca moderna e nell'opera poetica. Perché la necessità del mito per esprimere l'ansia dell'epoca moderna? A questo interrogativo si può trovare una risposta nelle parole dello scrittore e poeta Cesare Pavese (1908-1950)9:

"Potendo si sarebbe fatto a meno di tanta mitologia. Ma siamo convinti che il mito è un linguag­gio, un mezzo espressivo – cioè non qualcosa di arbitrario ma un vivaio di simboli cui appartiene, come a tutti i linguaggi, una particolare sostanza di significati che null'altro potrebbe rendere. Quando ripetiamo un nome proprio, un gesto, un prodigio mitico, esprimiamo in mezza riga, in poche sillabe, un fatto sintetico e comprensivo, un midollo di realtà che vivifica, e nutre tutto un organismo di passione, di stato umano, tutto un complesso concettuale. Se poi questo nome, questo gesto ci è familiare fin dall'infanzia, dalla scuola, tanto meglio."

Nelle note scritte da Eliot stesso per The Waste Land, il poeta stesso ribadisce che il simbolismo mitico del poema era derivato in gran parte da due opere: "From Ritual to Romance", di Jessie Weston (1850-1928), pubblicata nel 1920 e che verte sulla leggenda del Santo Graal, e l'opera di antropologia "The Golden Bough" (Il ramo d'oro) di James G. Frazer (1854-1941), opera monumentale in 12 volumi, pubblicata fra il 1890 e il 1915. In particolare Eliot si ispirò ai due volumi riguardanti i miti di Adone, Attis e Osiride.

Serpieri osserva10 che Eliot, nelle sue note, indicava queste due opere come fonti principali d'ispirazione, ma soprattutto l'opera della Weston piuttosto che a quella di Frazer (benché antecedente e più vasta), per un preciso motivo: l'opera di Frazer trattava in generale degli antichi riti della fertilità nel bacino mediterraneo precristia­no, mentre la Weston stabiliva un ponte analogico tra i miti del mondo precristiano e il mondo cristiano medievale, dimostrando di come certi schemi antropologici, mitici e rituali, pur subendo trasformazioni, attraverso l'evolversi storico millenario, si fossero tramandati da una cultura all'altra.

La Weston è dunque, nella sua analisi di miti che si perpetuano da un'epoca all'altra, antesignana del «metodo mitico» che verrà adottato non solo da Eliot, ma anche da James Joyce e Ezra Pound.

Lo stesso Eliot, in un articolo apparso su una rivista letteraria del novembre 192311, che recensiva l'Ulisse di Joyce (pubblicato a Parigi nel 1922), scrive:

"Il parallelismo con l'Odissea, adottato da Joyce, ha l'importanza di una scoperta scientifica. Nell'usare il Mito, nell'istituire un parallelo continuo tra l'epoca moderna e l'antichità, Joyce per­segue un metodo che altri devono seguire dopo di lui....È semplicemente un modo di controllare, ordinare, dare forma e significato all'immenso panorama di futilità e anarchia che è la storia con­temporanea. Anziché il metodo narrativo, noi oggi possiamo usare il metodo mitico."

Sull'uso del metodo mitico da parte di Eliot, Serpieri delinea un'acuta osservazione sul concetto generale di caos e disordine, importante anche perché collegabile al verso 425 di The Waste Land: "Shall I at least set my lands in order?" ("Riuscirò alla fine a mettere in sesto le mie terre?").12

"Lui (Eliot) l'aveva già usato (il metodo mitico), a partire dai primi esperimenti. Se il caos del mondo contemporaneo non mostrava percorsi narrativi, se risultava ripugnante alla coscienza del­l'artista moderno l'organizzazione del materiale verbale e semantico secondo sequenze dominate dal principio di causa ed effetto, se ogni storia sembrava sbriciolarsi nella sua insignificanza, ecco che il poeta non doveva più raccontare qualcosa, né dare sfogo a un lirismo implicante una sicura presa sull'oggetto della meditazione o della stimolazione emotiva; ma poteva invece, «confrontare» ogni abbozzo di sequenza, ogni schema psicologico e sentimentale, su paradigmi mitici, letterari, antropologici. Il testo si costruiva, fin dall'intuizione iniziale e poi in tutti i suoi nessi espliciti e impliciti, su altri testi."

Eliot scelse certi miti e motivi mitici in relazione ad uno stato d'animo particolare e in base alla sua preparazione culturale e filosofica. Quando scrisse The Waste Land era in convalescenza dopo un serio esaurimento nervoso a cui aveva contribuito la malattia della moglie. Le istanze culturali che fecero confluire Eliot su certe scelte tematiche sono molte e vanno dall'educazione puritana ricevuta al simbolismo di Laforgue, dalla filosofia del Bradley alla religione buddista, dalla poesia antica alle canzoni popolari contemporanee, dallo studio di Dante alla poesia moderna france­se, solo per elencarne alcune.

In particolare, il mito di Tiresia rivestì un particolare interesse per Eliot. Il mito rac­conta che passeggiando sul monte Cillene (o secondo un'altra versione Citerone), Tiresia vide due serpenti che copulavano, ne uccise la femmina perché quella scena lo infastidì. Nello stesso momento Tiresia fu tramutato da uomo a donna. Visse in questa condizione per sette anni provando tutti i piaceri che una donna potesse pro­vare. Passato questo periodo venne a trovarsi di fronte alla stessa scena dei serpen­ti. Questa volta uccise il serpente maschio e nello stesso istante ritornò uomo.13

Tiresia era un indovino di Tebe divenuto cieco perché arbitrando una lite tra Zeus ed Era, aveva dato torto ad Era che lo accecò, ma Zeus gli diede il dono della pro­fezia e della vita per sette generazioni.14 Tiresia con i suoi poteri divinatori, con la sua capacità di decodificare qualsiasi enigma, è anche una delle metafore della com­plessa poesia eliotiana tesa a porre ordine nella cultura del periodo post-bellico (guerra 1914-18).

Per comprendere il principio di complessità in Eliot è utile l'ironica osservazione di Monroe C. Beardsley, citato da Rudolph Arnheim nel suo saggio Entropia e arte15:

"Considerando che il Secondo Principio della Termodinamica promette un'inesorabile percorso in discesa fino ad una morte statistica per calore, cos'altro può fare un artista coscienzioso se non accordarsi alla natura massimizzando l'entropia della sua arte?"

L'artista dunque aumentando la complessità della sua opera, il disordine e l'entro­pia, non fa che adeguarsi alla natura. Il bisogno di complessità peraltro è una ten­denza dell'esistenza umana come osserva Arnheim16:

"La pura regolarità conduce a un crescente impoverimento, ed infine al livello strutturale più basso possibile, che non può più chiaramente distinguersi dal caos, cioè dall'assenza di ordine. Occorre una contropartita, un principio rispetto al quale la regolarità sia secondaria. Esso deve offrirci ciò che va ordinato. Ho descritto tale contropartita come creazione anabolica di un tema strutturale, la quale precisa «a che miri la faccenda», sia essa un cristallo o un sistema solare, una società o una macchina, una concezione ideale o un'opera d'arte. Soggetto alla tendenza verso la struttura più semplice, l'oggetto, o l'evento, o l'istituzione assume una forma ordinata e funzionante.

Per comprendere meglio il principio di complessità anche dal punto di vista scien­tifico bisogna risalire alle due leggi fondamentali della fisica termodinamica17:

"La prima legge afferma che la materia e l'energia nell'universo sono costanti e che non possono essere né create né distrutte. La seconda legge della termodinamica, cioè la legge dell'entropia, asse­risce che la materia e l'energia possono essere trasformate in una sola direzione, cioè da uno stato utilizzabile a uno stato inutilizzabile, o ancora da uno stato di ordine a uno stato di disordine. Albert Einstein la riteneva la legge fondamentale della scienza."

La seconda legge ebbe un'evoluzione di carattere statistico per opera del fisico austriaco L.E. Boltzmann (1844-1906)18:

"Boltzmann riconosceva la validità della seconda legge fino ad un certo punto. Era disposto ad ammettere che in un sistema chiuso l'entropia aumenta, ma non era disposto a sostenere che que­sta fosse una certezza assoluta. Alla parola certo preferiva la parola probabile e in questo modo cercava di trasformare la seconda legge in una legge di probabilità o statistica."

Lo sviluppo successivo conduce alla Teoria Matematica delle Comunicazioni19 (pub­blicata per la prima volta nel 1948 nel Bell System Technical Journal) di Shannon e Weaver, alla Teoria dell'Informazione e alla Teoria sull'Entropia. Dopodiché si comincia a usare il termine entropia anche nella critica letteraria e nella semiotica soprattutto parlando di complessità. Il tema viene affrontato da Lotmann, Eco, Arnheim, Barthes e altri critici e studiosi.

C'è da chiedersi comunque con il filosofo Dino Formaggio20:

"Può una teoria, come questa dell'informazione, fatta sulla misura dei rispettabili obiettivi dell'in­gegneria, misurarsi con dei puledri selvaggi?"

Con ciò Dino Formaggio vuole far riflettere sull'applicabilità dei principi tratti dalla scienza, come La Teoria dell'Informazione, all'Arte (metafora dei puledri selvaggi).

Esiste un legame e una comune area operativa possibile tra discipline così differen­ti? Questa dicotomia non è un problema nuovo. Già Cassirer (1874-1945) nel «Saggio sull'uomo»(1944) affrontava il discorso sull'unità culturale21 fra differenti discipline:

"Questa è la singolare situazione in cui si trova la filosofia contemporanea. Nessuna delle prece­denti età si è trovata in una posizione migliore della nostra per quel che riguarda le fonti a cui attingere per conoscere la natura umana: la psicologia, l'etnologia, l'antropologia e la storia hanno raccolto un imponente e sempre più ricco materiale. Gli strumenti tecnici per l'osservazione e la spe­rimentazione sono stati grandemente perfezionati e le analisi sono divenute più penetranti e più approfondite. (...) Ma una ricchezza di fatti non significa necessariamente una ricchezza di pen­siero. A meno di trovare un filo d'Arianna che ci porti fuori da questo labirinto non si potrà giun­gere ad una vera conoscenza del carattere generale della cultura umana; ci si troverà sperduti fra una massa di dati sconnessi e disgregati che sembrano escludere qualsiasi unità ideale."

Abbiamo già considerato che nell'opera di Eliot c'è una notevole complessità, ma questa complessità ha bisogno di un principio ordinatore per essere compresa e tra­sformarsi in poema. Scrive Serpieri22:

"... il poeta stesso, due anni prima, aveva messo ordine nelle sue terre producendo il suo capola­voro, The Waste Land, che fu accolto come trenodia di una crisi universale..."

Il tema del caos e della complessità in Eliot è ben analizzato dal critico Francis Otto Matthiessen23 che osserva che, sotto l'apparente complessità di elementi eterogenei, il poeta può trovare un principio unificatore. Il problema del poeta è quello di sco­prire un disegno unitario nella complessità dei materiali tratti dalla cultura e dalla realtà che lo circondano, e tuttavia se crede, come Eliot, che la poesia debba espri­mere non solo la reazione dell'uomo alla sua intera esperienza ma anche tutta la sua complessità, il poeta può assolvere questo doppio compito di registrare accurata­mente ciò che ha sentito e percepito e nello stesso tempo di interpretarlo, solo se afferra la somiglianza spesso sottesa in apparenze contrastanti riuscendo a mettere in rilievo la sostanziale equivalenza di esperienze apparentemente diverse. Tale com­prensione costituisce la principale ragione che Eliot ha avuto nell'introdurre tante reminiscenze di altri poeti nel tessuto dei suoi versi.

Il critico Cleanth Brooks in un saggio affronta la stessa tematica del principio di complessità in Eliot scrivendo che24:

"... il metodo fondamentale, impiegato in The Waste Land, può essere descritto come l'applica­zione del principio di complessità. Il poeta opera in termini di parallelismi di superficie, che pro­ducono in realtà contrasti ironici, e nei termini di contrasti di superficie, che costituiscono in real­tà dei parallelismi. Il secondo gruppo produce degli effetti che possono essere descritti come l'oppo­sto dell'ironia. I due aspetti, presi insieme, producono l'effetto di una esperienza caotica ordinata in un nuovo insieme, sebbene la superficie realistica dell'esperienza non è violata dalla apparente sovraimposizione di uno schema predeterminato."

Nel poema The Waste Land, il verso 425 ("shall I at least set my lands in order?" "Riuscirò almeno a mettere ordine nelle mie terre?") appartiene alla quinta ed ulti­ma parte del poema intitolata "What the thunder said", che si riferisce alla leggen­da indiana del Tuono, nel libro sacro Brihadaranyaka – Upanishad, V, 1.

Come osserva Serpieri25, in questa parte viene meno il «metodo mitico», che riallac­cia l'intera storia del passato al mondo contemporaneo, e lascia posto ad una ricer­ca personale di purificazione, forse impossibile da raggiungere. Questo verso non solo manifesta questo obiettivo in relazione alla parte di enunciato sinora svolto, ma assume un valore di riflessione critica generale sulla finalità di tutto il poema.

Osserviamo il verso 425 nel contesto dei due versi che lo precedono:


verso 423 - I sat upon the shore (Io sedetti sulla riva)

verso 424 - Fishing, with the arid plain behind me (A pescare, con l'arida pianura dietro di me)

verso 425 - Shall I at least set my lands in order? (Riuscirò almeno a mettere ordine nelle mie terre?)


Nei primi due versi ritorna il tema mitologico di base, cioé del Re Pescatore, che ha lasciato alle spalle l'arida pianura, desunto dalla Weston, ma per arrivare ad una cita­zione da Isaia 38, I, che è appunto il verso 425. Isaia dice al Re Ezechia, che si è amma­lato mortalmente: "Metti ordine nella tua casa, perché morirai e non vivrai più".

Si passa dunque dal tema mitologico del Re Pescatore ad una citazione del profeta biblico Isaia. La domanda è duplice perché riferita sia al personaggio che parla sia al poeta–autore che si interroga sul principio ordinatore che anima il poema stesso. Un verso che ha una funzione metalinguistica perché fa riferimento a due codici, quello interno del poema e quello esterno del Libro di Isaia.

Non solo questo ma molti altri versi del poema sono riferiti sia a se stessi come parti del poema sia a modelli letterari esterni di cui i versi sono citazioni. In questo modo il lettore si trova di fronte a due scenari: la visione del mondo di Eliot e quella di altri poeti che possono essere Omero, Dante o qualsiasi altro nella storia della poesia. Il poema scorre in un gioco di intertestualità interna e esterna che per l'ambiguità di senso diventa molto informazionale. Non si è mai sicuri se un certo verso del poema sia stato scritto da Eliot stesso o sia la citazione di versi altrui: c'è sempre un disordine informazionale o entropia. Inoltre passare da una citazione ad un'al­tra significa cambiare il registro stilistico e provocare un effetto letterario tipico della poesia di Eliot.

Scrive Marcello Pagnini26:

"Quindi il miglior modo d'impostare il problema è di basarlo sull'improbabilità dello sviluppo del messaggio in un ambito contestuale definito. Molti effetti letterari sono anche basati sui trasferi­menti contestuali, cioè sul passaggio da un registro stilistico ad un altro, come nella Waste Land di T. S. Eliot."

Oltre a portare molta improbabilità, e quindi molta informazione, i versi di Eliot suscitano «estraniamento». Ricordiamo che per Shklovsky (1893-1984), un formali­sta della scuola di Opoyaz, la poesia ha una funzione estraniante, l'estraniamento è la visione che "defamiliarizza la visione abituale delle cose" ed è tipica del linguaggio poetico27.

Scrive il critico Terence Hawkes28:

"Per Shklovsky la funzione essenziale dell'arte poetica è controbattere a quel processo di abitudi­ne, consuetudine derivato dal modo quotidiano di vedere le cose. Il compito della poesia è il pro­cesso inverso – rendere 'non familiare' ciò che ci è troppo familiare – deformare creativamente le cose, l'usuale, il normale, ricreare nell'adulto una visione delle cose che abbia la freschezza di visio­ne tipica del bambino."

Eliot con il suo poema provoca questo "estraniamento" e lo ottiene con vari mezzi linguistici, il «metodo mitico», il «metodo del correlativo oggettivo», i cambiamenti di registro, l'entropia informazionale, le citazioni di versi di poeti di tutti i tempi e i riferimenti a molte culture non solo quella occidentale.

In questo breve saggio sono state esaminate solo alcune caratteristiche della poesia eliotiana con la consapevolezza che la complessità della sua opera richiede un'ana­lisi molto più profonda e costituirà sempre una grande sfida per qualsiasi critico e un'opportunità illimitata di interpretazioni.



BIBLIOGRAFIA


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Fissore V., Invito alla lettura di T. S.Eliot, Mursia, Milano, 1979

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Siti consultati:

www.ibs.it/code/9788845217500/eliot-thomas-s/opere-1904-1939

it.wikipedia.org/wiki/Tiresia




NOTE



1 V. Fissore, Invito alla lettura di T. S.Eliot, Mursia, Milano, 1979, pp.13-17.

2 T. S. Eliot, The Social Function of Poetry, 1945 citazione riportata in A.Serpieri, T. S. Eliot: le strutture profonde, Il Mulino, Bologna,1973, p.10.

3 A.Serpieri, T. S. Eliot: le strutture profonde, Il Mulino, Bologna, 1973, p.10.

4 Testo citato in A.Serpieri, T. S. Eliot: le strutture profonde, Il Mulino, Bologna,1973, p.12 dal saggio giovanile di T. S. Eliot, Tradition and Individual Talent, 1919 (pubblicato per la prima volta in due parti su «The Egoist» nel 1919, poi in The Sacred Wood nel 1920, quindi in Selected Essays nel 1932. cfr. V. Fissore, Invito alla lettura di T. S.Eliot, Mursia, Milano, 1979, p. 94).

5 H. Kenner, The Invisible Poet: T. S. Eliot, 1959, revised edition, 1968.

6 T. S. Eliot, Opere 1904-1939, Bompiani, 1992, recensione di Carosso, A., L'Indice 1993, n° 5 (Dal sito: www.ibs.it/code/9788845217500/eliot-thomas-s/opere-1904-1939)

7 A.Serpieri, T. S. Eliot: le strutture profonde, Il Mulino, Bologna,1973, p.16.

8 V. Fissore, Invito alla lettura di T. S.Eliot, Mursia, Milano, 1979, pp. 97-98.

9 C. Pavese, Dialoghi con Leucò, Introduzione, Einaudi, Torino, 1973.

10 A. Serpieri, Introduzione a "La Terra Desolata", BUR, Milano, 1982.

11 T. S. Eliot, Ulysses, Order and Mith, articolo apparso sulla rivista "The Dial", 1923 novembre, ristampato in James Joyce: Two decades of criticism (a cura di J. Givens), New York, 1949.

12 A. Serpieri, Introduzione a" La Terra Desolata", BUR, Milano, 1982.

13 Dal Sito: it.wikipedia.org/wiki/Tiresia

14 Dizionario di Mitologia, Zanichelli, 1980, Bologna.

15 M. C. Beardsley citato in R. Arnheim, Entropia e arte, Einaudi, Torino, 1974 (1ª ed. 1971) p.17 (da un articolo di Beardsley apparso in Kuntz - n.43, pp.191-218)

16 R. Arnheim, Entropia e arte, Einaudi, Torino, 1974 (1ª ed. 1971) pp.66-67

17 J. Rifkin, Entropia, Mondadori, Milano, 1982, p. 16.

18 J. Rifkin, Entropia, Mondadori, Milano, 1982, p. 52.

19 C. E. Shannon e W. Weaver, La Teoria Matematica delle Comunicazioni, Etas, Milano, 1983

20 D. Formaggio, Arte, Mondadori, Milano, 1983, p. 172

21

22 E. Cassirer, Saggio sull'uomo, Armando Armando, Roma, 1982, p. 75.

23 A.Serpieri, T. S. Eliot: le strutture profonde, Il Mulino, Bologna, 1973, p. 7

24 F. O. Matthiessen, The achievement of T. S. Eliot, 1935, ried. 1947 e 1958.

25 (Dalle note di) A. Serpieri in La terra desolata, BUR, Milano, 1982, p. 124.

26 M. Pagnini, Struttura letteraria e metodo critico, D'Anna, Firenze, 1982, p. 167

27 T. Hawkes, Structuralism and semiotics, Methuen, Suffolk, 1983, p.62 e seguito.

28 T. Hawkes, Structuralism and semiotics, op. cit. p. 62