IL CRISTALLO, 2009 LI 1 [stampa]

RICARDO MELLA, 1 Maggio, I Martiri di Chicago, Milano, Zero in Condotta (titolo originale "La Tragedia de Chicago"), 2008

recensione di EUGEN GALASSO

Come si sa, un fondamentale apporto allo sviluppo del movimento operaio venne, il primo maggio 1886, dalle lotte dei lavoratori di Chicago per la giornata lavorativa di otto ore, dai quali deriva la festa, oggi "omologata"quasi (dove però l'avverbio relativizzante non è insignificante) in tutto il mondo, ma non allo stesso modo. Ricardo Mella, scrittore libertario e socialista, organizzatore politico e sindacale spagnolo ("gallego", per l'esattezza, ossia galiziano, di quella regione che segna il confine anche linguistico tra Spagna e Portogallo, lo si dica con nettezza, essendo oggi in campo nella Nuova Spagna zapateriana e non solo la questione delle autonomie locali, con tanto di Parlamento catalano, basco, galiziano, asturiano, andaluso etc. ; ma la gloria galiziana riemerge anche con uno scrittore della potenza di Manuel Rivas, che le sue opere le scrive prima nel natio galiziano e poi le traduce in castigliano), vissuto dal 1861 al 1925, scrive una storia dei fatti del Primo Maggio, che evidentemente si rivolge a tutti, anche agli operai dell'epoca, certo"letterati"a livello basico (nel senso del saper leggere) ma non necessariamente acculturati al punto da cogliere sottigliezze storiche, storiografiche o ideologiche. Esposizione, piana, dunque, come si suol dire, dove risalta il valore dell'introduzione di Alfredo Gonzàlez, nella quale si accentua come Mella sia stato quasi naturaliter un antidottrinario, un antidogmatico, anche a costo di scontrarsi con il grande educatore e pedagogista, fondatore della"Escuela Moderna" Francisco Ferrer, sostenendo che"la scuola non deve, non può essere né repubblicana, né massonica né socialista né anarchica, così come non può né deve essere religiosa... bisogna dare vita a un'istruzione che strappi la gioventù dal potere dei dottrinari, anche quando questi si dicono rivoluzionari" (riportato in op. cit., p. 12). Gli otto condannati, sette dei quali a morte, quasi tutti di buona cultura (considerando gli standard dell'epoca), quasi tutti americani di origine tedesca, tra cui Michael Schwab, Louis Lingg, Albert Parsons (come mostra il nome, non era tedesco, bensì di Montgomery, Arkansas), tennero durante il processo discorsi destinati a fare la storia del socialismo e del movimento operaio, dove anche la buona dose di retorica delle loro "allocuzioni" era conscio della necessità di rivolgersi ad extra, a un pubblico ma anche ai giornali, che comunque avrebbero riportato parte dei loro discorsi. Socialismo che Parsons definisce così, nel suo discorso "diritto dei produttori all'uso libero e uguale degli strumenti di lavoro e diritto ad usufruire del prodotto di quel lavoro" (op. cit., p. 64). Retorica, si diceva (quella che Georges Sorel dice "essere necessaria al socialismo", che per es. è chiarissima, proprio con le sue valenze comunicative oltremodo esplicite, quando parla Schwab, che dice: "Impiccateci! La verità crocifissa in Socrate, in Cristo, in Giordano Bruno, in Jan Huss e in Galileo, vive ancora oggi. Questi e altri ci hanno preceduto nel passato: noi siamo pronti a seguirli" (op. cit., p. 36) Retorica, si diceva, anche nel senso dell'outrance, dell'oltranza, ossia dell'eccesso: ma a parte la condizione di persone destinate ad essere impiccate non molto tempo dopo, c'è anche la"retorica"quale arte del dire e più in genere del comunicare, che quasi un secolo dopo, molto a distanza rispetto ai rètori greci Demostene e Lisia, con Perelman e non solo, avrebbe conosciuto un nuovo rinascimento.