IL CRISTALLO, 2011 LIII 1 [stampa]

La storia con-divisa1

di GIORGIO DELLE DONNE

Con questo contributo, che riprende testi di editoriali pubblicati sul quotidiano «Alto Adige» di Bolzano2, vorrei proporre alcune riflessioni sul rapporto tra politica, storia e cultura a partire dagli avvenimenti locali che hanno caratterizzato l'ultimo anno, dagli accordi Governo/SVP sulla fiducia dell'inverno del 2010 fino alle celebrazioni relative ai 150 anni dell'Unità della primavera del 2011.

L'intreccio tra questi elementi politico-identitari nella realtà locale è già stato oggetto di analisi su questa rivista3, ma il periodo preso in considerazione ha assunto, come spesso accade negli ultimi anni, un'improvvisa accelerazione dagli aspetti imprevedibili.

 

I monumenti e la loro storicizzazione

 

La questione dei monumenti realizzati in questo territorio nel secolo scorso - il "secolo breve", ma anche il secolo delle masse e della loro nazionalizzazione -, ha lasciato un'eredità tuttora imbarazzante, che spesso riesplode a livello politico e mediatico come se non fosse mai stata affrontata. La caratteristica di queste polemiche in ambito extrascientifico è data dal fatto che la storia sembra sempre essere nuova, non avendo una prospettiva di lettura di lunga durata o di conoscenza storica, in quel balbettio continuo, a volte urlato, di discorso e di memoria collettiva di cui i giornali sono contemporaneamente causa ed effetto.

Per questo motivo il dibattito sul monumento alla Vittoria ed il suo possibile riutilizzo sembra essere nuovo ed interessante, ma in realtà è tutto un déjà vu.

Già vista al lavoro la commissione di esperti, nominata dalla Provincia nell'estate del 1991, dopo che lo stanziamento statale di 400 milioni di Lire - più o meno lo stanziamento provinciale medio di allora per ristrutturare un albergo gardenese - aveva causato la solita mozione della Klotz in consiglio provinciale, cui era seguita la richiesta di arrivare ad una proposta elaborata da parte di una commissione di esperti. Questi all'epoca furono 9: 3 di nomina ministeriale, guarda caso 3 italiani, docenti universitari e sovrintendenti ai beni artistici; 3 di nomina provinciale, guarda caso 3 sudtirolesi, funzionari provinciali o dei ruoli locali della pubblica amministrazione; e 3 di nomina comunale, guarda caso 3 altoatesini dell'area politica della maggioranza del consiglio comunale, giusto per ribadire chi comanda, dove e perché. La commissione di studio lavorò per oltre un anno, giungendo a proporre di scavare innanzi al sagrato del monumento per ritrovare le tracce del basamento del monumento che gli austriaci avevano iniziato a costruire alla vittoria - la loro - dopo caporetto, per favorire un dialogo a distanza tra i due monumenti, quello austriaco distrutto e quello italiano successivamente realizzato. Si auspicava quindi un riordino della piazza da un punto di vista viabilistico, la riapertura della cripta ed il suo utilizzo come luogo di documentazione storica. Se solo avessero coinvolto anche uno storico serio e preparato avrebbero saputo che prima di innalzare il monumento italofascista il basamento del monumento imperial-austriaco venne fatto saltare con la dinamite, e quindi difficilmente si sarebbero trovate tracce di quel basamento.

 

Anche il discorso relativo alle targhe esplicative ha una lunga storia. Dopo decenni di discussioni politiche alcuni pseudo esperti incaricati dal Comune di Bolzano elaborarono un testo, presentato orgogliosamente dall'allora sindaco Salghetti nel gennaio 2004. Il testo era il seguente:

«Questo monumento fu voluto nel 1928 dal regime fascista per celebrare l'annessione di questa terra all'Italia. Essa segnò il distacco della popolazione tedesca dalla propria madrepatria. La città di Bolzano, libera e democratica, condanna le divisioni e le discriminazioni del passato e ogni forma di nazionalismo, e si impegna a promuovere la cultura della pace e della fratellanza»

Intervistato da un quotidiano locale in proposito ebbi a sottolineare, con quella pedanteria tipica dell'insegnante liceale di un tempo, che la posa della prima pietra del monumento era avvenuta il 12 luglio 1926, in occasione del 10° anniversario dell'impiccagione di cesare battisti, e che quindi la decisione di realizzare il monumento non poteva essere stata presa nel 1928. Passando dalle date alle motivazioni, feci notare che il monumento non venne eretto per celebrare l'annessione dell'Alto Adige all'Italia, ma per celebrare la vittoria italiana nella Grande guerra. Conseguenza della vittoria non fu solamente il distacco della popolazione tedesca dalla madrepatria, ma anche il congiungimento all'Italia delle popolazioni trentine e triestine, sui cui sentimenti nazionali dell'epoca ed attuali si potrebbe discutere a lungo. L'esortazione finale inoltre condannava ogni forma di divisione e discriminazione del passato, ma evidentemente non poteva condannare le divisioni e le discriminazioni, ancora molto numerose, nel presente.

Anche conseguentemente a queste lapalissiane osservazioni, le targhe esplicative vennero prontamente modificate. Nonostante tutti i tentativi, non si è mai conosciuto l'autore del testo politicamente e grammaticalmente corretto ma sostanzialmente errato dal punto di vista storico.

 

Quindi non credo che ci sia la necessità di costituire nuove commissioni o di elaborare nuovi testi esplicativi. Ritengo molto più utile operare nel presente per cambiare quella "vicinanza obbligata", imposta dalla storia, continuamente svalutativa dell'altro nei discorsi quotidiani, nei messaggi dei mass media, negli esempi della politica, che continua a parlare di convivenza mantenendo continuamente alto il livello di pre-tensione etnica nei confronti dell'altro, nel settore della storicizzazione dei monumenti, della toponomastica così come in molti altri settori, riproponendo continuamente una autonomia non territoriale ma dei gruppi etnici minoritari, quelli nazionali e quelli locali, i quali non riescono in questo modo a rapportarsi liberamente con il proprio passato, né tanto meno con il passato degli altri, incolpando sempre l'altro gruppo dell'origine di ogni problema.

 

Anche la decisione del Parteileitung dell'SVP di votare la sfiducia in occasione dell'imminente voto sull'operato del ministro della cultura Sandro Bondi ha posto fine alle illusioni di chi, a partire dall'astensione in occasione del dibattito relativo alla fiducia al governo Berlusconi, aveva parlato di una nuova fase dei rapporti tra SVP e Centrodestra. Era il 14 dicembre 2010, e subito i politici del Centrodestra avevano parlato di nuovi scenari possibili - dimenticandosi di quanto quell'area politica ha fatto contro l'autonomia provinciale -, mentre i politici del Centrosinistra si erano indignati ed avevano accusato il governo di avere svenduto il Parco dello Stelvio - dimenticandosi che lo stesso progetto era stato avviato dal governo Prodi in una situazione analoga e dimenticandosi l'elenco delle richieste SVP approvate "a piè di lista" nel febbraio 2006, pur di ottenere l'appoggio a Prodi, elenco che prevedeva anche la chiamata degli assessori provinciali italiani esterni al consiglio stesso e votati dalla sola SVP -.

A livello nazionale si dibatte solamente delle disavventure giudiziarie e personali del premier tra indignazione e gossip, e chi propone di discutere seriamente anche di altri temi, come quello del lavoro, ad esempio, viene tacciato di essere rétro, dimostrando in questo modo che il berlusconismo ha vinto a prescindere dal futuro di Berlusconi.

A livello locale continua il gioco delle parti tra l'SVP ed i suoi inconsistenti alleati, volutamente ignorando il fatto che il Centrodestra è già alleato dell'SVP in alcuni comuni e si comporta esattamente come si è sempre comportato il Centrosinistra, gestendo, spesso male, gli spazi di potere sempre più limitati che questa lascia ancora loro, per ora.

 

A Brunico ad esempio alle elezioni comunali del 2005 la lista civica di Centrosinistra ha perso un consigliere, e visto che prima erano due ha perso il 50% dei voti e degli eletti, mentre la lista civica di Centrodestra ha guadagnato un consigliere, e visto che prima era uno ha guadagnato il 50% dei voti e degli eletti. Il pragmatico sindaco SVP ha proposto alle due coalizioni di firmare lo stesso programma politico di consiliatura, offrendo una staffetta per ricoprire la carica di vicesindaco, carica in seguito ricoperta per 30 mesi dall'unico esponente del Centrosinistra e per i successivi 30 mesi da uno dei due esponenti del Centrodestra, tra l'indifferenza dei leader provinciali delle due coalizioni.

Nel 2010 a Merano il sindaco SVP, che nella consiliatura 2005-2010 aveva governato con una maggioranza SVP-Centrosinistra, durante le trattative per formare la giunta, stanco dei continui tentennamenti dovuti alle italiche lotte intestine sempre motivate da parole roboanti che nascondono un vuoto di progettualità oramai cronico ed una semplice brama di briciole di potere, si è rivolto al Centrodestra, trovando immediatamente una assoluta disponibilità ad entrare in giunta.

Già nel 2004, in un caso più unico che raro, il Centrosinistra italico meranese aveva deciso di opporsi al progetto dell'SVP sul progetto del maxitunnel di monte benedetto, e l'SVP si era girata dall'altra parte dell'aula consiliare sicura di trovare delle persone che, "in nome della convivenza e per spirito di servizio", sono state immediatamente disponibili a dimenticarsi tutto quello che loro hanno detto per anni a contestare la politica del partito di cui volevano diventare partner attivi, riconosciuti e ovviamente ben pagati. Nel caso specifico si trattava di esponenti "biancofioristi" di Forza Italia e degli "urziniani" di AN, che solitamente accusavano il loro Federale di essere troppo accondiscendente con l'SVP. Ma per la convivenza e la convenienza la coerenza a volte viene un po' meno.

Intervistato sulle difficoltà ed i tempi necessari per stilare un programma con il Centrodestra dopo il fallimento delle trattative con il Centrosinistra, il sindaco SVP ha candidamente affermato che il programma firmato dagli esponenti del Centrodestra era quello elaborato dall'SVP in funzione dell'accordo con il Centrosinistra.

Lo statuto del 1972 prevede, all'art. 50, che "la composizione della Giunta provinciale di Bolzano deve adeguarsi alla consistenza dei gruppi linguistici quali sono rappresentati nel consiglio della Provincia" e, all'art. 61, che "nei comuni della Provincia di Bolzano ciascun gruppo linguistico ha diritto di essere rappresentato nella Giunta municipale se nel Consiglio comunale vi siano almeno due consiglieri appartenenti al gruppo stesso", ma non afferma che questi debbano essere i più votati dagli altoatesini, o i più intelligenti o i più simpatici. Lo statuto è stato scritto alla fine degli anni sessanta, quando nessuno si poteva immaginare l'implosione della "Prima repubblica", ed era quindi naturale che i rappresentanti politici altoatesini nelle giunte fossero gli esponenti degli stessi partiti che governavano lo Stato. Non è stato lo shock elettorale del 1985 a cambiare la dinamica, ma il passaggio alla seconda repubblica ed il taglio del cordone ombelicale che univa i partiti che in sede locale esprimevano la maggioranza elettorale dei voti della minoranza territoriale con i centri di potere statale residui dopo l'emanazione dello statuto. Lo sfascio dei partiti, della cultura, della logica e della coerenza politica ha fatto il resto e l'SVP non ha fatto altro che approfittare cinicamente ma legittimamente della situazione.

 

In soli 40 giorni la debolezza del governo è ulteriormente aumentata, e l'SVP ovviamente ne approfitta per ottenere quello che vuole da sempre, anche perché l'SVP, a differenza delle coalizioni italiche e dei loro partiti, un disegno politico di lungo periodo ce l'ha. Nello specifico si intende contrattare la sfiducia o l'astensione sulla sfiducia al ministro della cultura, accusato dai sudtirolesi non tanto del fatto di non avere saputo gestire gli scavi di Pompei ed il patrimonio culturale italiano, del quale all'SVP importa poco o nulla, ma di avere stanziato finanziamenti per la conservazione del monumento alla Vittoria di Bolzano, giudicato gravemente offensivo per la popolazione sudtirolese. Il ministro ha subito risposto alla richiesta, nemmeno tanto implicita ed elegante, di contrattare il voto di s/fiducia con l'accettazione del progetto SVP relativo al monumento, uno dei pochi elementi che tuttora non sono di competenza provinciale, affermando: "Sin dal mio insediamento ho sempre vigilato affinché le risorse stanziate durante la responsabilità dei miei predecessori fossero utilizzate...", scaricando in questo modo su altri la principale responsabilità di avere deciso di stanziare dei finanziamenti per impedire che il monumento andasse a pezzi. Le richieste SVP, anche in questo caso, possono essere anche condivisibili, come quella relativa alla realizzazione nella cripta di un museo del totalitarismo del XX secolo. Per "totalitarismo" si intendono quei sistemi politici in cui lo Stato esercita il controllo totale della società e della vita politica dei cittadini, della loro mentalità, della loro cultura, fin della loro coscienza, puntando alla totale identificazione tra Stato e società attraverso l'identificazione del partito unico con lo Stato. Fondamentale per lo Stato totalitario è il controllo di ogni ambito vitale del cittadino, dalla nascita alla morte, dalla scuola, all'associazionismo, alla cultura, al tempo libero, tutto è finalizzato in modo di assumere un significato politico ed ideologico. Provate a sostituire il termine "Stato" con "Provincia" e ad aggiungere a questo modello un riferimento anche all'etnia, vista come un dato più biologico che culturale, ed a pensare a com'era la società sudtirolese fino a trent'anni fa, quando pochi generosi hanno cominciato a criticare questo modello sociale dal punto di vista politico, culturale e sindacale, e capirete che l'Alto Adige - o il Sud Tirolo, come lo ha definito Bondi nel suo comunicato -, ben si presta ad ospitare un museo del totalitarismo del XX secolo. Aggiungete un riferimento al "totalitarismo imperfetto" - la categoria storiografica applicata al fascismo che, probabilmente proprio in quanto italiano, non è riuscito a raggiungere (fortunatamente) gli stessi risultati del nazismo germanico in ogni ambito - e provate a pensare ad un sistema politico dove, pur in presenza di più partiti, un unico partito decide tutto di tutto, anche chi deve rappresentare al governo la minoranza locale/maggioranza nazionale, facendo fare agli esponenti politici di maggioranza e di opposizione di questo sgarrupatissimo gruppo delle figure penose che a volte fanno arrabbiare, ma sempre più spesso fanno auspicare una sempre maggiore forza del partito rappresentante della minoranza nazionale/maggioranza locale per evitare di assistere al penoso gioco delle parti dei politicanti italici, ed avrete un modello di etno-federalismo-totalitarismo. Questa volta perfetto. Roba da fargli un monumento.

 

L'accordo politico che ha dato la possibilità ai rappresentanti del partito etnico localmente dominante di portare avanti un progetto di eliminazione di simboli fascisti rischia di riproporre la situazione che si è creata a Bolzano una decina di anni or sono, quando l'ala più oltranzista del partito etnico ha imposto al coacervo di partiti/persone che governava la città di cambiare il nome della piazza che ospita il Monumento alla Vittoria in "Piazza della pace".

La proposta di per sé poteva anche essere discussa, ma imposta da un partito etnico di una coalizione che governava la città e la Provincia formata dagli esponenti di un partito che rappresentava la quasi totalità della popolazione sudtirolese ed un insieme di partiti/persone che rappresentavano la minoranza della popolazione altoatesina - all'epoca i tre assessori provinciali italiani scelti dall'SVP avevano complessivamente 8435 preferenze, e tutti insieme non avevano le preferenze dei leader dell'opposizione di destra -, è stata considerata dalla maggior parte dei bolzanini una forzatura, e non ha colto l'occasione della modifica dell'intitolazione della piazza per elaborare un percorso storico comune, ma ha invece colto l'occasione del referendum per condannare una classe politica delegittimata, che da decenni governava il Comune di Bolzano e la Provincia cooptata dall'SVP, incapace di esprimere una progettualità politica e culturale.

Dopo gli esiti del referendum del 2002 non c'è stato un ripensamento sulla sistematica delegittimazione popolare della maggioranza - caso più unico che raro! - che dalle elezioni comunali del 1985 caratterizzava la città, e, dopo avere deliberato un testo di spiegazione storica del monumento che, nella prima versione pubblicata nel gennaio 2004, aveva indicato con un errore di alcuni anni la data della decisione di realizzare il monumento, si è arrivati alle clamorose elezioni del maggio 2005 - quando i partiti italiani della maggioranza hanno perso 4 consiglieri al primo turno ed altre migliaia di voti al ballottaggio -, ed a quelle di novembre, quando il Centrosinistra ha perso altri 3 consiglieri, riuscendo a vincere le elezioni al primo turno solamente grazie allo straordinario successo dell'SVP, che dal cilindro aveva tirato fuori per l'occasione anche un'italiana, prontamente paragonata a Rosa Parks dalla stampa "filoautonomista", che ora è l'esponente di spicco della Lega Nord.

Ora il successo degli esponenti parlamentari dell'SVP, quelli che si vantano nei discorsi congressuali di "avere spremuto lo Stato come un limone", tra le risate dei delegati osservati con ammirata invidia dai peggiori leghisti, impedirà un percorso di elaborazione storica comune, perché qualunque scelta sarà condizionata dal metodo utilizzato per avviarla e porterà gli altoatesini ad identificarsi sempre più in questi simboli fascisti, in una spirale continua tra arroganza SVP, debolezza e delegittimazione dei partner altoatesini di maggioranza, ed incapacità del Centrodestra di uscire dalla nostalgia per il regime e lo Stato centrale che, oltre ad essere sull'orlo del baratro ed imparagonabile all'efficienza ed alla ricchezza della Provincia, non difende gli altoatesini anche quando al governo c'è una coalizione di Centrodestra, sicuramente più interessata al consenso dell'SVP che al rapporto con i propri confusi e contraddittori esponenti locali, esattamente come il Centrosinistra.

Ma oltre alla questione di metodo vi sono anche questioni di merito discutibili.

Distruggere i simboli di un regime nel momento del suo sfacelo è comprensibile - anche se non dobbiamo dimenticare che alcuni simboli del regime fascista in Alto Adige sono stati distrutti dopo il 1943 ed all'epoca del terrorismo sudtirolese da sudtirolesi certamente antifascisti ma assolutamente nazisti, e non dai partigiani! -, ma farlo settanta anni dopo è un segno di debolezza e pochezza politica e culturale.

L'opera di Piffrader di Piazza del tribunale, ad esempio, che è opportuno ricordare essere stata completata a metà degli anni cinquanta, è molto più utile come monito del regime e delle forme di propaganda nella piazza per cui è stato progettato e realizzato che in un museo. La piazza, con il nuovo tribunale ed il palazzo che era destinato a divenire sede del partito e delle sue organizzazioni collaterali, è un museo a cielo aperto interessante da leggere e spiegare, mentre i ruderi delle aquile di Ponte Druso non spiegano nulla, a parte l'incapacità dell'amministrazione comunale di affrontare seriamente la questione.

Il Monumento all'alpino di Brunico si trova nello stesso sito in cui è stato realizzato nel 1938 il Monumento alla Divisione Val Pusteria, quella che era stata impiegata in Africa nelle imprese del colonialismo italiano, ma, distrutto dai nazisti locali l'8 settembre del 1943, è stato ricostruito negli anni cinquanta dall'Associazione Nazionale Alpini e dedicato agli alpini, quindi con un'altra committenza ed un'altra dedicazione, oltre che con altre forme e dimensioni, rispetto a quello precedente. Nuovamente distrutto dai terroristi sudtirolesi nel 1966 è stato ricostruito e nuovamente distrutto alla fine degli anni settanta. Ora è ridotto ad un busto, e definirlo un monumento fascista aumenta le perplessità tra quanti dietro il termine "depotenziamento" vedono un progetto di sostanziale eliminazione. La ricostruzione della storia del sito e dei monumenti che sono stati realizzati e distrutti potrebbe essere una scelta condivisibile, ma lo spostamento in una caserma risolverebbe i desideri di alcuni nazionalisti sudtirolesi, ma al tempo stesso potrebbe trasformare il sentimento nazionale di molti altoatesini in forme di nazionalismo di cui non avvertiamo la necessità.

 

La commissione di esperti in seguito incaricata di giudicare i progetti riguardanti gli interventi relativi al bassorilievo di Piffrader conseguenti al voto di scambio Bondi/SVP ha scelto i cinque progetti giudicati più interessanti, che riceveranno un premio di 4000 euro l'uno, per un totale di 20000 euro, che insieme alle indennità per i membri della commissione stessa - sempre i soliti nominativi di persone dalla professionalità non sempre certa, ma certamente "politicamente corretti" - e le spese per la sua realizzazione costituiranno la spesa complessiva dell'operazione. I progetti francamente non entusiasmano nessuno e se sono veramente i migliori dei 486 progetti presentati dobbiamo preoccuparci della vanità e delle doti artistiche e progettuali degli altri 481 concorrenti o dobbiamo preoccuparci dei criteri adottati dalla commissione, che forse non ha nemmeno letto attentamente il bando di gara frettolosamente redatto, che diceva chiaramente:

"La trasformazione della facciata dovrà presentare una soluzione che trasformi il fregio dello scultore Hans Piffrader che nel suo programma iconografico esalta il regime fascista, in un luogo di memoria che non sarà più visibile direttamente ma sarà accessibile per una visita consapevole e commentata adeguatamente attraverso testi di spiegazione. Allo stesso tempo dovrà essere chiaramente espressa l´odierna presa di posizione di uno Stato democratico nettamente contraria al messaggio politico trasmesso dal fregio."

Tre dei cinque progetti scelti non solo non prevedono che il bassorilievo non sia "più visibile direttamente", ma anzi accentuano la curiosità verso un bassorilievo che, se non fosse per le speculazioni politiche dei nazionalisti italiani e tedeschi, sarebbe rimasto nell'indifferenza generale in cui giaceva da oltre sessant'anni, e quattro dei cinque progetti non prevedono alcun "testo di spiegazione".

La confusione evidentemente non alberga solamente nelle teste dei membri della commissione, se leggiamo che uno degli architetti concorrenti con un progetto che prevedeva la copertura dell'opera con un vetro sul quale proiettare l'immagine del bassorilievo lasciando un buco in corrispondenza dell'imbarazzantissimo duce a cavallo è lo stesso uomo che, in qualità di politico ed ex sindaco di Centrodestra, non più tardi di un mese prima sosteneva che la popolazione sudtirolese dovrebbe portare dei fiori sotto l'immagine del duce, vista la ricchezza e la civiltà portata, a suo dire, dal fascismo in Alto Adige.

Il progetto che suscita i giudizi più lusinghieri dei politici altoatesini scelti a governare dall'SVP è quello che prevede la proiezione permanente sul bassorilievo del testo trilingue della citazione di Hannah Arendt "Nessuno ha il diritto di obbedire" con la quale l'autrice della "Banalità del male" richiamava con una frase paradossale alle responsabilità individuali rispetto alle dittature.

Certamente la frase di Don Milani che negli anni sessanta ci ricordava che "l'obbedienza non è più una virtù" sarebbe stata molto più significativa, anche perché non paradossale e quindi di univoca interpretazione, oltre che più attinente alla richiesta del bando, che richiedeva fosse "chiaramente espressa l´odierna presa di posizione di uno Stato democratico nettamente contraria al messaggio politico trasmesso dal fregio", ma Don Milani era troppo italiano ed antiautoritario per godere delle simpatie della giuria, dell'SVP e degli esponenti altoatesini chiamati a governare dall'SVP, i quali interpretando la frase della Arendt nel suo significato vero, opposto a quello letterale, relativo al dovere di prendere posizione personalmente e politicamente rispetto alle ingiustizie della storia, avrebbero sicuramente delle difficoltà, rispecchiandosi invece meglio nello slogan mussoliniano di Credere, obbedire e combattere. Credere di essere politicamente significativi, o ritenere che qualcuno possa ancora credere che qualcuno li consideri significativi; obbedire alle imposizioni del partito che li ha scelti - non la maggioranza degli altoatesini, ma il partito sudtirolese di maggioranza che li ha scelti - proprio per la loro disponibilità ad accettare qualsiasi cosa "in nome della convivenza", dall'eliminazione della toponomastica bilingue all'accettazione che sia il partito dei sudtirolesi a decidere come gli altoatesini possano imparare la lingua tedesca nelle scuole italiane; combattere contro chi non la pensa come loro, dando dell'antiautonomista, del nazionalista e del fascista a tutti coloro i quali combattono per una società basata sulla pari dignità dei gruppi, obbediscono alla loro coscienza e coerenza e credono ancora sia possibile una società dove la tutela delle minoranze nazionali non debba andare a discapito delle minoranze locali.

 

Avevamo appena finito di leggere dotte analisi riguardanti le chances che gli altoatesini avrebbero in un momento di grave indecisione dell'SVP dovuta alla guerra di successione, che temporaneamente accantona i progetti di secessione, di Durnwalder e di grande apertura dell'SVP data dalla presenza di alcuni suoi esponenti alle manifestazioni del 25 aprile, dimenticando le esternazioni che il precedente vicesindaco di Bolzano Ellecosta ribadiva annualmente, che, puntuale come una cambiale, nella conferenza stampa del lunedì, il big Loden locale ci ha ricordato chi comanda e dove.

Prima di tutto ci ha fatto sapere che £lui$ ha deciso di infischiarsene della decisione della commissione che ha giudicato i 486 progetti riguardanti l'opera di Piffrader scegliendone 5, commissione che ha operato senza seguire minimamente le indicazioni del bando, e giustamente il capo pagherà con i nostri soldi questi "esperti" e premierà i cinque finalisti con i 20.000 euro previsti, ma lui ha già deciso che il progetto sarà un altro, a meno che non si decida di spostare l'intero bassorilievo, come da lui promesso agli Schützen, ipotesi subito appoggiata anche dal sindaco di Bolzano, che dopo la lettera di Bondi prima ha dichiarato che "Il governo ha calato le braghe ed ha venduto l'Alto Adige per due voti al Parlamento", espressione volgarotta ma che rende bene l'idea, espressione utilizzata, non senza qualche ragione, dal Centrodestra antiautonomista per decenni per commentare gli accordi Centrosinistra/SVP; poi ha detto che l'opera di Piffrader non sarebbe mai stata spostata dalla piazza; quando Durnwalder gli ha ricordato che l'accordo consente alla Provincia di fare tutto ciò che vuole anche senza il consenso del Comune e che quindi l'avrebbe spostata, ha detto che era d'accordo con lo spostamento; quando esperti veri e presunti gli hanno fatto notare che la soluzione migliore sarebbe stata la storicizzazione ed anche Durnwalder ha accettato l'idea, ha detto che era favorevole alla storicizzazione; infine ha detto che l'operazione sarebbe stata "un prezzo da pagare" per la convivenza.

Successivamente Durnwalder ha ricordato di avere ordinato di sistemare le targhe esplicative degli ossari posti nelle zone di confine durante il Fascismo nonostante le telefonate e le lettere di alti funzionari dello Stato che gli chiedevano di sospendere l'operazione. A parte ogni considerazione sulla serietà di questo Stato, che supera ogni considerazione di carattere contingente relativa al governo momentaneamente in carica per una valutazione di lungo periodo su come ci si trova qui in queste condizioni penose per quanto riguarda la credibilità dello Stato italiano che ricade inevitabilmente sui suoi cittadini non appartenenti alle minoranze nazionali, provate ad immaginare cosa avrebbe detto il Centrosinistra, soprattutto nelle sue componenti più radicali, se un governatore leghista avesse detto di infischiarsene delle direttive dello Stato relativamente ad una questione non sostanziale dal punto di vista della qualità della vita, ma importante sul piano simbolico.

Infine il trittico della storia con/divisa è stato completato con l'annuncio di un convegno storico in occasione del 50° anniversario della "Notte dei fuochi" del giugno 1961, dove ha già anticipato la sua tesi secondo la quale il terrorismo, che con centinaia di attentati ha causato anche decine di morti, è servito ad attirare l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale sulle vicende locali, senza esprimere una parola di condanna della violenza perpetrata, ma pronunciandone migliaia su quella subita.

I suoi partner italici di giunta, che lui ha cooptato, quando privatamente parlano di lui e delle sue imbarazzanti esternazioni ricordano con quel fare saputello di chi vuol far finta di saperla lunga, schiacciando l'occhiolino ed abbassando il tono della voce, che lui poverino deve fare i conti anche con la corrente di destra del suo partito ed anche con la concorrenza alla destra del suo partito.

Loro invece non devono fare politicamente i conti con nessuno, se non con £ui$, e quindi non devono ricorrere ad alcuna esternazione, limitandosi a "resistere, resistere, resistere! ", non solamente il 25 aprile, attaccati alla poltrona, improvvisando uno dei due modelli di retorica politica che caratterizzano lo scenario politico locale. Da una parte la retorica e l'ipocrisia del Centrosinistra, che si riempie la bocca da decenni di termini come "convivenza" ed "autonomia", quando risulta evidente che questi non hanno la necessaria legittimazione elettorale, progettualità culturale e politica e conseguentemente il minimo potere contrattuale; dall'altra il Centrodestra, che si riempie la bocca da decenni di termini come "italianità" e slogan come "difesa degli italiani", quando risulta evidente che questi riescono solamente a vivere di rendita delle figuracce che inevitabilmente fa chi è cooptato al potere dall'SVP, la qual cosa è capitata agli altri negli ultimi decenni, ma potrebbe capitare anche a loro nei prossimi.

 

Le celebrazioni per i 150 anni dell'Unità

 

La conferma dell'ipocrisia di fondo su queste vicende viene anche dalla notizia riguardante la decisione della Provincia di non partecipare ad una esposizione organizzata dalla Presidenza del consiglio dei ministri a Roma sui 150 anni dell'Unità. Questa volta per primi sui media non ci sono andati i leader politici sudtirolesi, gli unici che contano veramente, anche perché poco interessati alla tematica di questo Stato per loro culturalmente straniero - Durnwalder ha ribadito che i sudtirolesi sono stati annessi contro la loro volontà ed hanno sempre richiesto di poter esercitare il diritto di autodeterminazione, diritto negato nel 1919 e nel 1945, ma obiettivo tuttora presente nello statuto del partito, dimostrando che la storia, quando fa comodo, non è assolutamente una, unica, unitaria, unificante né condivisa, ma che i diversi gruppi possono avere diverse sensibilità, interessi, opinioni, interpretazioni! -, ma l'assessore alla cultura italiana scelto dall'SVP e due funzionari scelti dall'assessore scelto dall'SVP, i quali hanno affermato che l'invito all'iniziativa è arrivato tardivamente ed i costi per la partecipazione sarebbero stati elevati. Sulla tempestività dell'invito si può discutere, ma sul fatto che si sappia da qualche annetto che nel 2011 ricorre il 150° anniversario dell'Unità non si può discutere, così come è indiscutibile il fatto che la ricorrenza del 90° anniversario della fine della Grande guerra sia passata assolutamente sotto silenzio, mentre il 200° anniversario della morte di Hofer è stato un tripudio di iniziative strafinanziate dalla Provincia di Bolzano e da quella di Trento, che per l'occasione ha stanziato 2.000.000 di euro per acquistare nuove divise per gli Schützen trentini, le cui compagnie sono sbocciate come i funghi negli ultimi vent'anni, da quando molti in Italia si chiedono i motivi dell'autonomia dei trentini, dimostrando che le polemiche sulla storia raramente riguardano il livello scientifico, ma sempre il suo uso pubblico e politico, spesso retorico ed ipocrita.

Le divise degli Schützen tirolesi potrebbero diventare una metafora della storia con/divisa, così retoricamente ed ipocritamente auspicata.

 

Anche la questione dell'autodeterminazione, vista ed utilizzata come obiettivo da utilizzare per accontentare l'elettorato più fanatico e spauracchio per impaurire l'avversario oramai stremato, ricorre spesso tra gli argomenti politici del periodo.

Quando al termine della Grande guerra, applicando alcune clausole del Patto di Londra, ma ignorando i contenuti dei 14 punti di Wilson - che al punto 9 affermava: "La rettifica delle frontiere italiane dovrà essere effettuata secondo le linee di nazionalità chiaramente riconoscibili" -, l'Italia non portò il confine settentrionale a Salorno, ma al Brennero, risolse la questione dell'irredentismo italiano ma creò la questione dell'irredentismo sudtirolese, ulteriormente aggravata dalla successiva politica fascista. La sinistra socialista italiana era allora favorevole all'esercizio del diritto di autodeterminazione della popolazione sudtirolese, mentre dopo la 2° guerra mondiale, in un contesto di rivendicazioni abbastanza simile, né i socialisti né i comunisti erano favorevoli a tale richiesta. Quando, un po' provocatoriamente, chiesi trent'anni fa al senatore comunista Mascagni i motivi di tale scelta, lui, abituato come tutti i politici della sua generazione ad argomentare le scelte politiche con motivazioni di principio, storiche e sociali e non in base ai sondaggi del mattino, mi rispose che era giusto appoggiare la richiesta di autodeterminazione dopo la 1° guerra, ma non lo era più dopo la 2° guerra, perché nel frattempo si erano insediati nel territorio decine di migliaia di italiani, divenuti in seguito "altoatesini", e quindi la soluzione politica non poteva che essere al tempo quella dell'autonomia, come effettivamente venne fatto con il 1° statuto del 1948, anche se l'estensione territoriale regionale ed il centralismo trentino fecero fallire quell'autonomia. Come dire, con Eraclito, che tutto fluisce e scorre, perché tutto muta, a parte la legge del mutamento, e ci si può bagnare nello stesso fiume, ma mai nella stessa acqua, e quindi il principio-fiume, l'autodeterminazione, si manifesta in situazioni storiche e sociali-l'acqua sempre diverse. Rivendicare il diritto di autodeterminazione all'inizio del XXI secolo/terzo millennio, quando gli immigrati nella provincia sono oramai più numerosi dei ladini e nella città di Bolzano si contano oltre cento etnie, oltre alle tre storicamente insediate e giuridicamente riconosciute, può servire per fare proselitismo politico, ma non risolve alcun problema dei sudtirolesi, mentre sicuramente non aiuta gli altoatesini a sentirsi radicati in questo territorio, continuamente stressati da questa "minaccia di sfratto" portata avanti da chi richiede il diritto di autodeterminazione, vuole eliminare la toponomastica italiana, e nega, ad esempio, che gli altoatesini possano decidere autonomamente come imparare il tedesco nelle proprie scuole.

Se la nazione era, come affermava giustamente Ernest Renan, "il plebiscito di ogni giorno", l'autonomia dovrebbe essere dinamica, non nel senso di "spremere lo Stato italiano come un limone", come affermato sprezzantemente da Brugger al congresso SVP, ma nella direzione di un coinvolgimento continuo delle popolazioni residenti nel territorio in senso democratico e partecipativo, favorendo lo sviluppo, la democrazia e l'autonomia del territorio, dei gruppi e delle persone, perché nel XXI secolo non esistono più territori assolutamente monoetnici e popolazioni assolutamente autoctone.

 

La settimana successiva, quando le dichiarazioni di Durnwalder relative alla mancata partecipazione alle iniziative per il 150° anniversario dell'Unità sono finite sulle prime pagine dei giornali nazionali, il sindaco di Centrosinistra, dopo avere partecipato alle celebrazioni hoferiane, ha affermato che Andreas Hofer aveva lottato per valori universali e che è sempre stato un suo eroe, "fin da bambino"!

Sicuramente il sindaco ha fatto bene a partecipare in veste ufficiale a queste celebrazioni, visto che il sindaco rappresenta tutta la popolazione cittadina e che per la maggior parte della popolazione sudtirolese Hofer rappresenta un eroe, ma non bisogna dimenticare che queste celebrazioni non hanno carattere istituzionale e sono espressione di una parte, anche se maggioritaria, della popolazione sudtirolese, che lo considera uno degli elementi costitutivi dell'identità tirolese. Da qui a sostenere che Hofer - giustamente mitizzato anche dai trentini ed utilizzato politicamente anche da quei movimenti politici ultrareazionari che mitizzano le "insorgenze antinapoleoniche" come espressione popolare, di quelle popolazioni egemonizzate dalla cultura cattolica vandeana che al grido di "Viva Maria" si opponevano agli ideali della rivoluzione francese esportati ed imposti, anche con la forza, dalle truppe napoleoniche -, avesse lottato per dei valori universali il passo è breve, ma non è assolutamente logico.

L'alternativa alle mutande tricolori dei nazionalisti italiani non deve necessariamente essere costituita dai Lederhosen tirolesi, e speriamo che i nostri figli crescano con altri eroi di riferimento rispetto a quelli dell'ex sindaco di Centrodestra e di quello attuale di Centrosinistra.

E speriamo che un giorno il popolo possa vivere come auspicava Brecht, quando affermava: "beato il popolo che non ha bisogno di eroi."

 

A togliere queste comparse dalla scena è immediatamente intervenuto Durnwalder, con reiterate dichiarazioni sulla sostanziale estraneità della popolazione sudtirolese alla storia ed alla cultura italiana. Il discorso del boss era perfettamente logico nel ribadire la distinzione tra cittadinanza e nazionalità, che non corrisponde negli appartenenti alle minoranze etniche, anche a quelli che di fatto sono tornati giustamente padroni a casa propria, e se lo avesse fatto il segretario del suo partito nessuno avrebbe potuto dire nulla, ma pronunciato da una figura istituzionale come il Presidente della Giunta provinciale e riferito ad una iniziativa della Presidenza del consiglio dei ministri appare certamente la dimostrazione di scarsa cultura istituzionale da parte del Presidente della Provincia che è sicuramente e giustamente autonoma, ma tuttora e almeno per ora ancora parte della repubblica italiana.

Le dichiarazioni del boss sono state aspramente contestate da ogni parte politica, soprattutto dal Centrodestra che non vedeva l'ora di poter parlare male del presidente di una amministrazione talmente ricca ed efficiente, soprattutto se paragonata a quella delle altre regioni italiane, da rendere frustrante ogni opposizione, dimenticandosi che nella stessa area politica ci sono esponenti, anche con incarichi governativi, che sulla cittadinanza italiana e sui simboli dello Stato hanno detto cose almeno simili e in alcuni casi anche peggiori, avendo tra l'altro meno argomenti storici, visto che i tirolesi hanno costruito la loro identità etnica in oltre duecento anni con metodi tipici degli scorsi due secoli ed ottimi risultati dal punto di vista del partito che ne ha capitalizzato la storia, mentre i Lumbard ci stanno provando, con metodi e risultati quantomeno imbarazzanti, da soli vent'anni.

La questione è finita su tutti i media, non solo nazionali, ed ha suscitato anche la reazione del Presidente della repubblica, solitamente poco attento a come viene gestita questa autonomia per quanto riguarda i diritti di quelli che non sono tutelati dalla SVProvincia, che in una nota ufficiale ha ricordato "... che il Presidente della Provincia di Bolzano non può parlare a nome di una pretesa 'minoranza austriaca' dimenticando di rappresentare anche le popolazioni di lingua italiana e ladina e soprattutto che la stessa popolazione di lingua tedesca è italiana e tale si sente nella sua larga maggioranza", suscitando il plauso di molti Italiani indignati e le ire di molti sudtirolesi indignati che hanno dato alla definizione di "pretesa minoranza austriaca" il significato di "presunta minoranza", affermando che loro non si sentono tedeschi: loro sono tedeschi, con un rapporto di sangue & suolo, anzi di Blut und Boden.

Neanche la timida richiesta sussurrata dai due assessori italiani cooptati in giunta, uno dei quali è il vicepresidente italiano della giunta, che potrebbe sostituire il presidente della giunta solamente se mancasse contemporaneamente anche il vicepresidente tedesco, quello vero, ha fatto cambiare idea al boss che, sotto stress, ha affermato che eventualmente il vicepresidente italiano potrebbe andare alle celebrazioni in rappresentanza della sola popolazione italiana della Provincia, a dimostrazione che, di fatto, i rappresentanti altoatesini della Giunta provinciale sono stati cooptati a titolo etnico, per rispettare lo statuto, anche senza rispettare la popolazione che dovrebbero rappresentare, e che il modello di convivenza è in realtà un modello di convenienza, non sempre reciproca.

 

Ma cosa significa ricordare, celebrare, festeggiare l'Unità in una zona di confine, in una zona dove esistono diversi gruppi, diverse memorie, memorie spesso contese come il territorio in cui vivono?

Già la scelta del verbo è significativa. Ricordare è un termine neutro. Si possono ricordare avvenimenti belli e brutti, le nascite come le morti, anche se il ricordo non è mai neutro ed implica sempre una operazione di memoria ed oblio, un lavorio continuo sul passato. Celebrare non è un termine neutro. Celebrare significa ricordare ed onorare, solennizzare, esaltare, glorificare una persona o un avvenimento. Festeggiare significa ricordare ed onorare facendo festa, interrompendo la scansione normale del tempo e delle azioni.

Ma cosa si festeggia? L'Unità, e questo ha consentito a Sudtirolesi e Schützen trentini di ribadire la loro alterità rispetto alle celebrazioni ufficiali, partendo dall'affermazione che loro nel 1861 non facevano parte dell'Italia e che nessuno ha chiesto loro - in senso lato, considerandosi gli unici eredi delle popolazioni allora abitanti il territorio -, se desiderassero farne parte. La tesi è storicamente corretta ma politicamente assurda, perché così come quando festeggiamo un compleanno cogliamo l'occasione della ricorrenza dell'anniversario di una nascita per festeggiare la vita della persona, che sicuramente non ha memoria del momento della nascita e quindi non può ricordarsene, quando festeggiamo i 150 anni dell'Unità ricordiamo la storia di questa esperienza con tutti i suoi aspetti, storia che in parte abbiamo vissuto direttamente ed in gran parte abbiamo conosciuto indirettamente, attraverso operazioni di carattere anche simbolico e culturale - come le feste nazionali, ad esempio, che forse dal prossimo anno saranno accorpate alle domeniche successive per presunti motivi di bilancio - che hanno portato a sentimenti identitari più o meno abilmente costruiti ed elaborati.

Dove si festeggia? In una zona di confine, in una zona contesa, come spesso accade nei territori di frontiera, dove la storia cambiando i confini e gli assetti istituzionali dell'autonomia ha spesso alterato i rapporti di forza e di maggioranza e minoranza tra le popolazioni presenti e la storiografia quasi sempre è stata al servizio dei progetti politici dominanti, fossero quelli violentemente nazionalistici italiani e/o tedeschi dei secoli scorsi o quelli ipocritamente inneggianti alla convivenza degli ultimi anni. Una storiografia una volta di Stato e statale, con i relativi finanziamenti e la sua proverbiale inefficacia, ed ora di Provincia e provinciale, con i relativi finanziamenti e la sua proverbiale efficacia, che evita opportunisticamente di affrontare tematiche politicamente imbarazzanti, portata avanti dai politici sudtirolesi scelti dalla popolazione sudtirolese e dai politici altoatesini scelti dai politici scelti dalla popolazione sudtirolese, dai loro funzionari e dai loro pretesi e presunti esperti, così attenti a non creare tensioni "in nome della convivenza" e sempre desiderosi di ricercare "soluzioni condivise" così politicamente corrette da essere sempre prevedibili e spesso roboanti della retorica della convivenza.

A Bressanone anche i politici altoatesini si sono aggregati a questa non nuova tendenza, "per evitare di urtare la suscettibilità dei concittadini di lingua tedesca", e non solo hanno evitato di organizzare iniziative culturali in occasione dell'anniversario dell'Unità - previste per il periodo successivo in cui saranno presenti anche i turisti italiani, gli unici italiani tollerati da gran parte della popolazione locale, perché arrivano, spendono e se ne vanno -, ma hanno anche deciso di non organizzare l'alzabandiera, come proposto dal Commissario del governo, "perché ci saremmo trovati solamente io e l'altro assessore italiano", ha detto l'assessore alla cultura e vicesindaco italiano della città che tra l'altro è sede anche di diverse caserme che ospitano centinaia di soldati. A Bressanone non si ricorda né si celebra, né tantomeno si festeggia.

 

La toponomastica ed i simboli nazionali

 

Anche il settore della toponomastica ha visto un accordo firmato dal governo di Centrodestra, nella persona del ministro delle regioni Fitto e l'SVP, nella persona di Durnwalder, per la soluzione del problema creato ad arte dall'asse SVP-AVS nel settore dei cartelli indicatori finanziati con i soldi pubblici e realizzati monolingue-tedeschi, quasi ad anticipare e tastare il polso al moribondo per vedere le sue reazioni in vista dell'imminente discussione nel consiglio provinciale della proposta di legge SVP sulla toponomastica ufficiale, che prevede la quasi totale eliminazione della toponomastica italiana.

Il testo dell'accordo era di per sé ambiguo, ed il fatto che il comunicato ufficiale non fosse congiunto ma separato da parte dei due contraenti non indicava nulla di buono, tant'è vero che immediatamente è nata una questione sull'interpretazione del termine "Ortschaften"-"località", vista come località antropizzata nell'interpretazione/testo tedesco e come luogo geografico nell'interpretazione/testo italiano. Ma oltre a questo, anche il riferimento alla "storicità" dei nomi è ambiguo e si presta a discussioni infinite. Alcuni hanno messo in relazione le ambiguità con la necessità di Berlusconi in questa fase di instabilità politica di crearsi alleanze anche con il diavolo, sia esso siciliano o sudtirolese, pur di sopravvivere politicamente alle bordate dell'ex cofondatore Fini.

La polemica è continuata per quanto riguarda le scelte degli esperti della commissione di studio. Si parlava di esperti e qualcuno ha pensato ingenuamente a storici o linguisti, ma lo Stato ha nominato due giuristi, mentre la Provincia ha nominato tre politici. Inoltre lo Stato ha nominato un'italiana ed un sudtirolese non allineato, mentre la Provincia ha nominato tre sudtirolesi iperstrutturati etnicamente e politicamente. Con queste premesse la commissione potrà lavorare almeno per cinquant'anni, e quindi i nomi italiani, che pur esistono da poco meno di un secolo, saranno all'epoca ancora "più storici". Ma, essendo calati gli altoatesini di oltre 30.000 unità negli ultimi quarant' anni ed essendo oramai scomparsi da ogni luogo di potere economico, politico e culturale, con questo trend politicamente determinato nei prossimi cinquant'anni saranno ampiamente superati dagli stranieri, che già oggi hanno superato, con uno sviluppo inimmaginabile solamente dieci anni fa, la popolazione ladina. Viste le tristissime considerazioni di Theiner, che recentemente si rammaricava del fatto che i figli degli immigrati, essendo inseriti per il 70% nelle scuole italiane che ospitano il 25% della popolazione scolastica, inevitabilmente si dichiareranno italiani nei prossimi censimenti, possiamo prevedere che al termine dei cinquantennali lavori della commissione per la toponomastica i rappresentanti degli altoatesini che la commenteranno avranno tutti nomi di origine albanese o magrebina - essendo gli immigrati di origine dei paesi dell'est predestinati a diventare dei veri sudtirolesi! -, e di religione islamica.

In questa terra abbiamo avuto un politico carismatico recentemente scomparso che, con un cognome trentino, imbarazzante eredità del padre magistrato roveretano, si è arruolato nella Wehrmacht, e, diventato leader della popolazione tedesca, negava l'esistenza dei mistilingue, ed anche molti sindaci delle località della bassa atesina hanno questa caratteristica onomastica, che non impedisce loro di attuare ed anticipare nella toponomastica quella "pulizia etnica" che hanno già fatto nella loro identità personale, negando una parte della loro storia ed identità per assolutizzare l'altra.

 

Anche la vicenda della collocazione e della rimozione di oltre 700 simboli politico-partitici, spacciati per riferimenti territoriali, nella scuola elementare di Adro intitolata all'ideologo della Lega Gianfranco miglio, da parte del sindaco leghista, che tanta indignazione ha generato tra l'opinione pubblica democratica italiana e tanta solidarietà col sindaco ha generato tra la popolazione del posto, ci riporta l'attenzione sulla propaganda politica che usa i bambini, l'odonomastica e la simbologia a fini partitici.

I media hanno giustamente ricordato i riferimenti storici all'uso nella propaganda politica dei bambini, che immediatamente ci ricordano la felice infanzia passata ed il roseo futuro - che spesso si contrappongono al triste presente -, da parte delle ideologie totalitarie del secolo scorso e da parte dei partiti di massa della "prima repubblica".

Ma anche la questione dell'odonomastica, quel settore della linguistica che studia l'intitolazione dei luoghi pubblici, è interessante per vedere come le ideologie ed i partiti che vi fanno riferimento abbiano utilizzato molte occasioni per fare l'apologia dei propri riferimenti ideologici, anche contro parti significative della popolazione, per ribadire il proprio potere, a volte estremamente momentaneo, nel territorio. La norma che prevede che non possano essere intitolate a persone scomparse da meno di dieci anni strade o edifici pubblici può essere elusa con delle semplici motivazioni formali, come è stato proposto dall'SVP per quanto riguarda la piazza che si trova di fronte al Palazzo Widmann, l'emblema del potere politico locale, dove già si trova la statua di Re Laurino - che molti vedono come il simbolo della latinità, schiacciato da Dietrich von Bern, che molti vedono come simbolo della cultura germanica -, che è immediatamente stata intitolata a Silvius Magnago dopo la sua scomparsa. Quindi in "Piazza Magnago" si trovano i palazzi simbolici del potere politico etnico locale e la fontana che secondo molti storici rappresenta la sconfitta della latinità, come dire fare strike a bowling o tombola con la nonna e le ziette.

Quindi la scelta di intitolare la scuola elementare di Adro ad un leader politico di parte recentemente scomparso non è assolutamente un unicum politico, e le ricerche sull'odonomastica locale potrebbero portare a raccontare simpatici aneddoti sui nazionalismi bipartisan, quelli sconfitti nel passato e quello tuttora al potere, che con i simboli continua a giocare, come è avvenuto nel maggio del 2009, quando sono stati mostrati ai presidi in anteprima le nuove pagelle ed i diplomi della scuola locale, da cui era stato cancellato il simbolo della repubblica italiana, lasciando esclusivamente il simbolo alla Provincia. Preso atto dei nuovi diplomi, ne ho personalmente consegnato ad un quotidiano locale alcune copie, e solo per questo ne è nato un caso che ha avuto una ribalta anche sui media nazionali, come nel caso di Adro. La proposta era stata avanzata da un gruppo di lavoro formato da funzionari provinciali tedeschi, nominati e fedeli al partito localmente dominante, e da funzionari provinciali di lingua italiana scelti da politici a loro volta scelti dall'SVP, meccanismo che spesso porta anche i funzionari degli assessorati italiani, come la scuola e la cultura italiana - ben contenti se il loro assessore competente è assolutamente incompetente, così comandano loro -, consapevoli che il loro assessore potrà anche avere vita breve, ma il partito localmente dominante che controlla l'Amministrazione nella quale devono fare carriera assolutamente no, ad accettare anche l'inaccettabile ed illegale.

La delibera era stata ovviamente sottoscritta anche dall'assessore alla scuola italiana, che dopo il pandemonio mediatico dalle conseguenze anche ministeriali ha candidamente affermato di non saperne assolutamente nulla, scaricando tutta la responsabilità su un funzionario italiano. Durnwalder, per metterci una pezza, ha affermato che già nel 1991 il responsabile dell'Ufficio legale della Provincia, in seguito divenuto sindaco di Bolzano, Salghetti aveva già espresso un parere favorevole alla proposta. Salghetti per una volta nella sua vita ha perso le staffe, ricordando che il suo parere riguardava la possibilità di aggiungere al simbolo della repubblica il simbolo della Provincia, certamente non della possibilità di sostituire un simbolo con un altro.

E questo è uno dei problemi che hanno caratterizzato la realtà locale degli ultimi cent'anni. L'azione politica e culturale dei nazionalisti che si sono succeduti negli ultimi novanta anni ha determinato una situazione paradossale, per cui in una terra autonoma, plurilingue e ricchissima, non solo culturalmente, che potrebbe essere un modello di laboratorio di convivenza per l'intera Europa, troviamo gli italiani più antitedeschi ed i tedeschi più anti-italiani d'Europa.

Chi ha sempre voluto imporre esclusivamente i propri simboli, non accanto, ma al posto degli altri, pensando che sui pennoni ci sia posto solamente per una bandiera, la propria; che sui cartelli ci sia posto solamente per una toponomastica, la propria; che l'unico ente sovrano debba essere quello dove un gruppo è maggioritario, il proprio, alimentando un nazionalismo reciproco e diffusissimo nonostante l'opulenza, nega non solo il passato ma anche il presente ed il futuro di questo territorio.

 

Il periodo affollatissimo di eventi si conclude con la visita in Alto Adige di un importante uomo di Stato, come spesso accade da queste parti.

Dopo la campagna elettorale del 2001 di Bressa, iniziata nel febbraio in qualità di sottosegretario alle minoranze presentando la Relazione della commissione per l'evoluzione dell'autonomia in provincia di Bolzano, e terminata con la sua memorabile elezione insieme a Peterlini, tandem riconfermato nel 2006 e nel 2008, che avrebbe dovuto storicamente mutare i rapporti politici tra le popolazioni locali ma che non ha cambiato assolutamente nulla; dopo l'irruzione bolzanina svolta immediatamente dopo le elezioni del 200l da parte degli esponenti di Forza Italia del Governo Berlusconi che aveva appena vinto le elezioni, dove nella sede di rappresentanza dello Stato, il commissariato del Governo, hanno svolto un'iniziativa di partito, con un messaggio politico-mediatico del tipo "Abbiamo vinto e ve la faremo pagare"; dopo il comizio berlusconiano in occasione delle elezioni amministrative del 2005 con il famoso dito medio alzato di Berlusconi con la Biancofiore che rideva sguaiatamente con la bocca talmente spalancata da mostrare la mancanza di un premolare superiore sinistro; dopo il "Tavolo dell'autonomia" di Prodi convocato dopo le elezioni politiche del 2006, vinte con un vantaggio di ben 20.000 voti su 40 milioni, lo 0,05 % dei voti, mai più riconvocato dopo il sontuoso ed affollatissimo buffet iniziale; dopo le recenti dichiarazioni del ministro degli esteri del governo italiano, che si è preso la briga di criticare duramente l'elezione di un esponente del Partito della Libertà anche da parte dell'SVP a Presidente del consiglio provinciale, minacciando ritorsioni riguardanti l'emanazione di norme di attuazione, finalmente un uomo di Stato viene in Alto Adige a dire cose sensate.

Questo uomo di Stato non è italiano, ma è il Presidente della repubblica austriaca Heinz Fischer, che ci fa riemergere dalla memoria l'importanza dell'affermazione battistiana contenuta in un celebre scritto del 1895 riguardante i rapporti tra socialismo e questione nazionale, dove cesare battisti scriveva: "Il socialismo tende a spogliare il sentimento nazionale da quell'orgoglio barbarico che lo deturpa; il socialismo vuole che non si ripeta il nefando costume di onorare i propri grandi col detrarre quelli delle altre nazioni, che si riconosca l'eroismo e la magnanimità solo nei martiri della propria patria per coprire di contumelie gli eroi nazionali degli altri popoli; il socialismo domanda che, messo da parte ogni spirito di odio, si prenda il bello ed il buono dovunque si trovi, in Austria come in Francia, in Inghilterra come in America."

Giunto a Bressanone per invito di Durnwalder - a dimostrazione dei continui rapporti che giustamente ed intelligentemente l'SVP mantiene con i massimi esponenti del governo e dello Stato austriaco, a prescindere dal loro orientamento politico, esattamente l'opposto di quello che fanno gli esponenti politici altoatesini, che non riescono nemmeno a farsi ascoltare dagli esponenti politici romani del proprio partito, né quando stanno al governo né quando stanno all'opposizione -, Fischer ha ribadito la propria contrarietà all'obiettivo propagandistico attualmente irraggiungibile dell'autodecisione, affermando che l'unica strada percorribile è quella dell'autonomia; ha elegantemente glissato sulla questione della doppia cittadinanza che tanto piace agli esponenti oltranzisti dell'SVP che vogliono sempre tenere aperte delle vertenze etniche ed all'onorevole Bressa, eletto anche con i loro voti; non ha voluto riproporre la questione della grazia ai terroristi sudtirolesi non essendoci sostanziali novità sulla questione.

Ora non credo che l'affermazione battistiana vada stravolta, riconoscendo il bello ed il buono solamente all'estero, rispettando solamente i politici stranieri e coprendo di contumelie gli strapagati, iperprivilegiati ed inetti politici nazionali, ma se avessi visto e sentito dire da qualche esponente di governo italiano, di tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi decenni, analisi politiche così semplici e chiare con un atteggiamento politico così coerente e conseguente, avrei meno perplessità nel credere che la situazione politica ed etnica locale possa prendere un'altra piega rispetto a quella assunta negli ultimi decenni, causata dalla debolezza dei rapporti numerici locali e dalla pochezza ed incoerenza degli esponenti politici italiani locali e nazionali delle due coalizioni. Fischer ha intelligentemente ed elegantemente ricordato che "l'autonomia è l'espressione greca dell'autodeterminazione", anche se la realtà locale sembra dimostrare che l'autonomia è l'espressione sudtirolese della mancata autodeterminazione, pagata dallo Stato italiano e subìta da chi fa parte del disprezzato Staatsvolk, sempre più consapevole di essere amministrato meglio che in qualunque altra regione italiana, ma oramai certo di non contare politicamente assolutamente nulla e che sempre più spesso guarda con invidia i politici che rappresentano gli interessi dei Sudtirolesi.

Per fortuna che ci sono i Tedeschi!

 

 

NOTE

 

1 Pubblicato in: «Il Cristallo. Rassegna di varia umanità», numero 1, LIII, 2011, pagine 28-45.

2 http://www.giorgiodelledonne.it/.

3 Giorgio Delle Donne, Politica, storia & cultura all'alba del XXI secolo. Ovvero: Delle difficoltà d'essere altoatesini in Sudtirolo, oggi, in: «Il Cristallo. Rassegna di varia umanità», XLVIII, 2006, n. 1-2, Bolzano, Centro di Cultura dell'Alto Adige.