IL CRISTALLO, 2011 LIII 2-3 [stampa]

L'11 SETTEMBRE CONTINUA A VIVERE NEL CAMBIAMENTO GLOBALE

Colloquio con il prof. ROLAND BENEDIKTER
Stanford / Bolzano, 11 settembre 2011

1) Professor Benedikter, Lei lavora già da molti anni negli Stati Uniti come Professore di Sociologia Politica, prima a Washington e New York, dal 2009 alla Stanford University in California, numero due del mondo. Il Suo campo di lavoro è l'analisi del "cambiamento sistemico" che stiamo vivendo su livello globale. Che significato attribuisce, in quest'ottica, all'11 settembre 2011?

Benedikter: L'11 settembre è stato senza dubbio un evento storico che ha cambiato il mondo, e che sentiamo ancora. Infatti, gli eventi di allora continuano a vivere nel cambiamento globale del presente. Soprattutto hanno dato inizio a una trasformazione che ha portato a una nuova costellazione mondiale non solo politica, ma anche economica, culturale, religiosa. In poche parole, le società moderne nell'era della globalizzazione funzionano nell'interconnessione tra quattro logiche strutturali o discorsi tipologici, che sono, infatti, politica, economia, cultura e religione (alle quali poi si aggiungono le logiche e i discorsi di tecnologia e demografia che sono di crescente importanza). In breve, il segnale fortemente simbolico che è stato l'11 settembre ha contribuito a trasformare tutte e quattro queste dimensioni delle comunità mondiali, e soprattutto l'interconnessione strutturale, ideologica e funzionale tra di loro.

 

2) In che senso?

Benedikter: Politica, economia, cultura e religione dopo l'11 settembre sono sempre più connessi, e le rispettive logiche - molto diverse tra di loro - si influenzano sempre più, e in molti casi si mescolano. George W. Bush, per esempio, ha usato il discorso religioso per fare politica. Questo è uno sviluppo che ha portato a una certa regressione dal punto di vista delle società aperte e della democratizzazione, meno in Europa, ma certamente a livello globale. In futuro bisognerà cercare di ri-autonomizzare queste quattro logiche, di sgarbugliare il nodo che l'11 settembre ha contribuito a creare.

 

3) Può darci un'analisi dettagliata di quanto è successo?

Benedikter: Se analizziamo il modello quadripolare del sistema globale, in analogia possiamo identificare quattro dimensioni, quattro assi di trasformazione. Primo, politicamente l'11 settembre è stato l'inizio della fine della supremazia monolaterale degli Stati Uniti nel mondo, coinvolgendoli in due guerre molto costose, e dunque ha dato inizio alla fine del "nuovo ordine globale" proclamato da Herbert Spencer Bush, il padre di George Bush, dopo la caduta del muro di Berlino negli anni 90. Il "nuovo ordine globale" partiva dalla visione di un mondo dominato da un'unica superpotenza benefica. Oggi cominciamo a vivere in un mondo più multipolare, dove potenze emergenti come la Cina o la India, ma anche alleanze di diverso tipo tra stati in parte molto diversi stanno formando poli alternativi agli Usa. Secondo, economicamente l'11 settembre coincide con l'inizio della fine del "neoliberalismo", in declino dall'inizio del nuovo secolo. La sua fine fu poi consacrata con la crisi finanziaria globale del 2007-2010. Da allora, nuove forme comunitarie del capitalismo stanno emergendo in tutto il mondo, creando un campo economico e finanziario molto più diversificato e pluriforme.

 

4) E negli altri due campi d'azione, cultura e religione?

Benedikter: Culturalmente, l'11 settembre marca l'inizio di quello che viene oggi chiamata l'era delle "modernità concorrenti" (Martin Jacques), cioè un mondo non più dominato dall'idea di modernità propagata dal mondo occidentale, ma da idee culturalmente molto diverse di che cosa sia "moderno", e quale sia la forma ideale di vita. Per esempio, paesi come la Cina hanno raggiunto un livello tecnologico simile all'Occidente, ma non credono che "moderno" sia equivalente a individualismo, libertà e democrazia, ma a collettivismo, stabilità e armonia. Dall'altro lato, non possiamo nascondere il fatto che gli attentati terroristici sul World Trade Center hanno anche dato vita ad idee come la "battaglia tra le civiltà e le culture" di Samuel P. Huntington, ma anche al rinascimento di quello che Robert N. Bellah ha chiamato la "religione civile" dell'Occidente, cioè la presa di coscienza che valori come libertà e democrazia sono elementi "essenziali", di fatto quasi-religiosi che vanno difesi. Allo stesso tempo, forse il punto più importante, l'11 settembre segna l'inizio della fine dell'era "postmoderna", cioè di un secolarismo e nominalismo culturale esagerato che aveva, sin dagli anni 80 partendo dalla Francia e dalla Germania, visto il mondo come puro construtto della mente umana, negando ogni forma di realismo, e propagando come forma di illuminismo una forma di radicale criticismo nominato "decostruttivismo", misto con ironia come gesto fondamentale di discorso e dialogo pubblico. Questo "paradigma" culturale del Occidente è stato cambiato dagli attacchi dell'11 settembre.

 

5) Come?

Benedikter: Mi ricordo come una settimana dopo gli attacchi, l'intellettuale newyorkese Roger Rosenblatt pubblicò un saggio sulla rivista Time, titolato "L'era dell'ironia si volge alla fine. Non faremo mai più l'errore di non prendere le cose sul serio". In questo saggio, Rosenblatt cercava di dimostrare come il mondo non era fatto di soli costrutti mentali, ma come il dolore e il tormento causati dagli attentati fossero le più immediate realtà interiori, "essenziali" o addirittura "sostanziali" di valore non solo soggettivo, ma di un'essenza spirituale oggettiva. Dunque, la mentalità "postmoderna" puramente costruttivistica (e pertanto molte volte arbitraria) era arrivata ai suoi confini, perché gli attacchi fecero sì che la gente riconoscesse di nuovo il valore di esperienze interiori come realtà oggettive. Questo articolo di Rosenblatt ha poi causato un dibattito generale, per anni interi, sulla relazione tra materialismo, secolarismo, laicismo e religione civile negli Stati Uniti. Ha in ogni caso segnato la fine del "postmodernismo" anche e sopratutto dov'era stato più forte, cioè a New York e sulla East Coast. E questo è un'ironia della storia, se vuole.

 

6) Poi infine, c'era il quarto campo, quello della religione.

Benedikter: Senza dubbio. Allo stesso momento quando constatiamo il rinascimento della religione civile negli Stati Uniti, dobbiamo anche constatare la rinascita globale delle religioni confessionali, e non solo nell'Islam radicale che causò gli attacchi, ma anche in parti del cristianesimo di destra (nuovi fondamentalismi negli Usa), nel confucianesimo, nell'induismo militante. E questo ritorno della religione trova uno dei suoi più potenti simboli esattamente nell'11 settembre. Non dimentichiamo che gli sviluppi in tutti e quattro questi campi coincidono, e si influenzano tra di loro.

 

7) In che senso l'interconnessione tra questi quattro campi tipologici di discorso pubblico (o di "logica sistemica", come dice) è stata cambiata dall'11 settembre, come aveva accennato all'inizio del nostro colloquio?

Benedikter: Tutte le teorie sulla modernizzazione contemporanee partono dal presupposto che uno sviluppo positivo consiste in una sempre più grande autonomia di ognuna di queste quattro logiche dalle altre, cioè in una differenziazione strutturale dei quattro campi tipologici di sviluppo sociale. L'11 settembre ha invece portato al contrario: ad una sempre più grande ed intensa promiscuitá tra i quattro campi di discorso pubblico, e li ha mescolati in maniera così irrazionale che la società americana, e sopratutto il livello del dibattito pubblico, sono entrati in un profondo regresso. È stato un regresso di democrazia, di diritti individuali e collettivi. Infatti, l'era George Bush sarà ricordata non solo per il suo profondo illiberalismo e l'intolleranza culturale, ma anche dalla diminuzione dei diritti dei cittadini americani e dal fatto che due guerre sono state motivate e portate avanti con della retorica che mescolava continuamente logiche religiose con elementi d'interesse economico e politico. È stato il classico caso di un regresso strutturale della democrazia americana, causato dalla commistione delle quttro dimensioni di cui abbiamo parlato. E questo ha avuto degli effetti devastanti non solo sulla democratizzazione globale, ma anche prodotto fenomenologie irritanti come Guantanamo o Abu Ghraib che ancora per decenni nuoceranno le cause della libertà e delle società aperte dell'Occidente.

 

8) Se questo è l'effetto degli attentati a livello globale, qual'è il cambiamento causato dagli attacchi dal punto di vista interiore degli Stati Uniti?

Benedikter: Come il mio collega Richard Sennett della New York University ha giustamente sottolineato, il movimento americano di politica interna probabilmente più influente del presente, la "Tea Party", è di fatto una diretta conseguenza degli eventi dell'11 settembre. È, come dice Sennett, la conseguenza dello shock di allora, una reazione quasi allergica di una parte della popolazione a tutto quello che viene da fuori, una difesa quasi cieca di quello che, secondo la destra, sono i "valori base" degli Stati Uniti. La "Tea Party" raccoglie la destra culturale e politica ed è attualmente la corrente sicuramente più importante all'interno del partito Repubblicano, gli impedisce di essere capace di compromessi. Dunque incide fortemente sulla politica interna degli Usa, per esempio nell'ultima battaglia riguardo il debito pubblico degli Stati Uniti dove il partito Repubblicano era alle soglie della scissione, creando una nuova divisione anche all'interno del popolo americano in toto.

 

9) Cosí un unico evento può cambiare il mondo sia esteriore, sia interiore di un paese?

Benedikter: Non credo che sia così semplice. Non dimentichiamo che si tratta di un evento che non ha causato questi cambiamenti, ma che molto più ne è stato sia un simbolo - probabilmente quello più marcante e conosciuto degli ultimi decenni - e, soprattutto, ne è stato un sintomo. Non si deve fare l'errore di credere che con un atto terroristico si può cambiare il mondo in un'ora; il mondo sarebbe un posto triste se fosse così. Invece in quello che abbiamo descritto si tratta di sviluppi, in tutti e quattro i campi menzionati, che erano già in corso passo per passo, e che l'11 settembre ha in un certo modo riassunto e integrato in un'unica immagine, e sicuramente in certi aspetti anche accelerato. Ma non ha creato questi sviluppi. Pertanto è espressione della sintomatologia storica, non l'origine del mondo nel quale viviamo oggi, o del mondo futuro.

 

10) Raramente si sono notati tante teorie di complotto come nel caso dell'11 settembre. Qualcuno ha addirittura sostenuto l'ipotesi di un secondo "Pearl Harbour", cioè di un evento più simbolico che militare o politico che era nell'interesse degli obiettivi degli Stati Uniti di allora, sotta la presidenza dei coservatori religiosi di Geroge Bush, fortemente conessi con interessi economici (l'industria del petrolio) e militari di natura espansionistica.

Benedikter: La inviterei di non credere mai a nessuna teoria di cospirazione, perché sono tutte false, senza eccezione. Ma la cosa importante, che è un dato di fatto, è che l'11 settembre ha dato inizio a un nuovo, illimitato "unitarismo" nazionale. Cosa intendo con questo? Intendo che il misto dei quattro discorsi, o ordini sistemici, di cui abbiamo parlato ha causato negli Stati Uniti sotto George W. Bush un conformismo ideologico raramente osservato nella storia della democrazia occidentale. Fare politica confondendola con interessi economici e motivandola con discorsi religiosi, cioè tutto ciò che - come sappiamo da Jürgen Habermas e Jacques Derrida, è regressivo per una società aperta - è stato il pane quotidiano dell'amministrazione Bush. Ma se dal punto di vista di un progresso sistemico razionale differenziare, mutualmente emancipare, i quattro tipi di discorsi è bene e significa progresso, mescolarli è regressivo perché diminuisce la libertà e i diritti civili. Ed è esattamente questo che è successo negli Stati Uniti sotto il governo di Bush jr., fortificato dagli attentati, che fino ad oggi, appunto, trova espressione in sintomi come la "Tea Party".

 

11) Come si percepisce l'anniversario degli attacchi negli Stati Uniti di oggi, sotto il nuovo presidente Barack Obama, molto diverso dai Bush? Quali voci, quali punti di vista dominano il dibattito?

Benedikter: L'immaginario pubblico riguardo agli attentati non è ancora cambiato più di tanto. C'è una grande varietà di punti di vista, di tentativi d'interpretazione molto diversi tra di loro. Uno dei motivi principali è la questione: gli attacchi dell'11 settembre sono stati solo un male o hanno prodotto, senza volerlo, più bene per l'America, per il mondo a lungo termine? Questo è uno dei noccioli della discussione pubblica del presente. E come si possono stablizzare, se non addirittura incrementare gli effetti positivi - come, per esempio, il rinascimento della responsabilità comunitaria e del senso pubblico? Le risposte sono molto diverse. Non sono dell'opinione di Sennett che dice che la paura causata dall'11 settembre ha fatto dell'America una nazione più egoistica, dove la gente si è ritirata nella sua conchiglia invece di cooperare e di aiutarsi reciprocamente. Al contrario, sono più vicino a Rosenblatt, come l'ho citato prima. E sono anche più vicino alla visione della filosofa chicagoense Martha Nussbaum la quale sostiene che l'11 settembre ha, da una parte, fatto sì che gli americani si renderessero conto meglio del fatto che c'è un mondo fuori dei loro confini, e dall'altra parte ha creato un dibattito più intenso che mai negli Usa su che cosa possa essere, e come possa essere radicata legalmente una giustizia globale, anche nel senso di un ordine globale più giusto e bilanciato. E infine, per far vedere la varietà degli argomenti e discussioni negli Stati Uniti del presente, il celebre psicologo Steven Pinker sostiene che l'11 settembre passerà alla storia non per l'evento reale, che secondo lui era di secondo o terzo ordine, ma per la psicologia di massa venuta a galla: per aver chiarito che nel mondo moderno la percezione di un evento è più importante dell'evento stesso, e che percezione e sostanza di un evento possono essere diametralmente opposte o sproporzionate. Questa discrepanza poi si è notata anche nella crisi finanziaria del 2007-10, e secondo Pinker è essa che domina il mondo multipolare del XXI secolo. Gli attentati dell'11 settembre questo lo hanno rilevato per la prima volta come fattore globale.

 

12) Il direttore del Corriere della Sera ha scritto dieci anni fa: "Siamo tutti americani? ", con il punto interrogativo, a significare lo stimolo al dibattito tra lettori e studiosi: ora possiamo cancellare il punto interrogativo?

Benedikter: Secondo me sì, nel senso che il celeberrimo studioso francese Alexis de Tocqueville, che fu il primo intellettuale europeo ad analizzare gli Stati Uniti, ha ritenuto con ragione, e vale oggi più che mai: il mondo del futuro, globalizzato dove i popoli si mescoleranno o almeno vivranno in contatti sempre più stretti, sarà "americanizzato" in maniera naturale: conterà non più la razza, la lingua, il colore, la provenienza, o la cultura di appartenenza, ma solo chi sei tu come individuo, cosa credi, cosa vuoi, il tuo carattere e le tue ambizioni, quello che sai fare. Saranno, spero, tutti uguali, e tutti differenti allo stesso tempo. E se questo sarà il caso, questa è la visione sulla quale si basano gli Stati Uniti dal primo giorno della loro fondazione, naturalmente con tutte le contraddizioni e dialettiche quasi necessariamente implicite in una visione del genere. E gli attentati dell'11 settembre, anche se può sembrare un paradosso, a lungo termine potrebbero indirettamente aver contribuito a creare una simile costellazione nascente, perché hanno fatto vedere a tutto il mondo cosa succederà sempre più spesso se questa visione non sarà mondializzata pacificamente. Bisogna vincere il terrorismo non per aiutare gli Stati Uniti come nazione, ma per fare del mondo un posto più simile alla visione positiva che sta all'origine degli Stati Uniti d'America.

 

13) Quali sono i rapporti, se si può dire così in generale, tra il Südtirol (Lei è nato a Brunico, nel 1965) e gli Stati Uniti? Ritiene che la tragedia di dieci anni fa abbia rafforzato i legami tra statunitensi e altoatesini, se si può dire così?

Benedikter: L'Alto Adige oggi negli Stati Uniti viene seguito in primo luogo come modello di pacificazione etnica, per esempio per le aree Kurde, per il Tibet, per parti dell'Europa dell'Est (per esempio la minoranza polacca in Lituania) o del Kosovo. L'interesse è grande, le lezioni dei miei colleghi e mie sulla tematica presso le università americane sono sempre "sold out". Le elite americane, anche a seguito degli attentati sul World Trade Center, si rendono conto che l'intervento militare non è più tutto, ma che ci vogliono anche e sempre più spesso soluzioni giuridico-istituzionali nell'ambito di accordi multilaterali. L'Alto Adige di oggi è un modello globale per tali soluzioni, e lo sarà probabilmente sempre di più, visto che i conflitti etnico-culturali stanno rapidamente aumentando in numero ed intensità, dando prestigio all'Italia che ha istituito questa soluzione esemplare già in una fase che aveva poco a che fare con il mondo che stiamo vivendo dopo l'11 settembre. L'America di Barack Obama è interessata sempre più a tali modelli, perché lei stessa non è in grado di procurare soluzioni in merito, siccome il modello istituzionale degli Usa non prevede alcuna differenziazione istituzionale tra etnie e gruppi culturali e religiosi.

 

14) Come si può immaginare il futuro? Come si evolveranno gli effetti ancora tangibili dell'11 settembre?

Benedikter: Abbiamo bisogno di più cooperazione internazionale tra stati, civilizzazioni e culture diverse, ma anche e sopratutto tra gli Stati Uniti e l'Europa, ovvero tra i due centri della democratizzazione mondiale, in tutti e quattro i campi di azione: politiche, economie, culture, religioni. L'effetto più importante dell'11 settembre secondo me consiste nel fatto di averci dimostrato questo. E questo non è poco, anzi: è tantissimo se ne trarremo le giuste conseguenze. In questo senso, i terroristi senza volerlo hanno contribuito al progresso della globalizzazione a lungo termine. Hanno voluto diffondere il terrore per dividere i popoli e le culture, ma hanno involontariamente creato una coscienza della fondamentale unità dell'umanità del XXI secolo. Per questo, il loro gesto infine si è rivolto contro se stesso. Questo fallimento quasi necessario del male politico e sociale è la notizia buona che oggi possiamo connettere con l'11 settembre e che le future generazioni potranno percepire.