IL CRISTALLO, 2011 LIII 2-3 [stampa]

LA POESIA RELIGIOSA E SOCIALE DI MARIO BEBBER

di SILVANO DEMARCHI

La poesia di don Mario Bebber (cui è dedicato il Premio Nazionale di poesia di Levico Terme) non nasce dal culto della parola ma da un moto vitale d'amore che coinvolge tutte le creature: prima le squadra, le denuda, le mostra spesso in tutte le loro brutture per poterle poi amare, rinnovate dall'amore che consuma e trasforma. In un componimento L'uomo sbagliato, dal tono robusto e tagliente, dice di non poter amare quest'uomo sbagliato che ha negli occhi bagliori di odio («cancellategli l'occhio»), che ha le labbra fameliche («cancellategli la bocca»), che ha le mani che artigliano il cuore («mozzategli le mani»):

 

Perché lo voglio riamare,
cancellatelo tutto
quest'uomo sbagliato.

E ridategli un volto mai visto;
il volto di Cristo.

 

La poesia nasce in Bebber come bisogno di gridare il suo amore per il fratello, specie se ai margini della società, con il volto segnato dalla sofferenza o se lontano da Dio e insieme dal bisogno di dire quanto egli ami il suo Dio, per il quale sa trovare anche - fatto piuttosto raro - nella sua poesia accenti delicati come in questa breve poesia:

 

Sta' zitto! Non senti
Il fiato delle stelle?

Zitto! che Dio s'è addormentato
sopra un letto di stelle.

Buona notte, Signore!

 

Amore, sdegno, denuncia, trasporto dell'anima, tutto confluisce nella forza d'un verso che estraneo agli influssi letterari, sembra trovare nella comunicazione del messaggio la sua ragion d'essere. Quale sia questo messaggio che gli brucia dentro e che per necessità interiore deve comunicare in modo da colpire e quasi stordire il lettore, è facile intenderlo: un cristianesimo riscoperto nella sofferenza, vissuto come redenzione che redime sé e l'altro.

Di qui il suo modo nuovo di guardare la vita estremamente realistico e rivolto a quelle zone da cui lo sguardo umano istintivamente rifugge, e insieme la poetica del grido, che trova la sua più coerente espressione nella raccolta successiva a Poesie d'un prete (da cui sono state tratte le precedenti poesie), L'amore sporca.

Nella prefazione a questo suo secondo libro il poeta scrive, usando un carattere tipografico da manifesto: «Quando leggerete queste parole, avvilite dal libro, pensateci appollaiati su un tetto alto e sgrondato, che gridiamo a tutti quello che è stato inteso sottovoce... Perciò ve ne preghiamo, non leggeteci, gridateci!» Lo stesso titolo, che si ripete in una poesia che si rifà alla parabola del buon samaritano, dice il coraggio che, chi ama autenticamente, deve avere di imbrattarsi, di sporcarsi di sangue e quindi la difficoltà e l'eroismo impliciti nell'amore.

Il poeta non conosce gli oblii e i rapimenti dei lirici estetizzanti e di ciò se ne rende conto:

 

Addio lirica! morta
per il cuore dell'uomo. La vita
ci permette di vivere
senza capire.

 

Conosce invece la divina follia che fu propria di Jacopone o di San Francesco di chi vive in mezzo agli uomini e riconosce in chi soffre la presenza di Cristo, con cui occorre vivere e camminare, tanto che vorrebbe piantare una tenda sull'asfalto, alzare il suo Tabor su un marciapiedi. In questa prospettiva di amore pieno e indiscriminato, Bebber passa in rassegna eventi e persone che non hanno avuto una storia: la strage di Longarone, divenuta «necropoli di Dio», il negro che ha il solo torto di aver avuto «un colore sbagliato», il prete insidiato dal fariseismo di sempre per aver parlato con una prostituta, l'alluvione accaduta nel Trentino che ha tolto al contadino «l'ultima vacca» e ora come Noè - ma in un'arca sfasciata - aspetta l'arcobaleno, l'emigrante così incisivamente ritratto in questa strofa:

 

La tua casa ti disse: vattene!
e tu sei andato, guardando
tutte le case. Forse
qualcuna era come la tua.

 

Sono persone ed eventi che popolano la sua poesia che hanno tutti in comune il marchio bruciante del dolore. Come si vede, lo stile di Bebber, tutto cose, aspro, sanguigno, graffiante, percorso da un fremito incontenibile che incide, raggiunge una sua pienezza sia sul piano formale che dei contenuti, perché il contenuto trabocca nella forma con la sua forza eversiva e impetuosa dando luogo a similitudini ardite, a immagini potenti.

Tutto ciò svelerebbe una concezione cupamente tragica della vita, se non fosse sempre presente la speranza cristiana.

Il Dio di Bebber non è il dio astratto dei teologi, né il rifugio consolatorio di quanti credono per convenzione o necessità psicologica, è il dio incarnato in tutti quelli che soffrono, come dice il passo evangelico: «ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato.» Ci sembra che proprio questo sia il passo che il poeta ha tenuto maggiormente presente.

 

Per riuscire ad amarti
dovrò di certo scalare
l'irto costato d'un Prossimo.

Perché ti nascondi
dietro lo splendido sporco
di questa giogaia
o Dio immacolato?

 

Don Mario Bebber lasciò un gran numero di ammiratori, sia per la sua vita tutta dedita alla carità e al Vangelo, che per la sua robusta poesia, destinata a scuotere gli animi, tanto che il Comune di Levico Terme da molti anni bandisce un Premio Nazionale di Poesia col suo nome. Il critico e poeta Renzo Francescotti nel 2009 gli ha dedicato un saggio (Mario Bebber, bardo di Dio, ed. Il Margine, Trento) ricco di notizie biografiche e di analisi della sua poesia, per renderlo più conosciuto nel panorama della poesia religiosa nazionale, accanto ai nomi di Clemente Rebora e di Davide Maria Turoldo.

 

 

NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA

 

Mario Bebber, nato a Levico in Valsugana nel 1922, morì stroncato da infarto nel 1975. Sacerdote e insegnante negli istituti superiori, pubblicò Poesie di un prete (1964), L'amore sporca (1968), L'ultimo viaggio (1976, postumo).