IL CRISTALLO, 2011 LIII 2-3 [stampa]

"IO GIÀ SENTO PRIMAVERA" DI SALVATORE QUASIMODO. ANALISI STILISTICA E SEMANTICA.

di ENY V. DI IORIO

Io già sento primavera

che s'avvicina coi suoi fiori:

versatemi presto una tazza di vino dolcissimo.

 

La purezza dell'immagine di questa poesia (di Alceo, VII sec. a. C.), si rifà alle figure classiche, che per Salvatore Quasimodo (1901-1968), sono una grande fonte d'ispirazione. La sua è una traduzione creativa e non letterale del greco antico. La forma metrica dei versi è di varia misura, un novenario, un decasillabo, e un terzo verso, lunghissimo, di diciassette sillabe (un senario e un endecasillabo); i tre versi sono coordinati con un lessico semplice e ridotto all'essenziale, ma ricco di allusioni. Nel rileggere varie volte questa poesia il lettore si rende conto della poliedricità di significati, e di contenuti, che variano continuamente secondo la sua capacità di individuarli. Perciò a ogni lettura cambia il parere del lettore, il quale interpreta in maniera sempre diversa quello che il significato medesimo delle parole gli suggerisce. Un gioco di parole, o un calembour esistenziale? L'uno e l'altro. Il lettore è di fronte a un gioco caleidoscopico di immagini particolari, che l'autore ha creato per sé intenzionalmente, che provoca un'alternanza di sensazioni senza la certezza di afferrare il senso concreto del pensiero poetico.

Questa lettura si avvale di alcuni strumenti linguistici: l'analisi testuale e stilistica e l'interpretazione semantica di ciascun verso; il narratore omodiegetico di questa poesia, una persona che non rivela il suo nome, c'informa dell'approssimarsi della nuova stagione, la quale è celebrata attraverso i sensi e le sensazioni auditive, visive e olfattive. Il senso complessivo si ricava da alcune parole chiave, come: Io, primavera, fiori, vino, che sono piene di corrispondenze, di consonanze, allitterazioni e di suoni vocalici. La voce del poeta esprime una forte sensibilità per la vita, in particolare coinvolge il lettore e gli suggerisce che le parole non sono fine a se stesse, ma hanno un' ulteriore significato, che è presente nella disposizione metrica delle vocali, delle consonanti, di ogni singola parola, per rapporto alle altre, nel contesto del verso. Generalmente il lettore coglie il senso generale, un senso olistico, che si basa su un'unica immagine complessiva che non è scomposta in più parti; il poeta considera la poesia come un tutt'uno armonico, in cui ogni parte è in relazione con l'altra, superando la concezione di misura e di proporzione dei versi; mentre in realtà essa racchiude una moltitudine di suoni e forme, per cui ogni suono, ogni vocale, ogni parola, si collega all'insieme, al corpo della poesia, un corpo che esiste e si manifesta attraverso l'udito e la vista. Soprattutto l'udito senza il quale ogni lettura non può dirsi completa.

Se si guarda attentamente alla distribuzione fonologica e al formato stilistico di ciascun verso, si nota che ogni parte è correlata all'insieme simmetricamente e rimanda ad un'ulteriore funzione semantica. Il significato che poi se ne deduce non è dovuto alla casualità o alla caratteristica accidentale che spesso hanno i segni fonetici. I suoni e le parole sono riposti con intenzionalità per cui è volontà del poeta la creazione di un'aura magica, di un ambiente fantastico; per la sua potenza immaginativa e rappresentativa la poesia mira ad una misteriosa fusione tra naturale e artificiale, tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere.

Nel primo verso: Io già sento primavera, le vocali io-ia-eo-ia-ea si ripetono nel modo seguente: i = 3; o = 2; a = 3; e = 2; si nota la fusione fonetica Io-già, in cui: i introduce il personaggio, Io, un essere immanente, dentro e non fuori della realtà; a accentuata, annuncia il sintagma verbale Io-già-sento; questo verso potrebbe essere un ottosillabo o un decasillabo, per effetto della sineresi o della dieresi (o anche per effetto di due vocali che normalmente costituiscono dittongo ma che formano invece uno iato): nei dittonghi discendenti o ascendenti Io, già, si può avere separazione (i-o, gi-à) oppure soppressione (io-già=iogià) di un suono vocalico o semi-vocalico, sillabico o monosillabico; la vocale i può essere considerata un segno diacritico (per es. nel greco antico per distinguere la lettera dal numerale che essa rappresenta), un segno distintivo che cambia il computo delle sillabe. Se si considera la o di Io ci si accorge che essa è intermediaria, quasi passa inosservata, io-già (bisillabico), o già, monosillabo con dittongo ascendente. Un Io lirico, che sente già la primavera, che s'interfaccia con un percorso fonico e semantico: io, qui, già, la sento, la primavera. Il poeta offre al lettore l'immagine del suo sentimento, stabilisce un contatto sonoro, e visivo, per lo più psicologico, tra sé (Io) e il mondo esterno (primavera).

Successivamente si nota che egli è immobile, sente "primavera" che s'avvicina coi suoi fiori: la disposizione interna delle vocali ai-ia, oi- (u) oi-io-i rimanda ad una forma simmetrica della distribuzione dei suoni, una difonia arbitraria, causata per l'incrocio di tonalità simultanee (ad altezze diverse), tra gruppi di vocali sinonimi; la disposizione allude ad una forma surreale della rappresentazione: il poeta subisce il fascino della scrittura libera, il suo desiderio (sento) si confà con la tentazione di vedere effettivamente che c'è qualcuno che s'avvicina a lui: forse un'apparizione surreale, un'immagine finta, non vera. In questo verso il poeta crea un effetto contrario per rapporto al primo verso. La vocale i si ripete con una progressione costante: a = 2: o = 3; i = 6. Se si rilegge immediatamente il verso Io-già-sento-primavera, facendo attenzione alla ripetizione delle vocali e degli accenti, la rotondità della o si lega alla chiusura della i, per planare sulla a aperta, cioè: io-già-sen-to-pri-ma-ve-ra-che-s'av-vi-ci-na; la sillabazione segue la scansione metrica, e coincide con il desiderio del poeta di vedere primavera. In primavera egli ripone tutte le sensazioni che l'immagine può suggerirgli; un ordine generale di colori e odori; ed ecco perché la frequenza e l'alternarsi di larghi suoni, o e a. Così le sensazioni collimano con l'articolazione, sono più prolungate, ormai egli intravvede primavera. Il poeta si sofferma sulla focalizzazione dell'immagine chiave del verso, primavera, abbinata ai suoi fiori, un rapporto metonimico con la natura, perché sono i suoi fiori, quelli di primavera, che per analogia rappresenta tanti fiori.

L'ambivalenza dei suoni data dai due primi versi è interrotta da due punti, che è una sospensione: la ripetizione della vocale i culmina nella riflessione che il poeta si concede per rievocare il suo stato d'animo nell'approssimarsi di primavera, che anticipa il terzo verso: versatemi presto una tazza di vino dolcissimo: ea-ei-eo- (ua) -aa-i-io-oi-io: per la prima volta il numero delle vocali e dei fonemi sono quasi identici e formano un equilibrio semantico: i = 5; o = 4; a = 4; e = 3; la necessità dei sensi di festeggiare (la) primavera corrisponde al desiderio di comunicare la gioia che ne deriva nel bere una tazza di vino. Non a caso la i si alterna con la o, e insieme formano delle sequenze palindrome di suoni e di significati nel desiderio di gustare: una tazza di-vi-no-dol-cis-si-mo. Un dolcissimo che il poeta conosce bene, poiché desidera "riassaggiare" la sensazione di quel vino dolce, abbinando la presenza di primavera e la tazza di vino dolcissimo. Il poeta termina il verso con dolcissimo, con la bevanda zuccherata che lo sazia anche dal suo desiderio d'inebriarsi. In questo caso la funzione del vino dolcissimo è un sintagma nominale che allude al suo corpo, perché egli desidera il vino dolcissimo di primavera, e non soltanto per il sapore dolcissimo del vino.

La ripetizione e l'alternanza delle vocali indicano che il poeta ha calcolato le sue parole, o che le sue sensazioni sono poste in un determinato numero di vocali:

 

primo verso secondo verso terzo verso
a = 3 a = 2 a = 4
o = 2 o = 3 o = 4
e = 2 e = 1 e = 3
i = 3 i = 6 i = 5

 

Con questi dati si può affermare che nel primo verso vi è un'opposizione di forze sonore, oa verso l'alto e ei verso il basso, simmetricamente equidistanti, che indica chiaramente lo stato psicologico del poeta; l'ambivalenza sonora manifesta il suo desiderio di sentirsi vicino a primavera. Nel secondo verso la ricerca visiva si fa più esplicita: primavera, oggetto del desiderio espresso nel primo verso si realizza nella visione di una figura che s'avvicina coi suoi fiori; nel terzo verso, la supplica a un numero di presenti che il poeta non ritiene necessario svelare: (voi) versatemi presto una tazza di vino dolcissimo, lascia intendere al lettore che il poeta, o la voce narrante (in questo caso potrebbe essere una voce extradiegetica, un narratore che si comporta come se fosse l'autore empirico) non è solo, forse la poesia gli è (stata) riferita da qualcuno che la racconta a lui ed a altri, conosce l'ambiente, ed è conosciuto, in quanto non deve specificare il nome del vino, ma soltanto quello dolcissimo, quello che beve abitualmente; il verbo e il contenuto, il significato e il significante rappresentano un equilibrio semantico finalmente raggiunto, determinato dalla sinergia di suoni, di parole che annunciano la fusione sia del senso olfattivo sia visuale del vino in una tazza (di terracotta, probabile traduzione dal greco), e non un bicchiere (di vetro); si crea un magnetismo tra le parole, un legame stretto tra le parole, che rende inseparabile l'immagine di unatazza-divino-dolcissimo.

Questa lettura stilistica si sofferma brevemente sulle suggestioni delle sonorità consonantiche, per notare la frequenza delle s, delle t, e della v, nonché della r, tutte in posizione di sostegno del suono vocalico. Basti qui rilevare che le doppie v, s, z (s'avvicina, tazza, dolcissimo) caratterizzano un momento topico della percezione poetica: producono sospensione, accelerazione, e indicano il passaggio di un senso a un altro.

Se ora si rilegge la poesia, si nota subito che, per esserci "disincantati" della sonorità magica dei versi, Io già sento primavera che s'avvicina, potrebbe significare Io già sento Lei che s'avvicina, cioè, Lei, primavera, è una "persona" che s'avvicina al poeta. Tutto lo sviluppo simbolico (della primavera con i fiori che cammina), è il frutto di un intenso processo allegorico, lo sforzo del poeta di rendere il lettore partecipe, di "sentire" assieme a lui, primavera, e in sé, la manifestazione della natura. La costruzione retta da già e da presto (o prestouna, per effetto della sinalefe), allude a due sensazioni precise: la prima evoca il passato, la seconda il futuro, entrambi rendono esplicito i tempi focali della poesia: l'inizio della sensazione e il suo compimento. Sia già e sia presto si dispongono singolarmente con un rapporto di complementarietà e non di opposizione, qui il passato non si oppone al futuro, ma lo annuncia, in quanto entrambi sono soggetti ai sensi, e sono in grado di trasmettere le sensazioni di una primavera che s'avvicina.

Nel riprendere quanto si è detto all'inizio di questa lettura, l'udito si rivela una spia che illumina l'intimità del poeta, suggerisce al lettore che anch'egli può essere partecipe della sua sensazione. Accogliendo questo richiamo, si ha la percezione di leggere i versi, come li ha sentiti il poeta, raggiungendo o in parte o in tutto le sue sensazioni. Anche il lettore avverte quello che sente il poeta, può de-re-costruire non soltanto il senso spirituale ma anche la realtà che precede l'arrivo di primavera. Se si considera la creazione uditiva della lettura, si arriva per gradi al sentimento del poeta, a quell'immagine che il poeta ha saputo trasmettere di se stesso. Quindi anche per il lettore: io sento o io vedo (la) primavera, cioè primavera io la sento (sento lei), si accompagna alla percezione dei suoni che i versi evocano, ed è quindi naturale affermare empaticamente Io sento primavera, cioè io lettore comunico con la sensazione di sentirmi "in" e "con" primavera.

La poesia nel suo insieme presenta un caso enigmatico rappresentato dall'adynaton, una figura retorica, frequente soprattutto nella poesia classica, mediante la quale il poeta dichiara che un fatto potrebbe avverarsi, sempre che si verifichi prima un altro fatto ritenuto improbabile: versatemi presto una tazza di vino dolcissimo, affermando così in maniera implicita che forse il fatto espresso nel primo verso non potrà accadere, cioè Io già sento primavera; ma il poeta capovolge l'immagine poetica, egli vede primavera allo specchio, e come tale la sente, perché in realtà egli vede primavera che s'avvicina coi suoi fiori. La contraddizione interna è data dall'immagine sinestetica suggerita da Io sento i fiori, in quanto il poeta vede riflessa la figura coi suoi fiori ma non può sentire il profumo dei fiori; dal momento che sarebbe stato più appropriato affermare: Io vedo primavera (avvicinarsi) coi suoi fiori. La sinestesia poetica designa un fenomeno psichico, nel quale il poeta sente (o vede) una moltitudine di sensazioni (auditiva, visiva, olfattiva, ecc.), in concomitanza con una percezione di natura sensoriale diversa, in particolare, nell'insorgenza di una sensazione auditiva-olfattiva, in cui collega un'audizione colorata (sento primavera, vino dolcissimo), a una sensazione tattile, termica di calore/colore, odore/sapore, che deriva dal desiderio di bere una tazza-divino-dolcissimo.

Per un poeta ermetico è normale nascondere un elemento chiave nella sua opera, di farlo affiorare attraverso varie chiavi di lettura. Il poeta sotto un'immagine ne adombra un'altra, quindi non è una stranezza che vi siano elementi nascosti nella poesia, e altri che noi, lettori e critici, non abbiamo notato, ed è del tutto normale che la poesia abbia due facce, una esplicita ed una implicita, destinata ad essere colta soltanto da alcuni, e a volte sempre diversa, secondo le varie tecniche esegetiche. I versi sono una testimonianza dello spirito del poeta, sono essi che celano qualcosa di segreto, o almeno di non evidente, che rendono difficile affermare le intenzioni, le motivazioni dell'autore; capire, ad esempio, se il significato latente sia o no voluto dal poeta, oppure se i versi indicano una precisa volontà del poeta di rivolgersi intenzionalmente con i suoi messaggi celati a pochi adepti di una realtà cui egli appartiene, una sorta di confraternita di iniziati. Quest'ultimo aspetto esegetico può chiarirci maggiormente, se non del tutto, la visione poetica di questo straordinario poeta che è Salvatore Quasimodo.

Questa poesia è ricca di simbologia poetica; lo studio dei suoni e dei suoi aspetti stilistici e semantici presenta un rapporto fantastico con la realtà. Quasimodo crea la sua visione poetica attraverso un linguaggio ermetico, spesso ricorre all'analogia, tende ad abolire i nessi logici tra le parole. I suoni e le sensazioni sono indissolubilmente legati tra loro, al punto che la poesia racchiude in sé agenti motori, sensoriali, attività dello spirito, che permettono la completezza dell'espressività poetica: udibilità e visibilità dell'immagine poetica, cioè la transizione dell'immagine al concetto lirico. Attraverso un processo metaforico traduttivo, il poeta evoca una realtà fatta di cose, di esperienze passate, di ricordi e forse di persone a lui care, un'attività comparabile a un fenomeno-metafora come luogo (topos o tropo) d'incontro, di sintesi e di fusione, tra lo spirito del poeta-traduttore e la natura, per cui una stessa espressione soddisfa più linguaggi contemporaneamente.

La traduzione poetica di Quasimodo è il frutto di un fenomeno empatico che chiama il lettore ad immedesimarsi, e a condividere con lui la partecipazione intima attraverso la quale si realizza il pensiero poetico, per comprendere le modulazioni, le scelte ritmiche, lessicali, e sintattiche personali, anzi personalissime, che rappresentano l'aspirazione a una poesia rigorosa e pura. Il traduttore-poeta allude sempre a un linguaggio metatestuale che congiunge l'immediatezza della lirica greca alla malleabilità della lingua italiana, con lampi di una cultura antica in un formato nuovo, fedele allo spirito classico, eppure modernissimo.