IL CRISTALLO, 2011 LIII 2-3 [stampa]

SANDRO OTTONI, Undici traslochi. Vita di Gemma, Edizioni Alphabeta Verlag, 2011, pp. 137

recensione di GIORGIO ACCARDO

Cominciamo col dire che il libro di Ottoni non è un romanzo, e questo per evidenziare non un difetto ma un pregio, il valore aggiunto, vorrei dire, perché quella che leggerete è una storia vera, dolorosamente vera. È la storia di Gemma Cressotti, madre dell'autore, un'anziana bolzanina che in un momento avanzato della sua vita ha deciso di raccontarne alcuni passaggi fondamentali, per «lasciarla ai nipoti», più che ai figli, ovvero alle giovani generazioni. Un libro che è dunque una pagina di vita vissuta, personale e intima, eppure allo stesso tempo anche una pagina di storia contemporanea, importante per conoscere la vicenda della comunità italiana di Bolzano, narrata nella sua quotidianità e in alcuni degli snodi fondamentali.

Gemma arriva a Bolzano da Brenzone, un paesino del Lago di Garda, insieme alla mamma e ai suoi fratelli, nell'aprile del 1940, quando ha nove anni. Il padre e lo zio erano emigrati due anni prima, spinti dalla povertà del luogo d'origine e attratti dalla zona industriale di Bolzano, che dava lavoro alle tante famiglie povere emigrate dalle regioni confinanti, contribuendo a realizzare il sogno fascista di fare dell'Alto Adige una terra italiana. Va a vivere in via Udine, in quello che ufficialmente era stato battezzato "Rione Dux", ma che tutti chiamavano "Semi-rurali". Pochi mesi dopo, il 10 giugno 1940, Mussolini annuncia l'entrata in guerra dell'Italia. Il racconto di Gemma riporta allora la vita e le sofferenze della città in quegli anni, le sirene d'allarme e le fughe nei rifugi come la galleria del Virgolo e vari altri, poi l'occupazione nazista di Bolzano l'8 settembre del '43 e i terribili bombardamenti che seguirono nei due lunghi anni successivi.

È il 3 maggio del 1945 quando in città arriva l'annuncio che Trento è stata liberata, gli Alleati stanno arrivando e le truppe della Wermacht iniziano a smobilitare. Il padre di Gemma torna a casa trafelato per dire ai suoi familiari di stare attenti, di chiudersi in casa perché in città si stanno verificando disordini; infatti, gruppi di partigiani improvvisati sparano ai tedeschi in fuga. Bortolo non fa neppure in tempo a finire il suo discorso che un proiettile arrivato dalla strada lo colpisce a morte. La mattina dopo, durante la cerimonia funebre nella cappella militare di via Druso, Gemma conta cinquantaquattro bare: sono le vittime di quella giornata di violenza insensata, proprio quando la guerra è finita.

Ma sono tante le testimonianze importanti che il lettore incontrerà nel libro: l'esplosione della polveriera di Castel Firmiano, i prigionieri del lager che da via Resia attraversavano il quartiere fino ai bagni pubblici di via Torino, il razionamento e la fame, le lunghe code per procurarsi da mangiare. E tuttavia, con la fine della guerra, la città rinasce, si aprono nuove possibilità di lavoro, e torna la voglia di vivere, ora andando a divertirsi nelle balere, ora a vedere le nuove merci alla Fiera in via Roma, o agli spettacoli teatrali nei rioni, spostandosi finalmente con i primi autobus pubblici della SASA. E poi di seguito gli anni Cinquanta e Sessanta, in cui la vita di Gemma dovrà fare i conti con la continua ricerca di lavoro e i ripetuti traslochi, ora desiderati e ora subiti, inclusa l'esecuzione brutale di uno sfratto esecutivo. E ancora l'amore, il matrimonio e la nascita dei figli, i sogni e la speranza di un'emancipazione sempre inseguita e mai pienamente raggiunta.

Un libro che consiglio di leggere e far leggere, alle persone anziane perché ritroveranno un mondo che hanno conosciuto direttamente, e ancor più ai giovani, per conoscere il passato di questa città e la dura vita dei loro nonni. Un libro commovente senza essere retorico, sincero e appassionato, persino coraggioso, perché in un'epoca come la nostra, segnata dalla voglia di essere belli e vincenti ad ogni costo, ci vuole coraggio a parlare della povertà e mettere a nudo le proprie sconfitte.