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IL CRISTALLO aprile 2020 - light edition

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  Maurizio Ferrandi     La politica altoatesina al tempo della pandemia   

Caro virus ti scrivo

Scrivo, su gentile richiesta degli amici de Il Cristallo, queste note sul tema della politica altoatesina ai tempi della pandemia. Lo faccio, e me ne scuso con i lettori, ben sapendo dei limiti di quest’analisi. È come se ad un critico teatrale si chiedesse di analizzare uno spettacolo scrivendone tra il primo e il secondo atto. Si può dire qualcosa di approssimativo, ben sapendo che si rischia di essere smentiti dal prosieguo di eventi che hanno assunto, mai come in questa contingenza, un ritmo imprevedibile. Con questa inevitabile premessa, passo allo svolgimento del tema.
 

Non sappiamo dunque, se non per approssimazioni assai confuse e del tutto parziali, sbagliate probabilmente, in che mondo ci ritroveremo quando questa tempesta sarà passata, in parte o del tutto. Sappiamo bene, in compenso, come tutta la faccenda è cominciata. Nel giro di qualche giorno, tra la fine di febbraio e gli inizi di marzo, è come se tutti ci fossimo ritrovati ad essere protagonisti della favola antica della bella addormentata nel bosco, quando un regno intero viene sospeso nel tempo, in un sonno senza sogni, in attesa che qualcosa avvenga e che tutti possano tornare alla loro vita normale come se nulla fosse successo. Un’altra cosa che sappiamo è che la favola, nel caso nostro, non si avvererà.

Ad entrare nel freezer degli arresti domiciliari causa coronavirus anche il piccolo mondo della politica altoatesina, sorpreso, come il resto della civile società umana, da un avvenimento imprevedibile, sottovalutato nei suoi effetti all’inizio, percepito con crescente paura e confusione poi.

Era un mondo aggrovigliato, in quelle settimane e in quei giorni, attorno ad un tema fondamentale, quello delle elezioni comunali che avrebbero dovuto svolgersi domenica 3 maggio, e ad alcune altre questioni, di minore urgenza ma non di minore importanza.

Un’antivigilia piena più di dubbi che di certezze, quella in vista del traguardo elettorale. I dubbi erano ad esempio quelli della Lega salviniana sul candidato da proporre e la strategia da seguire per tentare di trasformare in successo elettorale la conquista, finalmente, dell’ufficio al primo piano di piazza Municipio a Bolzano. Altri dubbi e altre ambiguità quelli della Südtiroler Volkspartei, tentata, in alcune sue componenti, di trasportare anche nella città capoluogo l’esperimento riuscito, sino a quel punto, in Provincia, ma alle prese col problema di dare il benservito ad un alleato pluridecennale come il centrosinistra e ad un sindaco tutto sommato gradito come Renzo Caramaschi. I dubbi di quest’ultimo, apparentemente convinto delle sue buone ragioni per mettere alla porta un possibile alleato come il Team K, ma conscio di avere nella SVP un partner fortemente tentato dall’adulterio. Incertezza a Bolzano, ma quadro tutt’altro che chiaro e definito anche nei centri della periferia, con Merano a riproporre il testa a testa tra Verdi e Südtiroler Volkspartei e Laives pronta a riconfermare l’uscente Christian Bianchi.

Le grandi manovre in vista delle elezioni comunali non sono state l’unico aspetto dell’attività politica ad essere, in un certo senso, congelato quando l’inverno già prometteva di trasformarsi in una precoce primavera. Il blocco si è esteso e un po’ tutte le tematiche che, sino a qualche giorno prima, avevano tenuto banco ora appaiono improvvisamente scomparse dall’agenda. Dalla fine di febbraio in poi, in pratica, l’attività delle varie forze politiche o dei singoli esponenti che la rappresentano si è concentrata unicamente sull’analisi, a volte anche fortemente critica, dei provvedimenti che, rimbalzando da Bolzano a Roma, venivano progressivamente adottati per far fronte, in un modo o nell’altro, all’emergenza. Tutto il resto pare necessariamente destinato a passare agli archivi e a rimanere provvisoriamente sospeso in attesa di tempi migliori o forse anche peggiori.

Alcuni esempi.

La politica altoatesina, ad esempio, deve fare i conti con le cupe prospettive determinate dal blocco totale del turismo, il settore economico che ha garantito alla provincia, negli ultimi decenni, uno sviluppo a tratti tumultuoso e apparentemente inarrestabile. Non vi è dubbio che a portare in provincia di Bolzano il contagio siano stati, tra la fine di febbraio e gli inizi di marzo, gli ospiti arrivati nelle località sciistiche anche a seguito delle prime chiusure determinate nei grandi centri del Veneto e della Lombardia. È durato lo spazio di qualche giorno il tentativo, deprecabile ma solo a posteriori, di offrire addirittura pacchetti scontati per gli ospiti provenienti da fuori. Poi è arrivata la tegola dei ricercatori germanici che hanno puntato il dito sui frequentatori delle località altoatesine di ritorno nel loro paese, come possibili veicoli dell’infezione. Infine, con un totale capovolgimento di fronte, l’ukaze del governatore Arno Kompatscher ben deciso a far sloggiare dalle seconde case o dagli appartamenti in affitto tutti i non residenti e che gli ha procurato una pubblicità negativa notevole, anche se poi il suo esempio è stato seguito, con metodi e proclami assai più radicali da molti altri amministratori locali italiani ed europei.

Al di là di questa catena di notizie resta, tra gli operatori del settore ma non solo, la profonda inquietudine per come potrà evolversi la situazione una volta cessata la fase più acuta della pandemia. Ci sono attività economiche che dovranno in qualche modo riprendere, ma quello turistico è un settore che dipende da scelte che non rientrano tra le necessità irrinunciabili e fondamentali. Si va in vacanza, si entra in un bar o in un ristorante, si fanno delle scelte sulla base di motivazioni squisitamente individuali, che risentono in modo particolare dei gusti, degli umori, dei timori evocati dalle vicende più o meno drammatiche che investono il mondo. Un fenomeno che, negli anni passati, aveva colpito duramente le economie turistiche di paesi che, a ragione o a torto, venivano indicati come luoghi pericolosi a causa dell’ondata di attentati terroristici. A poco erano serviti gli appelli degli operatori turistici di quei luoghi esotici, tutti impegnati a spiegare come il pericolo, nei loro alberghi non fosse poi tanto diverso da quello che si correva in una qualunque città dell’Europa. La paura non teneva in gran conto la logica e le statistiche e così una massa di turisti alla ricerca di svago, ma anche di tranquillità e sicurezza, aveva cambiato destinazione, venendo a privilegiare tra l’altro anche località come quelle altoatesine, che di questo stato di cose avevano beneficiato non poco.

Ora la ruota del destino ha compiuto un altro giro e davvero non si sa quando e in che misura l’allarme pandemico smetterà di avere i suoi effetti. Per l’economia altoatesina è un affare da miliardi che non riguarda solo chi offre pernottamenti, pranzi e ristori vari, ma che si estende anche a tutta una serie di servizi. Covid 19 ha colto il settore turistico altoatesino in una fase di forte espansione. Sulla base di una crescita costante, in alcuni momenti anche impetuosa, delle presenze si sono realizzati, ad onta dei tentativi invero piuttosto timidi di arginare il fenomeno, investimenti cospicui con l’utilizzo massiccio del credito. Improvvisamente la congiuntura è cambiata e ora bisognerà rifare daccapo tutti i conti. In una situazione di questo genere andrebbero ripensate anche le strategie in base alle quali sono stati in molti a salutare quasi con gioia la chiusura di qualche fabbrica, esemplare il caso della Solland di Sinigo, invocando come ideale la monocultura turistica perfetto pendant di quella agricola.

Il tema del turismo trascina con sé inevitabilmente quello delle infrastrutture di collegamento. Una delle questioni che lo scoppio dell’epidemia ha lasciato irrisolte, ma che inevitabilmente, prima o poi, dovranno tornare sul tavolo della politica è quella della concessione della A22. Da un decennio almeno appare scontato che si possa, senza incorrere in qualche veto a carattere comunitario, evitare di bandire una gara internazionale per il rinnovo della concessione stessa, affidando l’esercizio dell’autostrada del Brennero ad una società a capitale totalmente o quasi totalmente pubblico.

L’intero ingranaggio è andato ad incepparsi tuttavia su una serie di questioni minori dal punto di vista giuridico e politico ma non meno rilevanti, ad esempio, sul piano economico. Sullo sfondo del problema autostrada resta quello della prosecuzione e nel completamento della colossale opera per il raddoppio della ferrovia tra la Baviera e Verona, del quale il tunnel del Brennero è parte essenziale. Occorrerà vedere se, nel nuovo assetto economico e politico del dopo virus, saranno superate o accresciute le perplessità manifestate proprio sul finire del 2019 da parte germanica, con una Baviera da sempre poco interessata a farsi parte diligente per spostare su rotaia almeno una parte dei traffici convogliati in direzione sud. Sullo stesso tavolo resta la questione delle limitazioni al traffico pesante che l’Austria ha imposto sull’asse del Brennero e che pareva intenzionata a mantenere a tutti i costi nonostante le pressioni in senso contrario da parte italiana e germanica. Un problema, quest’ultimo, sul quale la politica altoatesina e quella trentina si sono mosse, una volta di più, su direttrici del tutto divergenti, con Trento a sostenere le posizioni dell’economia e soprattutto degli autotrasportatori totalmente contrari alla politica austriaca e Bolzano più vicina, anche se con toni concilianti, alle posizioni tirolesi. Una divaricazione che ritorna, pari pari, su un’altra questione collegata sempre alla rete autostradale. La giunta leghista del Trentino pare intenzionata a dare via libera al completamento della Valdastico, mentre sia pur quasi di sfuggita, qualche esponente politico altoatesino ha persino tentato di rimettere in circolazione il vecchio progetto, sia pur rivisitato, della Autostrada di Alemagna.

Su tutto questo groviglio di iniziative ferme o in movimento, passate, presenti o future, vola il problema dello scalo aeroportuale di Bolzano, con la ripresa dei voli programmata per la tarda primavera, ma con un’opposizione, di carattere politico e giuridico al tempo stesso, da parte delle popolazioni delle zone situate a sud della struttura che non accenna a diminuire e che si fa forte del risultato del referendum con il quale fu bocciata grande maggioranza ogni ipotesi di sostegno pubblico all’infrastruttura.

Il problema dei collegamenti da e per l’Alto Adige comprende infine, e non è questione da poco, anche quello dello smaltimento del traffico all’interno del capoluogo, altro tema chiave di una campagna elettorale ben chiusa in frigorifero.

Un altro punto di notevole importanza sull’agenda politica delle questioni aperte tra Roma, Bolzano e Trento sul quale le due province autonome sono apparse su posizioni diametralmente diverse è quello dei rapporti finanziari. La giunta trentina ha annunciato di voler ridiscutere globalmente con il Governo l’accordo sulla compartecipazione dei due enti locali al ripiano del deficit statale. Un contributo di solidarietà che, secondo il Presidente Fugatti andrebbe quanto meno drasticamente ridotto. Di avviso totalmente diverso, in una prima fase della trattativa, Arno Kompatscher secondo il quale l’idea di riaprire il contenzioso che era stato chiuso dopo una lunga fase di trattative politiche a partire dall’Accordo di Milano del 2009 presenta notevolissimi rischi. Bolzano pare muoversi invece per introdurre nella materia la cosiddetta “clausola di neutralità” in modo da sterilizzare per quanto possibile l’effetto negativo della caduta delle entrate fiscali, a causa della difficile congiuntura economica, sui trasferimenti finanziari dallo Stato alla Provincia.

I fattori di scollamento tra le posizioni trentine e altoatesine vanno sicuramente ad incidere anche su una questione di fondo che non è propriamente in cima alla lista delle priorità politiche in questa fase di emergenza e non lo sarà probabilmente neppure dopo, nei momenti immediatamente successivi, ma che resta come un’ipoteca pesante sulle future relazioni tra i due enti provinciali e tra le forze politiche che li guidano. Proprio a metà febbraio il Presidente della Provincia di Bolzano, che per la prima metà della legislatura occupa tra l’altro anche il ruolo apicale nella Giunta regionale, ha affermato che “così com’è congegnata la Regione non ha un futuro” aggiungendo poi che “la Regione va ripensata al più presto, le competenze legislative e amministrative dovrebbero passare alle province, mentre questa dovrebbe diventare il punto di raccordo tra le due autonomie”. Un de profundis tutt’altro che originale nell’armamentario dialettico e politico degli esponenti della Südtiroler Volkspartei, che da decenni, con una coerenza che sarebbe ingiusto non riconoscere loro predicano la necessità di abolire definitivamente l’istituto regionale o di conservarlo solo come una sorta di strumento privo di poteri politici e destinato solo a fungere da tavolo di discussione e di confronto tra le due realtà provinciali. L’uscita del presidente altoatesino ha provocato, come prevedibile, una serie di reazioni piuttosto marcate nel Trentino, mentre in Alto Adige il tema è parso, come sempre anche in passato, non suscitare il benché minimo interesse. La questione evidentemente è legata all’ipotesi di una possibile revisione dello statuto di autonomia, accantonata come progetto politico dopo il fallimento della riforma voluta da Matteo Renzi, ma che potrebbe rispuntare qualora il tema dei rapporti tra autonomie e Stato centrale tornasse sul tavolo della politica. Anche in questo caso Trento e Bolzano si sono mosse in maniera totalmente sganciata l’una dall’altra e l’istanza sudtirolese di liquidare quel che resta dell’Istituto regionale si è scontrata, con una perfetta continuità rispetto al passato, con la tenace volontà trentina di mantenere quello che viene ritenuto un aggancio indispensabile per tutelare l’autonomia specifica della Provincia di Trento.

Questo sommario percorso attraverso le questioni aperte sul tavolo della politica altoatesina ai tempi del coronavirus si chiude, con una sorta di cerchio, su un tema che è legato a quello con cui era iniziato. Avevamo parlato della pandemia e dei suoi effetti e questo ci riporta inevitabilmente alla questione delle strutture sanitarie. Durante le settimane di chiusura totale il mondo politico si è sostanzialmente radunato attorno ad alcuni temi di cronaca quotidiana come la vicenda delle mascherine importate dalla Cina attraverso l’Austria e la cui efficacia è stata contestata. Lo scenario che è emerso progressivamente, tuttavia, e che il mondo politico non potrà ignorare quando dalla gestione concitata dell’emergenza si passerà ad una riflessione più organica sul presente, è quello relativo al futuro delle strutture sanitarie altoatesine. Anche in questo caso la pandemia ha lasciato in sospeso tutta una serie di contenziosi tra Bolzano e Roma sul trattamento economico, sul requisito del bilinguismo, sulla formazione specialistica dei medici e degli infermieri. Sono questioni che puntualmente si ripresenteranno tra qualche settimana o tra qualche mese, con il carico ulteriore di una conflittualità tra le categorie professionali e gli organi gestionali della sanità che durante l’emergenza è parsa crescere anche rispetto ad un passato nel quale non era mai stata assente.

La terribile prova cui l’epidemia ha sottoposto gli altoatesini dovrebbe aver convinto anche i più distratti che il rafforzamento, e probabilmente anche una drastica revisione delle politiche sanitarie, rappresentano una priorità assoluta e non rinviabile nel tempo.

Post scriptum

Nel periodo intercorso tra la stesura di queste note e la loro pubblicazione sul sito de Il Cristallo è scoppiata una vigorosa controversia tra Governo e Provincia Autonoma di Bolzano proprio sul tema delle misure da adottare per contenere la pandemia. In buona sostanza Bolzano ha rivendicato una propria competenza a definire i tempi e i modi in cui attuare la riapertura di tutte le attività rimaste chiuse per diverse settimane allo scopo di arginare la diffusione del virus. Di fronte al calendario stilato da Roma, considerato troppo rigido e tale da danneggiare in maniera forse irreparabile l’attività di molte piccole e medie imprese, soprattutto nel settore del commercio e dell’artigianato, la Südtiroler Volkspartei, criticando anche aspramente l’atteggiamento governativo e minacciando apertamente di uscire dai ranghi della maggioranza che sostiene il governo Conte, ha deciso di muoversi in maniera assolutamente autonoma.

Lo ha fatto scendendo su un terreno pochissimo calpestato in questi mesi di frenetica attività politica e amministrativa per il contrasto della pandemia: quello dell’iniziativa legislativa. È una scelta che qualcuno ha visto ispirata dal timore che il continuare a procedere per ordinanze potesse in futuro far ricadere sugli amministratori il peso di azioni legali da parte di chi, dalle loro decisioni così prese, si dovesse sentire danneggiato nella propria salute o nei propri interessi economici. Fatto sta che nel giro di pochi giorni una legge provinciale è stata discussa e approvata in Giunta, dalle commissioni e in Consiglio Provinciale. Da notare che la normativa, che ha autorizzato con un anticipo di quasi un mese rispetto al calendario statale la riapertura dei negozi, di attività come quelle dei barbieri e delle parrucchiere, e, con qualche giorno di ritardo ma sempre in anticipo su Roma, anche quelle dei ristoranti e degli alberghi, è stata approvata alla fine con una larghissima maggioranza trasversale tra i due partiti di giunta, SVP e Lega e tutta l’opposizione sudtirolese. Astenuti Verdi e PD, la bandiera del no è rimasta saldamente nelle mani del solo consigliere di Fratelli d’Italia che peraltro ha rinunciato a far valere il suo diritto di rinviare di due settimane la discussione, per la presentazione di una relazione di minoranza, che avrebbe vanificato d’un tratto tutta l’operazione politica.

Il Governo, nella persona del titolare del dicastero delle ragioni Francesco Boccia ha alternato, nei confronti dell’iniziativa altoatesina toni di dura riprovazione a comportamenti pratici assai più concilianti. Roma ha annunciato che la legge verrà impugnata davanti alla Corte Costituzionale ma solo per gli aspetti riguardanti una presunta violazione delle prerogative nazionali nel campo delle norme di prevenzione per gli infortuni sul lavoro. Un ricorso alla Consulta non accompagnato, peraltro, da quella richiesta di sospensiva cautelare che avrebbe bloccato l’entrata in vigore della norma. Se ne riparlerà, dunque, tra diversi mesi quando, è sperabile, la questione verrà ricondotta alla sua essenza di un ennesimo conflitto di competenze, perdendo quei caratteri di angoscioso dilemma sulle migliori strategie per tenere in difficile equilibrio l’esigenza di tutelare la salute pubblica e quella di evitare un tracollo definitivo dell’economia che ha assunto in questo frangente.

Da rilevare, del tutto a margine della questione, l’ennesima divaricazione tra il comportamento di Bolzano e quello della vicina a Trento, dove peraltro la pandemia sembra aver assunto un carattere relativamente più severo di quello riscontrato in Alto Adige. La giunta leghista di Trento, pur manifestando a parole tutto il proprio compiacimento per l’iniziativa altoatesina, ha scelto, nei fatti, di non andare al contrasto brutale con le normative nazionali, restando in attesa di un alleggerimento di questi limiti, promesso più volte dal Premier e dallo stesso Boccia, che toglierebbe dal tavolo, ogni ragione di contesa. Sullo stesso tavolo resta però anche un’altra questione di non marginale importanza. Le due Province hanno chiesto a Roma che venga loro evitato l’esborso previsto dagli accordi finanziari degli anni scorsi le diverse centinaia di milioni ciascuna come contributo al ripianamento del deficit statale. Si tratta di denari essenziali, dicono Trento e Bolzano, per far fronte al considerevole aggravio, sui conti pubblici, dovuto alle maggiori spese per il contrasto del virus, per il sostegno all’economia e per le minori entrate che vi saranno sicuramente per la contrazione del gettito fiscale. Sono questi i temi che andranno ad aggiungersi, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, al già robusto carnet di questioni aperte tra le autonomie e lo Stato, in una stagione nella quale l’emergenza Coronavirus è parsa risvegliare anche istinti di forte recupero delle istanze centraliste.

                                                                                                                                                Maurizio Ferrandi

 

 

 

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