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LIBRI

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Carmelo Bene

di Armando Petrini

Roma, Carocci, 2022, pp. 118


Pubblicato in occasione dell’anniversario dei vent’anni della scomparsa di Carmelo Bene, il libro di Armando Petrini è un prezioso contributo analitico che inquadra, seguendo un taglio storico-teatrale, il percorso e la forza creativa dell’attore salentino, giustamente definito «uno dei massimi protagonisti del teatro del Novecento».

La chiave di lettura indispensabile per addentrarsi nella complessa poetica di Bene è il paradosso da cui si muove la contraddizione basilare della sua opera che consiste nell’«esprimere un fatto d’arte, ai massimi livelli possibili, e contemporaneamente indicare l’avvenuta impossibilità». Perciò lo studioso lo definisce non “un padre fondatore” del teatro ma un “figlio degenere” acceso nemico dello spettacolo conformista e di convenzione. Ossia Bene lavorò per «negare il teatro facendo teatro», spogliando l’attore degli strumenti espressivi canonici e vestendolo primariamente di una voce amplificata, sia sonora che visiva, sottomessa alla phoné, ossia all’intreccio contenutistico dell’opera basato sui significanti e non sul significato. «Io cerco il vuoto – affermava Bene –, che è la fine di ogni arte, di ogni storia, di ogni mondo».

Petrini – che si avvale di preziose fonti quali dichiarazioni dello stesso Bene, recensioni e testimonianze dei suoi collaboratori – individua due diverse fasi creative: dagli esordi agli anni Sessanta e Settanta, aggressiva e conflittuale, al successivo periodo concluso con la morte avvenuta nel 2002.

A partire da Salomè e poi lungo le rotte di Caligola, Amleto, Pinocchio, gli amati verso di Majakowskij, l’attore maledetto è un “enfant terrible” che si qualifica per la sua ricerca sperimentale, spericolata e frenetica, tanto da attirare l’attenzione di intelligenti e curiosi osservatori come Flaiano e Arbasino.
Si tratta di un «rapporto stretto, inestricabile, fra arte e vita». La scossa tellurica non investe solo il linguaggio teatrale: colpisce anche quello letterario (Nostra signora dei Turchi), cinematografico (si ricordino i cinque film girati nel periodo 1968-1973), radiofonico (Interviste impossibili e una Salomè) e televisivo (Amleto e Bene! Quattro diversi modi di morire in versi).

Con Romeo e Giulietta – cui seguono Manfred, Lectura Dantis, Lorenzaccio, La cena delle beffe – si entra nella seconda fase in cui Bene è riconosciuto Maestro del teatro di ricerca nazionale e internazionale, avvalorato anche dagli incontri decisivi con Klossowski e Deleuze. Cambia, di riflesso, la concezione della recitazione, ora intesa come «momento propriamente di poesia, dunque per eccellenza musicale», spiega Pietrini.
In questi spettacoli prevalgono gli effetti lirico-sonori e gli incisi simbolistici rispetto alle precedenti soluzioni di tipo grottesco e parodico. Si affievolisce la provocazione e il genio di Bene si addentra, con la ricerca sulla musicalità della voce, anche nelle poesie di Leopardi e Campana.

Anima solitarie e inquieta, sempre in opposizione alla cosiddetta “società dello spettacolo”, Carmelo Bene condivide la stessa ansia sperimentale, frutto di scellerato coraggio artistico, con le coeve esperienze di de Berardinis, Quartucci, Grotowski, Living Theatre, come bene ricorda Petrini in questo intrigante e appassionante studio preceduto dallo splendido Amleto da Shakespeare a Laforgue per Carmelo Bene (2004).


                                               Massimo Bertoldi

 

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