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LIBRI

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Strehler
Il gigante del Piccolo

a cura di Sara Chiappori


Milano-Udine, Mimesis, 2022, pp. 160
 

Nella prefazione a Strehler Il gigante del Piccolo Maurizio Porro afferma che «questo libro […] è bello e necessario nella sua recherche perché è un prisma di pareri che vengono dal ventre stesso del teatro, non sono fredde opinioni critiche, ma pensieri d’amore lanciati sui bigliettini sotto la luce dei riflettori». Si tratta di ventidue interviste ad attori, registi e collaboratori di Giorgio Strehler raccolte da Sara Chiappori in occasione del centenario della nascita del Maestro a Trieste nel 1921, che diventano luminose tessere di un mosaico in cui le ragioni dell’arte si intrecciano con i rapporti umani lungo le coordinate di una carriera che, a partire dalla cofondazione con Paolo Grassi del Piccolo Teatro di Milano, lascerà un segno indelebile nella storia del teatro italiano.

Primeggia il palcoscenico, dalle prove – lunghe, faticose, di maniacale precisione ma capaci di alimentare fantasie e immaginazione nell’attore – alla magia del debutto. Strehler, «così matto, così smisurato – racconta Andrée Ruth Shammah – aveva in realtà un enorme senso della disciplina, era rigoroso. Credeva che la poesia del teatro potesse cambiare il mondo, ci credeva come in una missione», che sarà accompagnata da sogni e fallimenti condivisi con artisti e attori a lui vicini in quasi cinquant’anni di attività, abbagliati dalla sua forza magnetica unita alla vastità della sua cultura.

«Mi si aprì un mondo» ricorda Giulia Lazzarini, pupilla del regista, mentre il fedele Giancarlo Dettori lo definisce «un uomo con delle grandi generosità e delle aggressività molto dure». Alla giovane Ottavia Piccoli, per esempio, rimproverava urlando il tono basso della voce tanto che «andavo in panico, mi veniva la febbre, giuro». La scossa verbale era mirata, terapeutica e pedagogica: Strehler voleva che i suoi attori esprimessero al massimo quelle potenzialità ancora sommerse ma intuite dal grande regista. In merito Gabriele Lavia annota: «Poteva prenderli a male parole, ma aveva un grande amore e un profondo rispetto. Diceva sempre ‘Noi attori…’». Monica Guerritore, scoperta a sedici anni per caso da Strehler mentre accompagnava un’amica ad un provino, ripercorre il lavoro minuzioso che accompagnò la definizione del personaggio di Anja del cechoviano Giardino dei ciliegi.

Emerge, come leitmotiv delle interviste, la ricerca continua del perfezionismo: «con Strehler nulla era mai finito e indefinito, ma tutto andava migliorato, sempre e costantemente rielaborato». Lo conferma Ferruccio Soleri, l’arlecchino del goldoniano Servitore di due padroni replicato in tutto il mondo per 2283 volte.  Paolo Rossi è invece l’arlecchino mancato: «Vado a casa sua […] passiamo le ore improvvisando e parlando della maschera. Giornate e giornate così. Una volta lo trovai in vestaglia, dirigeva Wagner in piedi sul divano».

Strehler amava molto le donne, visse relazioni intense come quella con la giovane Ornella Vanoni, protagonista di un amore tormentato ma profondo («Vivevo al Piccolo, aspettandolo, mentre intorno a me girava l’universo») e successivamente con Andrea Jonasson che mette in luce le fragilità e le ansie.
E non manca la considerazione dell’impegno civile, in merito preziosa è l’intervista a Sergio Escobar, che subentra nel 1998 al defunto Strehler nella direzione del Piccolo. Ricorda la militanza politica nelle file del Partito Socialista.

Corredato da un elegante e ricco apparato iconografico, il volume si completa con un intervento di Claudio Longhi, attento nel delineare un sintetico bilancio dell’esperienza strehleriana per poi interrogarsi su «quali altre geniali intuizioni sarebbe stata arricchita la sua carriera» interrotta dalla morte.
È nelle parole di Laura Marinoni che l’universo teatrale di Strehler diventa inestimabile valore culturale e morale: «La sua estetica riusciva a mettere profondità, magia, leggerezza, bellezza. Erano sogni completi, reali, tangibili. Credo che il teatro debba fare sognare, portarci in un’altra dimensione. E il suo era pura poesia».
 

                           di Massimo Bertoldi

 

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