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Il teatro futurista

di Salvatore Margiotta

Roma, Carocci editore, 2022, pp. 127.

Se, da un lato, è acquisito a livello storiografico il «programma di radicale frattura rispetto al contesto artistico tutto» sostenuto e praticato dal Futurismo, non altrettanto consolidato è il ruolo primario e di cassa di risonanza delle istanze e degli slogan rivoluzionari assunto dal teatro, sia in ambito teorico che sul versante della scena, pensando anche alla grande influenza esercitata nei linguaggi performativi nel corso del Novecento.
Da questo assunto si sviluppa la monografia di Salvatore Margiotta, assai pregevole per chiarezza espositiva e per rigore scientifico nel ripercorrere lo sviluppo storico di questo movimento d’avanguardia lungo un intreccio tra i numerosi Manifesti e la coeva prassi scenica concepita per il palcoscenico.

L’avvio, scoppiettante e agitato, è dato dalle Serate nel periodo 1910-1914: sono manifestazioni provocatorie strutturate su un’arringa iniziale contro soggetti della tradizione, attingendo moduli espressivi dal music hall e dal café-chantant e poi ripresi dal fondatore Filippo Tommaso Marinetti ne Il Teatro di varietà del 1923. L’obiettivo è di aizzare il pubblico fino al violento lancio di frutta e verdura sul palco, talvolta culminato in vere e proprie risse sedate dalle forze dell’ordine.

Dalle Serate si passa ai Pomeriggi Futuristi ideati da Francesco Cangiullo a Napoli dove presenta il suo Piedigrotta, e poi si transita dal Teatro Sintetico al Teatro di Varietà: sono questi i passaggi nodali della rivoluzione testuale che intendeva ridefinire il codice drammaturgico non articolando atti e scene bensì focalizzandosi in «attimi» performativi anche di pochi secondi. In merito Margiotta sostiene che, pur a fronte di quasi cinquecento testi e della tournée del 1915-1916, «il Teatro Sintetico non riuscì a raggiungere una proposta articolata di teatro realmente diverso».  

In parallelo si anima e con l’intento di recuperare «un rapporto ludico-espressivo con il pubblico», l’esperienza del Teatro di Sorpresa anche definito e illustrato nell’omonimo manifesto del 1922 e preceduto dagli spettacoli del 1921 al Teatro Mercadante di Napoli. Si tratta di microdrammi intervallati da interventi musicali, balletti, esposizioni di quadri futuristi.
Ne sono autori, tra i tanti, Balla, Boccioni, Settimelli, Corra e lo stesso Marinetti al quale Margiotta dedica un’interessante e dettagliato capitolo in cui ripercorre l’intera produzione drammaturgica, dalle opere giovanili a quelle della maturità segnata da una sperimentazione ragionata e articolata nell’assunzione della sintassi cinematografica.

La volontà di accordare al medium teatro un senso di arte autonoma rispetto alla tradizionale concezione testo-centrica, virando decisamente verso soluzioni plastico-visive, diventa superamento delle barriere disciplinari e intreccio prossimo a diventare, sempre nella composizione scenografica, fusione di valori pittorici, scultorei e architettonici.
È questo il cosiddetto «secondo Futurismo», frutto anche del ricambio generazionale, al quale partecipano Balla, Depero e Prampaloni, che firmano progetti importanti. L’artista trentino nel 1917 realizza scenografia e costumi per Le Chant du rossignol e nel 1918 i Balli plastici animati da due marionette stilizzate in un’atmosfera ludico-fiabesca.

Il vertice di questo indirizzo è individuato da Margiotta nel Teatro della Pantomima futurista ideata da Prampolini nell’ambito di un proficuo soggiorno parigino in cui si colloca alche l’applaudito debutto del suo repertorio al Théâtre de la Madeleine nel maggio 1927. La replica in Italia è invece un fallimento di pubblico e di critica.

Inizia la rapida parabola declinante del movimento al quale mancano nuove idee e nuovi programmi capaci di dialogare con una realtà socio-culturale, quella maturata a metà anni Trenta, molto diversa da quella delle origini dell’avventura futurista. Era venuta via via a mancare - conclude Margiotta – quella «spinta eversiva legata al Futurismo tutto, condizione storicamente vissuta e condivisa da tutti gli altri movimenti appartenenti alle avanguardie storiche».


                            di Massimo Bertoldi

 

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