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Commedia in versi
da restituire a Niccolò Machiavelli
Edizione critica secondo il ms. Banco Rari 29

a cura di Pasquale Stoppelli

 

Roma, Edizioni di Storia e letteratura, 2018, pp. 105.

 

Tra il 1796 e il 1799 Giambattista Pasquali, lo stampatore delle commedie di Carlo Goldoni, pubblica le opere di Nicolò Machiavelli e nel settimo tomo include un testo anepigrafo da lui denominato Commedia in versi senza titolo. Pur tra non pochi dubbi sollevati in ambito accademico, tale attribuzione regge fino a quando nel 1892 Pio Ferrieri, sostenuto da due manoscritti della Medicea Laurenziana, individua l’autore in Lorenzo Strozzi. E tale rimane fino all’odierno e decisivo intervento di Pasquale Stoppelli che ripropone il testo conteso rivisitandolo con gli strumenti della filologia più rigorosa e sostenuta da un ricco apparato di note esplicative.

L’indagine filologica chiarisce i dubbi circa la paternità di questa commedia in endecasillabi e settenari che racconta di due mariti frustrati. Catillo è sessualmente imponente solo con la propria moglie della quale è innamorato l’amico Camillo a sua volta pure lui insoddisfatto della propria consorte. Scatta il meccanismo comico proprio della drammaturgia rinascimentale alimentata dal gioco degli equivoci e degli inganni, fino allo scioglimento finale con il sorprendente accordo della scambio delle mogli tra i due amici.

Stoppelli dimostra che la grafia, certe espressioni linguistiche, nonché temi e concetti appartengono al repertorio espressivo, intellettuale e creativo di Machiavelli. Non pochi passaggi e sfumature testuali si ritrovano soprattutto nella Mandragola di poco successiva alla Commedia in versi, la cui stesura è circoscritta al periodo 1512-1513 mentre la sua rappresentazione avviene con ogni probabilità nel 1518 a Palazzo Medici di Firenze in occasione delle nozze di Lorenzo il Magnifico con Madeleine de la Tour d’Auvergne.

Perché l’autore della commedia fu allora riconosciuto nel mediocre Strozzi e non nel talentuoso Machiavelli? L’ambizioso Strozzi, figlio di una ricca e influente famiglia cittadina, smanioso di entrare nella cerchia dei letterati fiorentini, approfitta della condizione di isolamento politico e di difficoltà economiche dell’amico Niccolò, in quel momento ex cancelliere allontanato da Firenze. Perciò gli chiede e ottiene una copia manoscritta della Commedia in versi prontamente ricopiato apportando modifiche all’originale. “Successivamente – spiega Stoppelli – lavorano insieme su quella trascrizione. Machiavelli rivede il lavoro di Strozzi, ritocca le didascalie, fornisce il prologo, l’argomento e aggiunge una scena all’inizio dell’atto quinto”. In questo modo il testo diventa il copione per il citato debutto.

Questa vicenda tanto controversa quanto significativa è contestualizzata da Stoppelli nella cornice del coevo teatro fiorentino, animato da autori di primo piano ma anche da modesti e ambiziosi di successo che all’occorrenza ricorrono a mezzi non propriamente nobili pur di strappare un ruolo di riguardo nella aulica corte medicea. Anche questo è un aspetto non trascurabile, anche se scomodo, utile per indagare i rapporti tra potere, cultura e strategie per conquistare una certa (moderna) visibilità come ha dimostrato lo stesso “machiavellico” Lorenzo Strozzi.

 

                                         di Massimo Bertoldi

 

 

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