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LIBRI

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Vittorio Giardino

Jonas Fink.
Una vita sospesa
Il libraio di Praga

Milano, Rizzoli, 2018, pp. 333

Ancora una straordinaria novità da quella fantastica linea di confine espressiva posta sotto il nome “graphic novel”: dopo aver salutato la meraviglia costituita dalla rinascita del diario di Anne (Frank), da poco in libreria un altro prodotto davvero memorabile, in un certo senso un oggetto “storico”. Si tratta del compimento di un’opera iniziata circa 25 anni fa, ed ora conclusa con l’ultimo capitolo, che dà unitarietà all’intera storia. Un autore di cui la cultura italiana dovrebbe essere orgogliosa, capace di coniugare, come i grandi maestri di cui è legittimo erede, notevoli capacità narrative, e impressionanti doti grafiche: stiamo parlando di Vittorio Giardino, maestro noto a livello internazionale da più di trent’anni, ma forse non ancora adeguatamente celebrato come meriterebbe dalla pubblicistica italiana, e non solo specialistica.

Certamente, con questo (capo)lavoro, Jonas Fink. Una vita sospesa - Il libraio di Praga, Giardino entra nel novero degli autori che sono partiti dalla “semplice arte del fumetto” (per parafrasare Chandler, che parlava però del delitto!), e sono approdati a qualcosa di diverso, di più misterioso, enigmatico, un pastiche formidabile, prodotto in anni di bulimia dell’immagine, in cui proprio all’immagine, alla figurazione, viene affidato – per capovolgimento dialettico, si sarebbe detto un tempo - un compito diverso da quello di rendere “più facile”, o più comprensibile, la fruizione del testo: partendo da un segno all’apparenza così solare, sintetico – la fatidica “ligne claire” franco-belga, nata negli anni Trenta del secolo scorso dall’inchiostro di Hergè, papà di Tin Tin - il Nostro, ingegnere civile che ha abbandonato il lavoro tecnico-scientifico per dedicarsi interamente alle tavole ed alla libera espressione artistica, ha costruito nel tempo una lenta ed inarrestabile macchina narrativa in cui il segno si fonde con la parola scritta, dilatando i significati ed uscendo – sempre! – dai margini della rappresentazione, solo visiva o solo scritta. E si autoproduce, magicamente, una terza forma narrativa, in cui i personaggi, le azioni, le storie, si muovono con impressionante, precisa, allusiva, realtà. Finzione, naturalmente: ma vera, pregnante, capace di produrre emozioni forti, addirittura spaesanti per chi si è sempre abbeverato alle forme classiche del fumetto, o della narrazione scritta.

Un libro che ha tutti i caratteri per essere già un classico, nel senso alto e nobile del termine: una lettura efficacissima dei meccanismi del potere oppressivo, dell’autoritarismo osceno travestito da “diritto del Popolo”, dei sistemi repressivi messi in atto nella quotidianità, e dei modi per sfuggirli. Nella Praga dell’orrendo comunismo di Stato versione boema, in cui convivono misteriosamente i frammenti di un mondo andato in pezzi, prima ad opera dei nazisti, poi degli stalinisti, scorre la palpitante e fragile esistenza di una famiglia ebrea, di appartenenza intellettuale, colta; e quindi doppiamente colpevole, agli occhi dei regimi che si sono succeduti. Sopravvissuta alla Shoah, la famiglia Fink, col piccolo Jonas dallo sguardo attonito e ferito, va lentamente in pezzi, quasi con dolcezza, inesorabilmente schiacciata dalla macchina totalitaria - con buona pace delle nuove anime belle della storiografia contemporanea che mettono in discussione la validità dell’aggettivo “totalitario”, di conio arendtiano – descritta con mirabile partecipazione nitore analitico.

Qualcuno potrebbe parlare di “postmodernismo” narrativo, composto com’è di frammenti, residui preziosi di un passato impossibile da restituire, frammenti di racconto visivo e scritto più veri del vero, finzione di spietata verosimiglianza: ma sembra di vedere qualcosa di diverso in questa narrazione di Giardino, una sensibilità da ultimo uomo del Novecento, il secolo sotto cieli d’acciaio, che contempla, partecipe, il cumulo di rovine che è andato crescendo alle nostre spalle. Cosa rimane di questo, delle dolorose battaglie per un pezzo di libertà, di dignità umana: con l’ormai appesantito Jonas dagli occhi cerulei, sulle rive della Moldava, anche noi ci posiamo, in abiti non nostri, in un paesaggio che non ci appartiene più: e guardiamo forse nel vuoto, forse lontano, a inseguire amori dissolti per forza, per sempre; a cercare una libertà che, ancora, si nega, in forme diverse.

 

                              di Andrea Felis

 

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