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Proletkult

di Wu Ming

 

 

Torino, Einaudi, 2018, pp. 333

 

Capri, aprile 1908. Una foto ritrae Lenin e Bogdanov che giocano a scacchi sotto lo sguardo di Gorkij, immagine simbolo di Proletkult presentato di recente a Bolzano presso l’osteria “Da Picchio”. A Bogdanov, dei tre il meno noto ai più, Wu Ming dedica il romanzo. Aleksandr Aleksandrovič Bogdanov, il cui vero cognome era Malinovskij, fu politico, filosofo, economista, scrittore e medico russo. Uno dei due fondatori del bolscevismo, insieme a Lenin, il primo a tradurre in russo Il Capitale di Marx, scrittore di fantascienza sul cui manuale di economia studiarono le giovani generazioni della rivoluzione, pioniere delle trasfusioni morto testando su di sé le possibilità curative dello scambio di sangue.

In quest’occasione Wu Ming pare risolvere su più piani alcune tensioni che pure hanno generato di volta in volta fiction storiografica, onirismo lisergico, reportage militante… Nella figura di Bogdanov, eretico tra gli eretici, pressoché dimenticato, Wu Ming trova, in una realtà storica che si affaccia sulla fantascienza, “già pronta” la sintesi: la Tectologia, la “Superscienza” della struttura fondamentale di società, gruppi, organismi. Attraverso la lente di Wu Ming questa teoria, detta Empiriomonismo, anticipa di oltre mezzo secolo sensibilità che troveremo prima in Bateson, quindi negli studi di Maturana e Varela sull’organizzazione del vivente.

Proletkult è il modello educativo che incarna questi principi, accompagnando gli studenti senza esercizio del potere in scuole di cultura proletaria da Capri a Bologna, per chiudersi invece a Parigi tra le “scomuniche” e le accuse di idealismo nella verticizzazione autoritaria e realista di Lenin. “Lenin pensa che per capire il mondo sia necessario scattargli una fotografia, quanto più precisa possibile. Per me invece la conoscenza è come il cinematografo” afferma Bogdanov. “Perché abbiamo fallito?” è la domanda che torna sul filo dei ricordi che si dipanano a partire dai preparativi che fervono. Ricorre il decennale della Rivoluzione, in cui troneggia Stalin, il rapinatore georgiano Koba di vent’anni prima a Tbilisi. Appare una ragazza, forse proveniente da Nacun, la Stella Rossa narrata da Bogdanov dove il socialismo è realizzato, o orfana abbandonata della Rivoluzione… La scrittura diventa strumento di un’ambivalenza costruttiva tra realtà e possibilità, o realtà dell’immaginazione, in un’inattualità che potrebbe confortare il presente disperso: il mondo si cambia attraverso la cultura, più che con la politica, nella coscienza tout court, più che in quella di classe.

In questa possibilità che è data a coloro che sono sempre un po' ai margini, perché vedono e credono, dietro le quinte, minoritaria, meno visibile rispetto alla ribalta della Storia di piccoli e grandi “io”, risuona l’appello di Wu Ming “proletari di tutti i mondi unitevi!”. Questo è il Collettivismo immaginato nelle trasfusioni o ritrovato nelle interconnessioni contemporanee esplorate dall’autore collettivo Wu Ming, già Luther Blisset.

333 pagine divise in tre parti di undici capitoli ciascuna per un totale di 33 capitoli incorniciati da prologo ed epilogo. Superando contrapposizioni, come quella tra idealismo e materialismo, Wu Ming sembra suggerire la possibilità di quest’organizzazione cognitiva bio-psico-logica in una sintesi guidata dalle arti. “Adaeth” dice Denni la nacuniana guardando la torre della radio a Mosca, nella lingua del suo pianeta “bello e utile”, come quest’ultimo lavoro di Wu Ming.

 

                            di Nazario Zambaldi

 

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