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Teatro I

di Jan Fabre

 

Spoleto (Pg), Editoria & Spettacolo, 2019, pp. 246

Jan Fabre è un artista visionario e eclettico nelle sue molteplici declinazioni espressivi che lo vedono impegnati come regista teatrale e scenografo, coreografo, pittore, sculture, performer e anche fine drammaturgo al centro di clamorosi successi e di aspre polemiche, come nelle corde di chi cerca di allungare il passo imboccando strade nuove e tortuose.

Nel 1995 Costa & Nolan aveva dato alle stampe il pionieristico Teatro di Fabre, nel 2008 ubulibri aveva pubblicato Corpus Jan Fabre di Luk Van den Dries, un libro fondamentale per conoscere il processo creativo del maestro in modo particolare dell’allestimento di Parrots and Guinea Pigs del 2002. In un’intervista dichiarò: «il mio teatro è in rottura con l’attualità, la moda. Non ha lo scopo di risolvere conflitti sociali e politici. Parla delle verità segrete del corpo», e aggiunge che «la crudeltà e il terrore generano quella libertà che permette di raggiungere l’estasi».

Intorno a queste dichiarazioni si sviluppa la poetica dello scrittore belga, come emerge dai testi raccolti da Editoria & Spettacolo in questo Teatro I che segue Residui e altri testi edito nel 2015. Tradotto e curato da Franco Paris, il volume raccoglie opere scritte tra il 1975 e il ’94.

I dialoghi sono scarni, i pensieri dei personaggi sembrano schegge in fuga da un labirinto mentale. Fabre ricorre spesso al meccanismo drammaturgico della ripetizione che diventa procedimento mentale di ossessioni maniacali intorno alle quali si sviluppa un inscindibile legame tra il corpo, i sensi e la parola, antirealistica e sconnessa dalla dimensione quotidiana, piuttosto proiettata verso il tutto e verso il niente. Il sospiro della morte ò, infatti, un tratto inscindibile negli intrecci narrativi volutamente banali e attraversati da un altro elemento dominante: il principio della sottomissione, crudo e sordo.

Nel monologo lei era ed è anche una prostituta considera i clienti «poveri disgraziati», insignificanti giocattoli capricciosi da governare a piacere. Ne La reincarnazione di Dio domina il sesso violento con momenti sadomaso imposto da una ragazza, educata dalla sorella, su un specie di fantoccio umano. Una tragedia familiare è un inquietante girotondo mortale animato da due fratelli che uccidono la sorella, il padre, violentano la madre, con dolcezza, e le tolgono la vita. Come in un rito laico, la scena si ripete sempre uguale. Gelosie e fobie si traducono, ne Le falene, in dialoghi taglienti e in rapporti incestuosi all’interno di una famiglia. I personaggi sono anime dissolute alla ricerca della purezza nella morte del corpo.

Tra gli altri testi di questa bella antologia c’è il celebre monologo Io sono un errore che si traduce in un martellante e nervoso elenco di motivazioni del titolo, teso anche a mettere in luce aspetti sensoriali e corporei. Il testo inizia così: «Io sono un errore / perché non appartengo a una razza» e termina in questo modo: «Sono fedele / al piacere / che cerca di uccidermi».

                                    di Massimo Bertoldi

 

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