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La grande trasformazione: Il teatro italiano fra il 1914 e il 1924

a cura di Federica Mazzocchi e Armando Petrini

 

Torino, Accademia University Press, 2019, pp. 189

Se il decennio 1914-1924 è cruciale per l’Italia, prima coinvolta nella Grande guerra poi sottoposta al regime fascista, altrettanto si riscontra nell’ambito dello spettacolo, come illustrano gli atti del convegno La grande trasformazione: Il teatro italiano fra il 1914 e il 1924 tenuto a Torino nel 2018 e ora pubblicati a cura di Federica Mazzocchi e Armando Petrini. Il passaggio dal vecchio al nuovo, in cui si riconoscono i segni embrionali della grande trasformazione novecentesca, non si articola in modo rettilineo, è terreno di aperture e resistenze, di progetti ora articolati ora ambigui. È quanto spiega Mirella Schino a proposito della nascita della regia, in ritardo rispetto alle esperienze europee.

Secondo Lorenzo Mango la morte della Duse nel 1924 è un momento simbolico per il tramonto del Grande Attore e di transizione verso il rinnovamento sostenuto, oltre che dall’attività di Pirandello, dall’intervento dello Stato nella gestione e nel finanziamento del teatro in una fase di forti tensioni interne dovute ai contrasti tra scrittori e capocomici. Le ombre della guerra si allungano anche sul cinema tanto da aderire al nazionalismo caro al pubblico borghese da conquistare attraverso film sulla guerra e caratterizzati dalla celebrazione di anacronistici eroi e prodi patrioti, come spiegano con adeguata documentazione Giaime Alonge e Silvio Alovisio. In crisi è anche la lirica, lo dimostra Matteo Paoletti, sia a livello organizzativo che nel repertorio; pur penalizzata dalla concorrenza del cinema e del varietà, si cerca di ribadirne la funzione educativa e propagandistica.

Completato il quadro generale, i saggi successivi si concentrano su singole esperienze, isolate e ignorate, eppure fondamentali. Come quella di Rosso di San Secondo che, illustra Anna Barsotti, con Marionette, che passione! stravolge il triangolo borghese e elabora una scrittura antinaturalistica, sbilanciata verso una innovativa recitazione straniata, sconosciuta all’attore italiano. Enrico Cavacchioli introduce il raisonneur, figura destabilizzate con la funzione di muovere i personaggi come fantocci secondo quanto succede ne L’uccello del paradiso, approfondito dal saggio di Simona Brunetti.

Il dettagliato contributo di Livia Cavaglieri si concentra sulla transizione economica e creativa, dalla dimensione artigianale all’impostazione industriale, che accompagna la riorganizzazione delle compagnie teatrali. Ai Ballets Russes si rivolge in modo approfondito lo scritto di Elena Randi: alla ricostruzione delle tournée svolte dal 1911 al 1927 segue l’analisi delle ripercussioni della lezione russa nelle produzioni ballettistiche italiane.

Considerata “troppo bella” da Silvio d’Amico e stroncata da Gramsci, Lyda Borelli raggiunge in questo decennio la massima popolarità. Maria Ida Biggi la descrive attrice innovativa per la capacità di distinguere tra recitazione teatrale e cinematografica, nonché per essere stata capocomica tenace e indipendente. Altro personaggio chiave del periodo è Virgilio Talli, al quale Donatella Orecchia dedica un prezioso ritratto artistico, ricostruendo l’attività estesa al periodo 1909-1923, quando il maestro introduce decisive riforme nei ruoli dell’attore e del capocomico che concorrono al graduale smantellamento dell’impianto della compagnia di tradizione. Figura emblematica, sospesa tra continuità e discontinuità verso il passato, è Emma Gramatica. In merito Armando Petrini mette in luce il suo essere attrice irrequieta, erudita, instancabile in conflitto perenne con il mondo del teatro. Grande interprete di Casa di bambola, Gramsci la definì “solitaria e ribelle”.

 

                                          di Massimo Bertoldi

 

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