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Teatro

di Sergio Blanco

 

Imola (Bo), Cue Press, 2019, pp. 131

 

La caratteristica principale della drammaturgia spiazzante di Sergio Blanco, commediografo e regista teatrale franco-uruguaiano, è esposta dall’attore cui compete il ruolo del Figlio nella commedia Il bramito di Düsseldorf: è «l’incrocio delle narrazioni reali e delle narrazioni di fantasia» che si concretizza «nell’autofinzione», regolata da un «patto con la menzogna» e ne «il lato oscuro dell’autobiografia» fondata invece «su un patto di verità».

Di fatto la figura di Blanco pare essere sempre presente nei suoi testi, distribuendo le sue molteplici sfaccettature di uomo e di artista nelle peculiarità dei suoi personaggi. Non importa scoprire il confine tra finzione e realtà, chiedendosi se l’autore sia veramente omosessuale o dissoluto nella vita per abuso di droghe, se intenda convertirsi all’ebraismo oppure se in lui sia presente un (in)conscio desiderio di uccidere il padre. Questa è la sostanza narrativa dei suoi testi, spigolosi e violenti, poetici e inquietanti, eppure capaci di raccontare il lato oscuro e tenebroso della nostra anima.

In Tebas Land, primo testo antologizzato nel volume di Cue Press, uno scrittore e drammaturgo si reca in carcere – o meglio, nel campetto da basket del carcere – dove incontrare Martino, un parricida, per scrivere un copione teatrale della sua vicenda personale. Inizialmente il ruolo del parricida è concepito per essere interpretato dallo stesso assassino, creando, in questo modo, il gioco dell’identificazione tra il protagonista della storia vera e il protagonista del dramma letterario. In un secondo momento subentra un vero attore che sulla scena si presenta con il suo nome anagrafico (Samuele) come interprete di sé stesso e, al contempo, nel ruolo del parricida Martino.

Le dinamiche relazionali tra il drammaturgo e i due personaggi (il parricida e l’attore) sviluppano un percorso lineare, cui si incrociano significativi richiami letterari e culturali, come Dostoevskij, epilettico come il parricida, I fratelli Karamazov per quanto riguarda il senso del delitto, e San Martino da Tours, santo che condivide il nome del parricida in questione, che pure lui visse un rapporto tormentato con il padre.

Enigmatico e emblematico per il concetto di autofinzione è anche L’Ira di Narciso (2015), commedia interpretata dall’amico e drammaturgo Gabriel Calderón. Nel testo figura infatti un personaggio dal nome di Sergio Blanco: è invitato dall’Università di Lubiana a tenere una conferenza sul tema dello sguardo, che affronta analizzando il mito di Narciso. Mentre prepara la relazione, si dedica a corse nei parchi, a conversazioni con i colleghi e ai dialoghi con la madre via Skype, soprattutto a incontri sessuali con Igor, giovane sloveno conosciuto in un sito di appuntamenti dove scopre l’inquietante presenza di alcune macchie di sangue sulla moquette della sua stanza d’albergo. il finale è agghiacciante.

Il citato Il bramito di Düsseldorf, testo inedito per l’Italia, ruota intorno alla morte del padre ricoverato in una clinica di Düsseldorf, città in cui l’autore si trova per scrivere il catalogo di una mostra d’arte su Peter Kürten – l’infame serial killer tedesco dell’inizio del XX secolo, conosciuto con il soprannome di “vampiro di Düsseldorf”; oppure per firmare un contratto come sceneggiatore di film porno per una delle più grandi società di produzione cinematografica settore; o ancora perché votato alla conversione al giudaismo attraverso la circoncisione nella famosa sinagoga di Düsseldorf.

Da queste tre possibili ipotetiche motivazioni scaturiscono analisi sui limiti dell’arte, la rappresentazione della sessualità e la ricerca di Dio.

 

                                    di Massimo Bertoldi

 

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