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LIBRI

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Mario Scaccia

di Michela Zaccaria

 

Roma, Bulzoni, 2021, pp. 321


La storiografia teatrale italiana si sta sempre più arricchendo di studi e monografie dedicati agli attori contemporanei i quali, da impersonali esecutori delle impostazioni artistiche dettate dal regista, sono interpretati come soggetti portatori di cultura maturata seguendo precisi percorsi intellettuali, tali da sprigionare vere e proprie visioni e atteggiamenti critici verso la realtà, sistema teatrale compreso.

Si sono affinate, di riflesso, le metodologie e gli strumenti di ricerca, per meglio inquadrare la figura dell’attore, oltre che nella sua specificità artistica, anche in una dimensione di dialogo interattivo tra il suo essere personaggio di palcoscenico e uomo di società. Il presupposto di partenza è che l’attore sia emblematico, che contenga in sé i segni di un’epoca, oltre che depositario di un pregevole repertorio.

Questi requisiti basilari si riconoscono, tra i tanti, in Mario Scaccia, al quale Michela Zaccaria dedica un libro assai interessante, Mario Scaccia (Roma, Bulzoni, 2021, pp. 321), completo nelle informazioni relative alla carriera, attento all’analisi stilistica della recitazione e del repertorio, non trascurando una attenta e dettagliata ricostruzione storico-culturale della coeva scena teatrale italiana. Lo spessore scientifico della ricerca storica è garantito anche dal supporto di preziosi materiali raccolti in appendice: lettere, poesie e interventi pubblici di Scaccia, la cronologia degli spettacoli teatrali (1946-2010) e di quelli cinematografici, televisivi e radiofonici (1952-2010), la ricca bibliografia e sitografia aggiornata.

La mole di questi strumenti informativi concorre a definire la grandezza artistica dell’attore che la Zaccaria ricostruisce con passione intellettuale, affidandosi ad una scrittura ordinata e coinvolgente che assume i tratti di un saggio delicatamente romanzato.

Attore carismatico, comico, antiretorico, eclettico visionario e ironico, Scaccia ottiene la prima importante scrittura con la compagnia stabile di Venezia guidata da Anton Giulio Bragaglia (1948-49), che lo impegna in testi di San Secondo, O’Neill, Wilder. È soprattutto con la Compagnia dei Quattro – fondata assieme a Glauco Mauri, Franco Enriquez e Valeria Moriconi – che si rivela il talento dell’attore romano, segnatamente ne Il rinoceronte di Ionesco, La mandragola di Machiavelli, il Mercante di Venezia di Shakespeare considerato dalla Zaccaria «uno dei vertici interpretativi». La studiosa si sofferma sulle polemiche di Scaccia con i teatri stabili degli anni Sessanta, dove, a suo dire, «l’elemento meno considerato è appunto l’attore», tanto che nel 1966 fonda una compagnia propria cui collabora anche Gianna Giachetti.

«L’attore autentico è mattatore per natura»: in questa dichiarazione di Scaccia si annida la sua essenza poetica così strettamente congiunta al Grande Attore italiano come gli amati Novelli e Zacconi. Da questo legame con la tradizione, in una fase di rinnovamento del teatro italiano, deriva un senso di solitudine, quasi di isolamento, che poi si riversa nei suoi personaggi teatrali, tra i quali spiccano Bummidge de L’ultima analisi e Chicchignola, i due spettacoli targati Teatro Stabile di Bolzano e  analizzati con cura dalla Zaccaria che bene evidenza lo spessore comico, contaminato di tragico umorismo, che caratterizza anche altre celebri performances, da Aspettando Godot di Beckett a L’avaro di Molière.

Per Scaccia il teatro racconta l’uomo e la vita e, perciò, diventa visione del mondo, pungente e sarcastica. E, a proposito del maestro Petrolini, scrive in un appunto del 1992: «Se non ci fosse stato Petrolini a insegnarci il coraggio di essere stupidi, noi – con un briciolo di sentimento – come potremmo riuscire a sopravvivere in quest’arido deserto di furbizia e d’ignoranza?».
 

                            di Massimo Bertoldi

 

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