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SPETTACOLI E MOSTRE

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Cantico dei Cantici

adattamento e regia Roberto Latini

 

musiche e suoni Gianluca Misiti
luci e tecnica Max Mugnai
con Roberto Latini
produzione Fortebraccio Teatro Compagnia Lombardi - Tiezzi
con il sostegno di Armunia Festival Costa degli Etruschi

 

Non servono parole per ribadire la bellezza assoluta de Il Cantico dei Cantici, un testo antichissimo composto non prima del IV a.C. e assurto a manifesto-archetipo dell’amore e della sua forza erotica. Nella sua rivisitazione. Roberto latini lo libera dalle allegorie mistiche e religiose proprie della tradizione ebraica e cristiana. Il processo di laicizzazione diventa il motore drammaturgico della performance vista al Teatro Comunale di Bolzano nell’ambito della rassegna “Altri Percorsi” curata dal Teatro Stabile.

In apertura, latini si alza da una panchina verde, ha l’atteggiamento del clochard androgino, il trucco è marcato, porta cuffie ingombranti alle orecchie. Si sposta alla consolle di una postazione radiofonica da dove declama i primi passi del testo via via contaminato da citazioni spurie che riconducono il dialogo tra i due giovani amanti alla caducità e alla pochezza delle relazioni umane. Per esempio sono appropriate le citazioni della voce di Deborah accompagnata dalle musiche di Ennio Morricone di C’era una volta l’America che si nega al giovane Noodles, oppure quella di Raffaella Carrà impegnata nella famosa canzone Com’è bello far l’amore…

In merito svolgono un ruolo primario le musiche di sorda e cupa sonorità e di citazioni rock (Placebo) che si intrecciano e dialogano con la voce e la gestualità fonica di Latini: memore della lezione di Carmelo Bene, la sua voce rimbalza dalla distorsione al distacco estraniante, dalla dolcezza intima all’urlo selvaggio e dissacrante. È questa la potenza creativa del repertorio espressivo di Latini, che si caratterizza per il suo raffinato gioco drammaturgico nell’uso dei respiri, silenzi, pause, sospensioni, sempre finalizzati a accompagnare desideri, languori, effetti sensuali che concorrono alla valorizzazione della bellezza visionaria del testo.

Scatta, in parallelo, una progressiva metamorfosi del protagonista: il dandy straccione, pomposo e femmineo, abbandona gli occhiali scuri e la marsina, torna a sedersi sulla panchina, guarda in faccia gli spettatori e si toglie la parrucca. Il turbamento provocato dal trionfo/fallimento dell’amore è contenuto nella battuta finale: «I tuoi occhi mi dissolvono. Che peccato».

Così il Cantico dei Cantici di Latini (Premio Ubu 2017 come miglior progetto sonoro o musiche originali di Gianluca Misti) sprigiona incredibile forma magnetica, trascina lo spettatore in una vorticosa rete di visioni che turbano, pari a quelle provocate dall’amore inteso come sentimento totalizzante, dell’anima e del corpo, perciò illusorio e inafferrabile. In questa rivelazione si annida e poi esplode il senso profondo di questo spettacolo di alto livello artistico, acrobatico nella dialettica interattiva tra corpo e parola, folle, palpitante e trasgressivo. E questo sembra essere, pare volerci dire latini, il risultato di chi addentra senza filtri morali o religiosi nelle cose e nei sentimenti umani.

 

                                         di Massimo Bertoldi

 

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