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DANTE E I DISPATRIATI
Sublimazione di un destino

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  Capitolo 4.     I luoghi di esilio   

L’ itinerario di Dante

Dante ha vissuto per vent'anni in esilio: dall’autunno del 1301 fino alla sua morte, avvenuta a Ravenna nel 1321, dove è sepolto.
Per vent’anni ha peregrinato tra l’Italia centrale e settentrionale, nelle terre, come dice lui stesso nel Convivio, dove si parlava la lingua del “sì” (Convivio I, iii,3-4).
In questo lungo periodo, Dante non scrive solamente la Divina Commedia, ma anche altre opere importanti come il Convivio e il De vulgari eloquentia.
Soprattutto nel Convivio Dante difende il suo onore di cittadino e di studioso, soprattutto presso le corti che lo ospitavano e alle quali, in cambio dell’ ospitalità, egli prestava la sua competenza di diplomatico e di sapiente, pur precisando che tutto quello che egli scriveva con le sue opere non lo faceva solamente a beneficio dei “nobili” e degli “aristocratici” che gli danno il pane, ma a beneficio di tutti coloro che hanno sete di sapienza e che egli chiama i “veri nobili”, diventando un difensore della lingua volgare, la lingua parlata dal popolo, anche contro chi lo sollecitava a scrivere in latino per avere l’incoronazione prevista ai suoi tempi per tutti coloro che scrivevano opere liriche nella lingua di Virgilio e di Orazio e come fu nel caso del Petrarca.

 

Prima tappa: Siena

Nelle numerose tappe del suo esilio, abbiamo prove che in un primo momento Dante sia stato a Siena, ma non vi si trova a suo agio.

 

Seconda tappa: Treviso

Solitamente si stima che, dopo questa fugace presenza a Siena, Dante sia stato ospite in Lunigiana, alla corte dei Marchesi di Malaspina. Invece abbiamo prove evidenti che la seconda tappa del suo esilio sia stata Treviso, ospite di Gherardo III Da Camino, signore della città, definito dal domenicano Francesco Pipino (dotto archivista, famoso per aver fatto conoscere in Italia il Milione di Marco Polo, traducendolo dal francese) “tyrannus aequissimus et tolerabilis satis”, probabilmente il migliore della sua stirpe.
Dante evoca Treviso nel IX Canto del Paradiso, attraverso la voce di Cunizza da Romano, sorella del tristemente celebre tiranno Ezzelino, con il celebre cenno ai due fiumi che attraversano Treviso: "e dove Sile e Cagnan s'accompagna”
Gherardo era molto stimato da Dante ed era molto conosciuto anche in Toscana, prima che Dante si recasse a Treviso. La sua opinione su di lui è molto positiva e degna di lode, anche contro le dicerie che lo descrivono in modo negativo ed è ben descritta nel Convivio (IV, capitolo 16).
In realtà il suo stile di governo era molto deciso e spesso duro, ma i tempi in cui governava erano molto difficili e pieni di discordie. Fu lui che concluse definitivamente la tirannia di Ezzelino, riuscì a fare in pace, conservando buone relazioni con i Comuni e i signori vicini, cercando nuove alleanze con i matrimoni dei figli, diventando arbitro di pace nella Marca e fuori.
Dopo la sua vittoria sui ghibellini, fu immediatamente proclamato Capitano Generale della città a vita all'unanimità dai consigli cittadini. Allo stesso fu attribuito il potere di modificare a piacimento gli statuti del Comune.
Treviso migliorò sensibilmente durante il suo governo: sistemò le porte della città, fece edificare nuovi ponti, pensò a prosciugare e drenare ogni anno il fossato per evitare diffondersi di malattie, fece lastricare dai privati le strade principali, istituì una sorta di efficace "nettezza urbana" e una sorta di "vigili del fuoco" per estinguere rapidamente gli incendi; assicurò sempre alimenti sani per la popolazione e a buon mercato calmierando i prezzi; regolò il mercato del vino estendendo le piantagioni e controllando ogni passaggio dalla vendemmia alla vendita; rese sicure le strade commerciali percorse dai mercanti; istituì un servizio regolare di navigazione da Treviso a Venezia facendo crescere notevolmente l'importanza economica della città.
Finanziò gli ordini francescani che si occupavano di carità e di assistenza ai poveri e ancora oggi due delle chiese più monumentali di Treviso sono dovute a lui: San Francesco e San Nicolò. Fu il periodo più pacifico e prospero del Comune di Treviso per tutto il periodo medioevale.
Il Sommo Poeta gli dimostrò tutta la sua gratitudine e la sua stima spendendo ottime parole per lui ricordandolo non solo nel Convivio, ma anche nella Divina Commedia, nel Canto XVI del Purgatorio, in cui Gherardo appariva come uno dei pochi avanzi gloriosi di un'età passata, degno di essere proposto, con le parole di Marco Lombardo, ad “esempio e a rimprovero del secol selvaggio”:

Ben v'èn tre vecchi ancora in cui rampogna
l'antica età la nova, e par lor tardo
che Dio a miglior vita li ripogna:

Currado da Palazzo e 'l buon Gherardo
e Guido da Castel, che mei si noma,
francescamente, il semplice Lombardo.
(Purgatorio XVI 121-126)

[... diss'io:] Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio
di' ch'è rimaso de la gente spenta,
in rimprovèro del secol selvaggio?".
(Purgatorio XVI 133-135)

"O tuo parlar m'inganna, o el mi tenta",
rispuose a me; "ché, parlandomi tosco,
par che del buon Gherardo nulla senta.

Per altro soprannome io nol conosco,
s'io nol togliessi da sua figlia Gaia”
(Purgatorio XVI 136-140)

Il cenno alla figlia Gaia è particolarmente interessante, perché si tratta di una delle donne più affascinanti di quel periodo: poetessa e signora di una sua piccola corte in uno dei borghi più belli d’Italia, Portobuffolè, dove, grazie anche alla fama che Dante le ha tributato, è ancora oggi ricordata e la sua dimora storica è visitabile ed è trasformata in un piccolo e grazioso museo.
Tra le prove del passaggio di Dante a Treviso vi è anche il figlio Pietro, che vi morì e fu sepolto nella chiesa di Santa Margherita. In seguito alla sconsacrazione di quella chiesa, la tomba fu spostata nella chiesa di San Francesco.

 

Terza tappa: Lunigiana

Dopo la morte di Gherardo Da Camino nel 1306, Dante trova rifugio in Lunigiana, tra Toscana e Liguria, ospite di Franceschino Malaspina, casata elogiata nell’ottavo Canto del Purgatorio:

sola va dritta e ‘l mal cammin dispregia”
(Purgatorio, VIII 132)

Dante contraccambiò l’ospitalità dei Malaspina mettendosi a servizio come procuratore e legato per dirimere la controversia tra questi e i vescovi-conti di Luni che effettuavano pressioni sulle terre sotto il diretto dominio vescovile.
Ed è durante questo periodo che forse inizia a scrivere la Divina Commedia.
Dante nell'VIII canto del Purgatorio inscena il suo incontro nella valletta dei principi con Corrado, il quale spicca sugli altri compagni di pena per i valori cortesi di amore e famiglia.

Fui chiamato Currado Malaspina;
non son l'antico, ma di lui discesi;
a' miei portai l'amor che qui raffina”
(Purgatorio, Canto VIII, 118-120)

Ed è Corrado Malaspina che enuncia a Dante una delle profezie dell’esilio: infatti è Corrado a rivolgersi a Dante e a chiedergli notizie della Val di Magra o delle terre vicine, dove lui in vita fu potente.
Dante risponde di non esserci mai stato, ma di conoscere quelle zone grazie alla fama della famiglia Malaspina che è diffusa in tutta Europa e che li descrive come gente assolutamente valorosa e ripiena delle virtù cavalleresche. Corrado ribatte che ben presto, se i decreti divini non cambiano, Dante vedrà confermata questa sua opinione dall'esperienza personale, come ospite in Lunigiana: l'ultimo verso è votato all'esemplarità che la famiglia aveva per la concezione poetica di Dante e come elogio ad una delle più importanti famiglie italiane che lo ospitarono durante l'esilio.
Anche Boccaccio fa riferimento ai nobili valori e alla grandezza della famiglia nella sesta novella della seconda giornata del Decamerone, nella quale si narra di Corrado come gentiluomo liberale e attento ai valori familiari cortesi e confermando indirettamente l’onore attribuitogli da Dante.

 

Quarta tappa: Verona

A Verona l’esule trovò ospitalità presso gli Scaligeri. Infatti, Dante nel XVII Canto del Paradiso nomina Bartolomeo della Scala, chiamandolo il gran Lombardo, il cui stemma era l’aquila sopra una scala:

Lo primo tuo refugio, il primo ostello
sarà la cortesia del gran Lombardo
che’n su la scala porta il santo uccello”
(Paradiso XVII 70-72)

Bartolomeo della Scala fu signore di Verona (1291-1329) e accolse Dante, esiliato, nel 1304, quando Cangrande era ancora bambino: divenuto adulto e signore di Verona, gli fu protettore e amico dal 1312 al 1318.

Dante dimostra grande riconoscenza sia a Bartolomeo che a Cangrande dedicando a loro il XVII Canto del Paradiso: nella prima parte del canto scrive del suo lungo peregrinare da una corte all'altra, alla ricerca di un rifugio e del sostentamento, con accenti più calorosi di qualsiasi altra tappa in ben otto terzine e una Epistola.
La figura di Cangrande è generalmente accostata a quella del «veltro», il misterioso personaggio evocato da Virgilio nella profezia (Inferno I, 101 e ss.), dove si dice che costui sarà destinato a cacciare la lupa-avarizia dall'Italia e a ristabilire la giustizia (il verso e sua nazion sarà tra feltro e feltro è stato interpretato come allusione proprio al dominio di Cangrande, che si estendeva pressappoco tra Feltre e Montefeltro).
Inoltre Cangrande è nominato in modo implicito ma riconoscibile da Cacciaguida nel Canto del Paradiso XVII, 70 e ss., dove l'avo di Dante profetizza l'esilio al poeta e preannuncia che troverà rifugio e protezione a Verona e che Cangrande, sotto l’ influsso della stella di Marte, compirà imprese notabili, a mostrare faville de la sua virtute, a realizzare magnificenze e che non si curerà d'argento né d'affanni, che avvalora l'interpretazione che lo accosta al veltro di cui Virgilio aveva detto che non avrebbe concupito né terra né peltro, cioè non avrebbe ricercato né terre né ricchezze materiali.

 

La dedica a Cangrande

Ancora più solenne è la dedica che Dante dà a Cangrande in una Epistola:
“Al magnifico e vittorioso signore, signor Cane Grande della Scala, Vicario generale del Santissimo Impero Cesareo nella città di Verona e presso il popolo di Vicenza, il suo devotissimo Dante Alighieri, Fiorentino di nascita e non di costumi, augura una vita felice per lungo tempo, e perpetuo accrescimento della gloria del suo nome”.
Dante riconosce a Cangrande anche la generosità con la quale si occupava dei bisogni del popolo:

«per lui fia trasmutata molta gente
cambiando condizion ricchi e mendici».
(Paradiso 89-90)

Anche dopo che Dante si era congedato dalla corte di Verona, tornò a fare visite brevi all’amico Cangrande, che continuò a finanziarlo, permettendogli di scrivere anche il libro De Monarchia, di cui Cangrande fu uno degli ispiratori.
Tutto questo diede a Cangrande della Scala fama imperitura.
Cangrande è citato anche da Boccaccio nel Decamerone (Prima giornata, settima novella):
Chiarissima fama quasi per tutto il mondo suona, messer Cane della Scala, al quale in assai cose fu favorevole la fortuna, fu un de' più notabili e de' più magnifici signori che dallo 'mperadore Federico secondo in qua si sapesse in Italia”.

 

Quinta tappa: Arezzo

È molto probabile che dopo la morte di Bartolomeo della Scala e prima di recarsi nuovamente a Verona nel 2013, Dante sia tornato in Toscana, ad Arezzo e precisamente nel Casentino, dove Dante aveva combattuto nel 1289 nella battaglia di Campaldino e che egli descrive in certi suoi dettagli nella Divina commedia:

a piè del Casentino
traversa un’acqua c’ha nome l’Archiano,
che sovra l’Ermo nasce in Apennino.
(Purgatorio V, 93-96)

Fu ospite dei Conti Guidi, sia per un breve periodo.
La presenza di Dante in Casentino è ricordata in tanti luoghi di questa valle toscana.
Di quanto il Casentino abbia influenzato e sia entrato nell’animo di Dante è evidente dalle tante volte che il poeta cita in modo diretto, o vi fa riferimento meno palese, questa terra ed i suoi luoghi nella Divina Commedia.
C’è un racconto un po’ piccante del periodo, sia pur breve, che Dante trascorse nel Casentino.
Il poeta era ospite del conte Guido Selvatico di Dovadola, nel castello di Romena e qui conobbe la moglie del conte, Manentessa, che era parente di Modonna Gherardesca, figlia del conte Ugolino, anche lei sposa di un conte del luogo. Ed è per gratitudine nei suoi confronti che Dante ospitò, con dolente empatia, nel XXXIII Canto dell’Inferno, la storia del conte Ugolino della Gherardesca, padre della contessa.

 

Sesta tappa: Padova

Sembra, ma non è certo, che Dante sia passato anche per Padova, di cui dimostra di avere una conoscenza molto specifica della città, forse persino in compagnia di Giotto, durante i lavori alla Cappella degli Scrovegni, che terminarono nel 1306, quindi intorno all’epoca del soggiorno di Dante a Verona. Coetanei e concittadini, i due erano anche amici

 

Settima (e ultima) tappa: Ravenna

Una volta sfumata la possibilità di un ritorno in patria nel 1315, quando il poeta rifiutò le condizioni che i nuovi padroni di Firenze avevano posto per un’amnistia nei suoi confronti, Dante trova ospitalità per gli ultimi anni che gli restano, fino al 3021, presso Guido Novello da Polenta, signore di Ravenna.
Durante questo soggiorno Dante ebbe modo di ricevere un incarico come ambasciatore nelle trattative con la Serenissima Repubblica di Venezia e, pertanto, abbiamo la certezza che anche Venezia faccia parte dei luoghi da lui visitati.
Ed è durante il soggiorno a Ravenna che Dante conclude l’ultima sua sublimazione poetica: la cantica del Paradiso, nella quale il suo esilio si trasfigura in un cammino ispirato e profetico verso la vera patria del nostro peregrinare terreno.
Colpito da malaria, probabilmente durante il suo passaggio nelle paludose terre del Delta del Po, morì nel 1321. Guido Novello fece celebrare funerali solenni nella basilica di San Francesco e Dante fu sepolto nel chiostro nella basilica.

 

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