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LIBRI

Why Theatre?/Perché il teatro?

di Milo Rau, Kaatje De Geest, Carmen Hornbostel
a cura di Andrea Porcheddu

Imola, Cue Press, 2023, pp. 162

È da quando esiste il teatro che si sollevano domande intorno al suo motivo di essere e al suo relazionarsi al mondo. Le risposte, ovviamente tante e diverse, derivano dal tempo storico e dal contesto socioculturale, cha alimentano anche sogni, utopie, progetti su quello che lo stesso teatro potrebbe diventare e trasformarsi in una prospettiva lungimirante.
Affiancato da Kaatja De Geest e Carmen Hornbostel si muove in questa direzione Milo Rau – illuminato regista svizzero ideatore di spettacoli ambientati in Amazzonia, Kurdistan e a Mosul e incentrati su personaggi mitici letti in chiave moderna – raccogliendo nel 2022, quando anche lo spettacolo era fermo per il Covid, risposte di centoventi artisti internazionali alla domanda: «Why Theatre?/Perché il teatro», poi diventata titolo dell’interessante volume edito da Cue Press curato da Andrea Porcheddu che ne seleziona circa la metà.

Si tratta di un coro di voci variegate nel codice narrativo ma concordi sia nella funzione del teatro quale specchio del nostro tempo e testimone delle tragedie storiche planetarie, che nella necessità di superare i confini geopolitici e dilatare il linguaggio performativo, connesso alla sua funzione comunicativa, nell’orizzonte di nuovi spazi di pensiero e di relazione comunitaria. Di fronte alle guerre, ai populismi, all’emergenza ambientale e alle violenze quotidiane, «il teatro – sottolinea Porcheddu – non può sconfiggere questa realtà, e forse tanto meno la poesia: eppure possono suggerire altri modi di pensare, altre parole. Più caute, più gentili, più umane».

Così nel bel volume di Cue Press – impreziosito dalla postfazione di Giacomo Bisordi – si susseguono i contributi di importanti protagonisti della scena contemporanea, da Nora Chipaumire («I poveri – Ecco cos’è il teatro, e perché il teatro non potrà mai scomparire, perché avremo sempre i poveri se avremo l’Africa») a Stefan Kaegi («Perché tutti sanno cos’è il teatro/Perché nessuno lo sa. /Perché tutto ciò che accade può diventare teatro»); da Angélica Liddell («Non smetteremo di lottare per la bellezza. La ricerca della bellezza è la tortura dell’anima») a Luc Perceval («il teatro rappresenta il tocco umano dell’oscurità»). Lo stesso Rau scrive: «Una vittoria dell’umanità mi interessa più a teatro che altrove: perché è soggetta alle regole della realtà, come nessun’altra».

Non manca il contributo italiano offerto da Ermanna Montanari e Marco Martinelli di Teatro delle Albe («Il teatro nasce rivelando il fondamento violento della società, il sacrificio di tutte le Ifigenie della storia […], è un’arte di rivelazione, di smascheramento attraverso il mascheramento») e di Daniele Nicolò e Enrico Casagrande di Motus («Il teatro è qualcosa di stupefacente. […] ha la capacità atletica di reinventarsi, è una fenice che risorge dalle proprie ceneri»).
Tra crisi e catastrofi provocate dall’uomo, il teatro radica la sua esistenza e si rigenera sempre nel linguaggio drammaturgico e nelle forme estetiche assolvendo il ruolo di cantastorie e di contenitore delle contraddizioni della nostra vita, raccontata anche in una prospettiva diversa, di cambiamento: è questo il messaggio fondamentale del volume Why Theatre?/Perché il teatro.  
 

                          di Massimo Bertoldi

 

Otto Brahm e il dibattito sulla scena teatrale berlinese (1881-1892)

di Iari Iovine
prefazione di Annamaria Sapienza

Torino, Accademia University Press, 2023, pp.

Radiografare una stagione di grandi trasformazioni culturali attraverso la lente del teatro e segnatamente concentrandosi sull’attività e contributi teorici di un personaggio emblematico attivo in una città cruciale: è questo l’obiettivo dello studio luminoso e assai dettagliato di Iari Iovine, Otto Brahm e il dibattito sulla scena teatrale berlinese (1881-1892).
Il fulcro tematico è la diffusione del Naturalismo in Germania sul cadere del XIX secolo come definito da Émile Zola e in parte anticipato a livello pionieristico in area tedesca da Büchner, Lessing e Hebbel, per poi essere assunto da Otto Brahm, critico della “Vossische Zeitung”, fondatore dell’associazione teatrale Freie Bühne, successivamente direttore del Deutsches Theater e del Lessing Theater di Berlino.

Al dominante teatro commerciale e di svago Brahm contrappone l’ideale di un «teatro d’arte» basato sul rispetto del testo quale tramite veritiero per ricostruire e raccontare oggettivamente la realtà, come già praticato dalla compagnia dei Meininger che ebbe modo di esibirsi a più riprese a Berlino nel periodo 1874-1887, offrendo significativi esempi di scenografie monumentali e fedelmente archeologiche a supporto dell’esibizione di attori lontani dal divismo.

La ricerca del vero attraverso la narrazione del quotidiano vissuto da personaggi ordinari e autentici avvicina Brahm al teatro dell’austriaco Ludwig Anzengruber che con il dramma G’wissenswurm (Il tarlo della coscienza) «ha toccato i compiti più alti dell’arte», si confronta con la drammaturgia di Bjørnstjerne Bjørnson e di August Strindberg la cui Signorina Giulia trionfa nel 1892 alla Freie Bühne inaugurata nel 1889 dalla messinscena di Spettri di Heinrich Ibsen che di fatto segna l’avvio della diffusione, con effetti tellurici, del repertorio dello scandinavo nella scena berlinese. Come di primaria importanza risulta il rapporto di Brahm con Gerhart Hauptmann: si tratta di un altro passaggio nodale per l’affermazione, pur concentrata in pichi anni, nella stagione del Naturalismo tramite gli allestimenti scandalosi di Prima dell’alba, Anime solitarie e I tessitori.

Brahm, oltre che affrontare problematiche legate alla produzione testuale di stampo naturalistico, si addentra nella nodosa questione dell’attore, nel nuovo attore che, perciò, abbandona virtuosismi e tecnicismi di maniera, e recita senza trucchi e artifizi retorici, per cercare un’espressione mimico-gestuale e verbale fondata sui toni snaturali e semplici perché ricavati dal «mondo» e dall’«ambiente» quotidiano.
In merito l’intraprendente Brahm si dimostra pregevole regista e talent scout rivelando attori destinati a breve a trionfare sulla scena tedesca, da Else Lehmann a Rudolf Rittner, da Emanuel Richter a Josef Kainz e Agnes Sorma che poi si distaccano dalla lezione del maestro, come altri faranno, in quanto svilisce la figura del primo attore.

Così nasce lo Brahmstill: «I personaggi – spiega Iovine – vengono esplorati dagli attori dall’interno, psicologicamente e individualmente, trasmettendo in scena anche i più minuti dettagli». L’attore entra quindi in sintonia con il drammaturgo, come lucidamente teorizzato nel saggio del 1982 Antica e nuova arte dell’attore

Il corposo materiale raccolto nella seconda parte di questo importante studio della Iovino ha il pregio di seguire l’attività e lo sviluppo del pensiero di Brahm che si enuclea dalla pubblicazione delle tante recensioni di tanti spettacoli ibseniani e hauptmanniani visti a Berlino, unitamente alla visibilità data alla fitta corrispondenza con Hauptmann che dimostra grande profondità intellettuale e umana. Nell’ultima corrispondenza con l’autore de I tessitori Brahm scrive: «Da quel giorno d’autunno 1889 – senza che tu abbia dovuto fare più volte il giro di Berlino a piedi – mi è stato concesso di mettere in scena per primo quasi tutti i tuoi lavori; mi è stato permesso di portarli alla luce e rivelarli al pubblico tedesco per primo; e considero questo incarico battesimale e onorifico, la più grande felicità che ho provato nella mia vita professionale».
Sembrano parole, scritte il 14 novembre 1912, di veggente commiato dall’amico drammaturgo che morirà prematuramente di lì a poco, il 28 novembre.

                                  di Massimo Bertoldi

 

 

Una germanista scapigliata
Vita e traduzioni di
Lavinia Mazzucchetti

di Anna Antonello

Macerata, Quodlibet Sudio, pp. 288
 

«Chi era Lavinia Mazzucchetti?», si chiede Anna Antonello – ricercatrice bolzanina presso l’Università degli Studi G. D’Annunzio di Chieti – nell’Introduzione alla corposa e dettagliata biografia da lei compilata e dedicata a questa intraprendente figura intellettuale, ossia Una germanista scapigliata come la inquadra il titolo del volume edito da Quod Libet Sudio. Figlia di una cantante dilettante e di un giornalista del quotidiano “Il secolo”, la sua complessa e variegata esperienza assurge a emblema della situazione sociopolitica e culturale italiana nella prima metà del Novecento declinata dalla «solitaria ribellione» di una donna dichiaratamente «antifascista intransigente e irremovibile», atteggiamento penalizzante, per esempio, nell’assegnazione della cattedra di germanistica all’Università di Milano contesa con Vincenzo Errante, tanto da provocare il suo trasferimento a Berlino negli anni Venti.

Poi si apre il proficuo capitolo delle recensioni nel mensile “I Libri del Giorno” e nella rassegna bibliografica “Il Leonardo”, in cui si occupa dei fratelli Mann, Hermann Hesse, Franz Kafka. Di rilievo risulta anche la collaborazione con Sporling & Kupfer per la quale dirige una collana di “narratori nordici” inaugurata con la traduzione della novella Frau Bertha Garlan di Arthur Schnitzler. L’obiettivo, chiarisce la Antonello, è «di sfatare il mito dei “mattoni” tedeschi noiosi e illeggibili» che si rinnova nel 1933 con Mondadori e nella parallela attività di traduttrice presso Bompiani. Nei cataloghi figurano, tra i tanti, i nomi di Franz Werfel, Josef Roth, Mann, Hans Grimm, Hans Fallada, Gerhart Hauptmann. Monumentale rimane la traduzione dell’omnia omnia di Goethe avviata nel 1944 e terminata nel 1951.

Gli anni del dopoguerra – come illustra la Antonello – furono «un periodo di grande gioia» per le nozze con Waldemar Jollos ma anche di «definitiva disillusione» a causa dei «tanti agognati cambiamenti radicali nella politica italiana (che) non arrivano, nonostante il cambio della guardia». La Mazzucchetti si trasferisce a Zurigo e lavora, pur tra non poche difficoltà, per Artemis Verlag, giovane e ambiziosa casa editrice. Nella città svizzera viveva anche Thomas Mann con il quale la traduttrice rafforza amicizia e intesa intellettuale che culmina con la pubblicazione, tra il 1943 e il 1963, dell’opera completa per conto di Mondadori, affiancata da una selezione piuttosto corposa della produzione di Hesse. È datata 1959 la stampa postuma di “Novecento in Germania”, raccolta di saggi editi per la maggior parte in riviste e quotidiani. Si tratta di una sorta di testamento culturale popolato dagli autori tedeschi a lei cari che, di fatto, rivelano e accompagnano l’attività della Mazzucchetti.

Questa infaticabile traduttrice, insegnante, meticolosa e lucida critica letteraria, fu soprattutto una grande mediatrice culturale capace di creare un ponte tra cultura italiana e tedesca ricoprendo «quel ruolo di informatrice intelligente e appassionata, di missionaria delle lettere; il cosmopolitismo della formazione e delle aspirazioni, l’esprit europén», come scrisse Giorgio Babibbe nella rivista “Il Ponte”.
                                     
                                    di Massimo Bertoldi