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Todos caballeros

di Lucio Giudiceandrea


Merano, Edizioni Alphabeta Verlag, 2022, pp.143

Lucio Giudiceandrea, giornalista e saggista, noto per il suo Spaesati. Italiani in Südtirol del 2006, si cimenta qui con un’opera di narrativa. Todos caballeros, scritto in una prosa pertinente, realistica, elegante, si incentra su una figura storica di alto prestigio, l'imperatore Carlo V, che aveva coltivato un sogno ambizioso, nel lontano Cinquecento: portare la pace nella Europa dilaniata da lotte politiche, militari religiose e restaurare la supremazia dell'impero asburgico, del sacro romano impero.

Impresa disperata, allo sbocciare dell'età moderna, con le insanabili divergenze e varietà di interessi e scontri egemonici in campo, tuttavia i destini incrociati delle tante vicende potevano anche dare l'illusione di una possibile felice sintesi, se si fosse presentata l'occasione. 
Il sogno naufraga e con ciò il disincanto di Carlo V imperatore si fa tangibile e sfocia in una sorta di rassegnato abbandono della partita. Di fronte ai meschini intrighi e alle egoistiche particolari pretese di favori e titoli dei vari notabili di Alghero, manda tutti al diavolo gratificandoli, tutti, del titolo ambito di cavalieri: «Todos caballeros!».

L'autore non nasconde la comprensione e forse la simpatia verso questa lucida sfiducia che assale l'imperatore, peraltro persona di non eccelse virtù, ma a suo modo lungimirante e forse sincero nel desiderio di svolgere davvero una missione storica in cui crede. E il lettore non può non vedere in controluce un analogo, quasi cinico, pessimismo che può assalire l’uomo d’oggi dinanzi alla fine delle ideologie, al caos della postmodernità, al disincanto dinanzi alle anche più belle utopie, che pure erano realtà vissuta solo vent'anni fa. Disincanto e talvolta anche benevolo scherno che comunque fanno parte degli atteggiamenti ben noti dell'autore anche verso i vari fiduciosi "credenti" di ieri e di oggi...

La scelta del perché di questo personaggio e di questo contesto storico per raccontare il suo apologo sulla storia umana Giudiceandrea non ce la dice, forse ha a che fare con la dimensione "tedesca" di gran parte dei fatti descritti, che lambiscono in qualche occasione anche il territorio tirolese e il contatto con gli intrighi delle corti italiane, luogo ben noto di corruzione e di poca serietà, (ieri come oggi, sembra dire anche qui Giudiceandrea). In ogni caso la rappresentazione dei tempi, degli ambienti, dei costumi, della gente è riuscita in modo felice, e la lettura scorre appassionante in ciascuno dei quattro quadri in cui sono colti altrettanti momenti della vita di Carlo V.

La vera morale della storia è forse nel colloquio con il precettore di corte che forma il giovane nobile e gli dà la traccia etica per capire come si muove il mondo, indicandogli le leggi ferree della politica. Ma anche negli altri capitoli si intravede assai bene il mondo morale, il pensiero, la psicologia dell'imperatore.

Ecco dunque gli incontri e gli eventi narrati, così come il nostro autore li ricostruisce con la fantasia e li disegna annodando con maestria le fonti storiche e la fantasia letteraria; da notare che le quattro scene sembrano corrispondere ad "atti" teatrali, con indice dei personaggi e dialoghi che acquistano un ritmo teatrale oltre che narrativo.

La prima scena riguarda la dieta di Worms del 1521, con diplomatici e guardinghi incontri coi principi tedeschi, legati pontifici e il monaco ribelle, Martin Lutero. La seconda è il momento della incoronazione a Bologna nel 1530. La scena terza ci porta nel mezzo della cruzada, con l'assedio di Algeri e la sconfitta del turco Barbarossa, apoteosi della vittoria e della sperata pax christiana imposta in Europa. La quarta scena vede il sovrano già quarantenne in Alghero, di passaggio verso Maiorca, osannato dalla nobiltà catalana e dai signori sardi, che in realtà vogliono solo farsi insignire dall'imperatore del titolo di cavaliere. L'imperatore stanco, colpito da dissenteria, vaneggia anche per una pozione ricevuta che gli fa vedere la vera realtà dei propri sogni infranti. L'autore gioca in tutto il romanzo con la storia, una partita che non ha regole fisse («il mondo vero non ha regole, ogni situazione è unica e irripetibile...») a differenza della partita che si gioca al tavolo degli scacchi, dato che l'imprevisto, come ricorda Braudel, muove le sue mosse.  E non a caso il contrappasso con la storia ritorna anche nell'epilogo, dove in due paginette si elencano freddamente gli avvenimenti che smentiscono l'immagine di sé e i sogni di gloria di Carlo V.

Il merito di Giudiceandrea è quello di essere penetrato nella psicologia dell'uomo e di averne immaginato i sentimenti, le debolezze e le volontà e di avercene dato così il ritratto artisticamente più vero.
 

                                di Carlo Bertorelle

 

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