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Il dramaturg in Italia
Un’anomalia storica tra Europa e Stati Uniti

di Davide Cioffrese


Milano-Udine, Mimesis Edizioni, 2023, pp. 374


Nel teatro italiano – a differenza delle coeve esperienze tedesche, inglesi e americane – «si continua ad avvertire la mancanza del ruolo del dramaturg. La sua istituzionalizzazione in suo riconoscimento anche formale e, soprattutto, la sua retribuzione in quanto tale». Eppure, rileva Davide Cioffrese ne Il dramaturg in Italia. Un’anomalia storica tra Europa e Stati Uniti le sue funzioni sono acquisite e generalmente riguardano il suggerimento di un testo teatrale con la conseguente rielaborazione linguistica, la sua eventuale traduzione, la ricerca di materiale relativo, la consulenza nel corso delle prove.

A partire dal Secondo dopoguerra non mancano lusinghieri esempi che ne legittimerebbero il ruolo e dimostrerebbero la sua costanza creativa e lo spessore culturale. Esemplare è l’attività di Gerardo Guerrieri al servizio prima di Luchino Visconti al quale offre trasposizioni più che adattamenti di celebri copioni (Lo zoo di vetro, Anime morte, Tre sorelle), cercando soluzioni linguistiche adatte alle caratteristiche espressive degli attori; poi con Giorgio Strehler che lo considera «studioso e traduttore» soprattutto del teatro americano. Sempre al Piccolo di Milano matura l’esperienza di Luigi Lunari, sorta di dramaturg di Arlecchino servitore di due padroni, Il giardino dei ciliegi, La tempesta).

Gioffrese affronta con cura anche i contributi di Gianrenzo Morteo, Giuliano Scabia, Roberto Lerici, per poi soffermarsi sulla figura cruciale di Edoardo Sanguineti cui compete il testo del celebre Orlando furioso allestito da Luca Ronconi nel 1969; su Renato Gabrielli, considerato il primo reale dramaturg italiano in senso istituzionale assunto dal Centro Teatrale Bresciano per volontà del direttore artistico Cesare Lievi; sulla trentennale «drammaturgia corporea» di Renata M. Molinari declinata, tra gli altri, con Federico Tiezzi (Artaud. Una tragedia) e con il regista belga Thierry Salmon avviata con Troiane e culminata nel progetto Dostoevskij.

Le radici storiche del dramaturg sono lontane e gli sviluppi seguono percorsi variegati, complessi e tortuosi, come emerge dalla minuziosa e assai documentata ricostruzione storica operata da Gioffrese.
L’avvio è dato da Lessing al Teatro Nazionale di Amburgo, in cui lo scrittore cerca la strada della riforma per rilanciare il repertorio tedesco a fronte della supremazia di quello francese. L’autore di Drammaturgia d’Amburgo (1769-69) si scontra con attori e direttori, fallisce il suo progetto, lo stesso teatro cittadino chiude i battenti. Più incisiva risulta l’azione svolta da Ludwig Tieck a Dresda: per undici anni (1831-42) svolge competenze letterarie tanto da promuovere Shakespeare, Calderon de la Barca, Schiller, Goethe, Kleist, partecipa alle prove e forma gli attori all’uso della voce e alla recitazione.
Funzioni queste assunte e approfondire da Bertolt Brecht che vede nel dramaturg l’anello di congiunzione tra la teoria marxista e la pratica teatrale incentrata sul teatro epico. Al Berliner Ensemble cade la distinzione tra dramaturg e regista per effetto di un lavoro marcatamente collettivo.

Nella scena inglese d’età vittoriana risalta l’actor-manager, sorta di Grande attore-capocomico alla maniera italiana ma oberato di lavoro al punto da delegare la ricerca e la lettura di nuovi copioni ai reader, embrione del literary manager, vero professionista teorizzato da William Archer e da Harley Granville Barker e praticato dagli spessi al Court Theatre di Londra (1904-07), e successivamente seguiti da Kenneth Tynan che al National Theatre, dove domina il gusto commerciale, introduce stabilmente le opere di Shakespeare, drammi moderni, nuovi testi e commedie straniere. Il suo contributo è adombrato dal direttore Laurence Oliver che non tollera la presenza del dramaturg alle prove, tanto da provocare la frattura nel 1967.

Il mestiere del dramaturg ha invece facile e immediata presa negli Stati Uniti grazie alla diffusione delle teorie di Archer e Barker che alimentano la fondazione del teatro nazionale; mentre nel secondo Novecento subentra la linea Lessing-Brecht. Fucina creativa diventano i campus, primeggia la Yale University, il dramaturg è regolarmente assunto nei teatri regionali come il Guthrie Teater.

La storia italiana parte dalla preistoria ottocentesca avviata da Gustavo Modena; attore risorgimentale in esilio dal 1840, dispone di embrionali bisturi del dramaturg nello studio psicologico dei personaggi teatrali e nella traduzione di Scribe e Dumas. Cioffrese parla di «fondazione drammaturgica» a proposito della Compagnia dei giovani (1843-46), perché i suoi componenti non hanno esperienza in campo teatrale; perciò, sottostanno all’«obbedienza militare» di questo grande preregista pedagogo.

Sorta di protodramaturg italiano è Arrigo Boito, prima per la collaborazione con Giuseppe Verdi per il quale elabora i testi di  Otello e Falstaff, impegnandosi anche nella ricerca degli attori e nella scelta dei costumi; poi con Eleonora Duse: è lui che avvicina La Divina a Shakespeare adattando Romeo e Giulietta e Macbeth, testi però mai recitati al contrario di Antonio e Cleopatra rappresentato dallo stesso Boito con attenzione filologica al mondo romano per quanto concerne i costumi e l’estetica dei personaggi.

L’ultima, riassuntiva e limpida osservazione sul dramaturg spetta all’autore di questo libro importante, ragionato e di grande rigore scientifico e metodologico. Scrive Cioffrese: «A seconda del contesto e del Paese, il dramaturg ha rivestito e riveste il ruolo di ricercatore eclettico, mediatore privilegiato tra gli altri professionisti coinvolti nella creazione scenica, lettore critico di testi e consulente nella loro scrittura, rappresentante del suo gruppo di lavoro, facilitatore della relazione tra questo e gli spettatori, esploratore di realtà teatrali via via cangianti (operistiche, danzanti, performative, installative…».
 

                         di Massimo Bertoldi

 

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