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Viola Papetti

Manganelli legge Shakespeare

 

Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2018, pp. 81

Gli scritti shakesperiani di Giorgio Manganelli risalgono al periodo 1948-1956 e sono interventi sparsi presenti nei cinque quaderni degli Appunti critici custoditi nel Centro Manoscritti dell’Università di Pavia. Il merito di Viola Papetti è di aver ordinato e valorizzato questo inedito e prezioso materiale letterario, posizionandolo nel percorso intellettuale dello scrittore milanese.

Come Manganelli legge Shakespeare? Innanzitutto si dissocia dalla “umanità dei caratteri” e dei valori morali e metafisici presenti nei grandi personaggi tragici come erano stati inquadrati da Mario Praz nella celebre volume Letteratura inglese. Nel brevissimo monologo dedicato ad Amleto e pubblicato dalla Papetti il re di Danimarca è un guerriero solo, isterico, sconfitto, che pare incarnare la ragione di Stato del principe machiavelliano e la concezione della tragedia propria del romanticismo tedesco. In un passo Amleto manganelliano dice di sé: “Ma io stesso ero vile – non agitato da scrupoli, non inqueto per amori e odi meno che vili; la mia viltà inquinava la pura vena di quella malignità, e, infine, fu più forte di me”.

Il parametro analitico assunto dallo scrittore per inquadrare i personaggi del Bardo, annota la Papetti, è la consapevolezza “della natura promiscua e labile delle passioni, della loro indicibilità” che determina in loro “la tragicità di cartapesta, la furia sessuale infantile, l’assenza di misura”. Così Macbeth vive un precario equilibrio tra “le pure forze della religione della tribù – santi e demoni – e una sua condizione di anarchia, istintiva e inconsapevole”.

Nel 1964, anno dell’Hilarotragoedia, Manganelli si occupa di Romeo e Giulietta forse pensando ad una traduzione. L’attenzione è rivolta alla “qualità erotico-tragica del linguaggio, non dei personaggi”. In polemica con le versioni teatrali concentrate sulla rappresentazione di quel “frigido delirio di cuori dolenti e anime itifalliche” Manganelli interpreta le anime shakesperiane “attive, violentissime costanti linguistiche, e dunque ambigue, instabili e contraddittore”. In merito abbondano gli esempi offerti dalle altre tragedie analizzate quali Timon of Athens, Cymbeline, Henry VIII, Coriolanus, Titus Andronicus.

La figura di Amleto ritorna nel racconto visionario Un amore impossibile compreso nella raccolta Agli dèi ulteriori (1972). Il concitato scambio epistolare con la principessa di Cléves precipita rapidamente nel nulla. Dalle tenebre Amleto scrive questo: “Questa è una regione caliginosa, dove ascolto il ticchettio di infiniti orologi. C’è della carne, ma non vedo corpi. Sto accoccolato sulle soglie di un mare ignobile e volgare, mi stringo addosso i miei vestiti ormai bizzarri, non muoio, non morirò. La mia principessa! Dove sono perduti i nostri sarcofaghi?” Sembra una citazione di Hamletmachine di Heiner Müller.

Chiude il cerchio shakesperiano la riscrittura di Othello con il titolo provocatorio Cassio governa Cipro per la Biennale Teatro di Venezia del 1974. Si tratta di un’opera di straordinaria rottura. Otello diventa servo della perversa Desdemona, Jago incarna il criminale e l’indagatore del suo stesso gesto delittuoso di cui tutto sono complici.

In definitiva Manganelli legge Shakespare in modo assai originale e libero da interpretazioni canoniche tanto da arrivare a produrre visioni spregiudicate ma fondate e questo nobilita lo stesso scrittore unitamente alla ricchezza dell’universo di Shakespeare e, non da ultimo, alle competenze interpretative e metodologiche della stessa Papetti.

                                      di Massimo Bertoldi

 

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