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LIBRI

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Semplice, buttato via, moderno
Il “teatro per la vita“
di Gianrico tedeschi

di Enrica Tedeschi
postfazione di Luciano Zani

 

Roma, Viella, pp. 222

 

«Semplice, buttato via, moderno», battuta che faceva spesso Luchino Visconti, è anche il titolo scelto da Enrica Tedeschi, già insegnante di discipline sociologiche presso l’Università di Roma Tre, per raccontare in modo del tutto particolare la vita di suo padre, il famoso attore Gianrico Tedeschi classe 1920. Si tratta di una lunga e intensa intervista, alla quale non mancano momenti di sincero affetto, dalla quale emerge limpida e accattivante la biografia individuale calata in una cornice storica e culturale popolata del protagonisti della vita del teatro italiano dal secondo dopoguerra a oggi.

Del rapporto tra Tedeschi e Visconti si parla nella seconda parte del libro (Interprete della modernità). «Il suo realismo, il suo rigore erano una ribellione», dichiara l’attore milanese impegnato ne La locandiera di Goldoni e in Tre sorelle di Cechov. Mentre di Giorgio Strehler, altro regista fondamentale per il suo percorso, ricorda che «lo muoveva una specie di esaltazione. Lui era appassionato e suscitava negli altri lo stesso fuoco». La vetrina dei registi continua con Luigi Squarzina («Ero affascinato dalla sua immensa cultura. Era intelligente, un grande intellettuale. Era uno autentico») e con Luca Ronconi («un vero rivoluzionario, un grande innovatore. Forse, l’unico che parla un nuovo linguaggio, adatto a questi tempi»). Il maestro per Tedeschi rimane Orazio Costa, il suo primo regista, «lo studioso che era felice di condividere con i giovani la conoscenza».

Da questi registi fondamentali del teatro italiano Tedeschi apprende gli elementi espressivi propri del suo stile, semplice ed essenziale, attento alle pieghe psicologiche del testo che poi porta a perfezionamento nel corso della sua lunga e luminosa carriera lavorando, tra i tanti, con Giuseppe Patroni Griffi, Marco Bernardi, Andrée Ruth Shammah, Piero Maccarinelli, Antonio Calenda. L’ultima fatica ricordata è Dipartita finale di Franco Branciaroli (2014-2016), dalla quale «ho percepito il senso della tragedia umana di fronte al mistero del ripetersi delle nascite e delle morti», ossia dei due estremi della vita che nel linguaggio teatrale significano il comico e il tragico, che corrispondono al recinto entro il quale si è articolata l’arte di Tedeschi plasmando personaggi di Goldoni, Pirandello, Ruzante, Shaw, Shakespeare, Feydeau, Brecht, Bernhard, Testori.

Si incontrano nel libro pagine toccanti, di straordinaria potenza comunicativa, soprattutto nella prima parte, Testimone della storia, in cui il racconto della vira dell’attore, più che muoversi sui palcoscenici, respira soprattutto le tragedie della guerra mondiale che costringe Gianrico a interrompere gli studi universitari. È chiamato alle armi come ufficiale e partecipa alla campagna di Grecia. Dopo l’armistizio dell’8 settembre è inserito tra gli internati militari italiani (IMI) che si rifiutarono di aderire alla repubblica di Salò e perciò è internato nei campi di concentramento di Beniaminovo, Sandbostel e infine Wietzendorf. La prigionia di due anni è condivisa con Alessandro Natta, Giuseppe Novello, Roberto Rebora, Giovannino Guareschi.

«La nostra resistenza – ricorda Tedeschi – è stata quella di usare le ermi della cultura e dell’arte contro le barbarie. Ci rafforzava, ci dava coraggio, ci arricchiva, ci illuminava». E l’attore sceglie la sua arma: nel gelo della baracca recita l’Enrico IV di Pirandello per un pubblico di internati. Il perché della scelta di questo testo la spiega lucidamente lo stesso interprete: «la storia del personaggio era perfetta per raccontare quello che stavamo vivendo. Un uomo prigioniero della sua follia […]. Noi vivevamo una follia collettiva: era folle la guerra, erano folli i nostri carcerieri, ma erano folli anche molte idee che circolavano fra gli italiani, lì nel campo di internamento, e pure in Italia. Enrico è il personaggio che dovremmo sempre interpretare di fronte alle contraddizioni e alle assurdità della vita sociale».

Sono parole forti che attribuiscono al teatro la sua vera forza, la sua capacità di unire uomini in bilico tra la vita e la morte. E i segni di questa indelebile esperienza affiorano qua e là in questo libro di memorie di ieri e di oggi che si completa con una bella intervista a Franca Valeri, un intervento di Luciano Zani. In Appendice di leggono la teatrografia, la filmografia, i lavori realizzati per la radio e per la televisione da parte di questo straordinario uomo e protagonista dello spettacolo italiano.

 

                                        di Massimo Bertoldi

 

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