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Gli sposi

di David Lescot

 

Imola, Cue Press, 2020, pp. 69

Gli sposi del titolo della commedia di David Lescot sono Nicolae Ceausescu e Elena Pitrescu, ossia l’ex presidente della Repubblica Socialista di Romania in carica dal 1967 al 1989 e la moglie, la vera eminenza grigia del regime. Nel testo del drammaturgo francese – anche qualificato regista e musicista legato al prestigioso Théâtre de la Ville – i due personaggi assumono i nomi generici di LUI e di LEI e animano una sequenza di ventotto dialoghi che seguono il percorso storico della loro vicenda umana e politica.

Il linguaggio del testo modella battute scarne, essenziali, funzionali alla creazione di uno spinoso tappeto narrativo giocato sul rimbalzo continuo tra la dimensione pubblica della politica e la sfera delle relazioni private. Nella gestione del potere ricadono i capricci e le manie di una coppia mascherata, la cui azione produrrà il deragliamento drammatico della Romania socialista. La scrittura di Lescot lambisce le sponde del teatro civile, non esprime posizioni ideologiche: tesse un reticolato di immagini cariche di ferocia e di ironia dalle quali emergono i profili di due figure grottesche, a tratti sinistre e ordinarie, deboli e forti.

Aleggia il rimando allo shakespeariano Macbeth nelle dinamiche interpersonali caratterizzate dall’influenza di una donna determinata e capace di sottomettere il marito trasformandolo in invisibile-visibile burattino. Alla fine del loro percorso storico, culminato con la fucilazione di TimiÈ™oara, Gli sposi diventano essi stessi inquietanti burattini della Storia.

Il racconto cronologico si enuclea da quando la coppia si è conosciuta all’inizio della militanza politica nel Partito Comunista, dalla presa del potere di Ceausescu alla morte. In mezzo ci sono quadri di grande forza narrativa che completano la cornice storica ricordando, per esempio, la Primavera di Praga del 68, a proposito della quale LEI chiede:

«Ti decidi o no? Lasci che l’alfiere si faccia mangiare dalla torre senza muovere un dito? Condanni pubblicamente i Russi o condanni vilmente i Cechi?».

Oppure, altrettanto emblematico è un passaggio del quadro 23. Siamo nel 1983.

LEI Allora, cos’è il socialismo?
LUI Non lo so.
LEI È una stanza nera nella quale bisogna cercare un gatto nero.
LUI Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! È veramente buona! Ah! Ah! Ah!
LEI Ma no, non è finita. È in tre parti.
LUI Ah d’accordo.
LEI Seconda domanda: cos’è il socialismo multilateralmente sviluppato?
LUI Non lo so.
LEI È una stanza nera nella quale bisogna cercare un gatto nero.
LUI Non è finita ancora? Non c’è ancora da ridere? Ce n’è ancora una parte?
LEI Sì, ce ne manca una parte: che cos’è la Romania?
LUI Non lo so.
LEI È una stanza nera in cui tutti cercano un gatto nero anche se sanno benissimo che non sta là dentro.
LUI È finita?
LEI Sì.
LUI Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! sì bellissima! Ah! Ah! Ah!

Si arriva alle batture finali che culminano nel processo sommario e nella fucilazione de Gli sposi che, dice la didascalia, «rimangono morti per un po’ di tempo, poi si rialzano» e, come due fantasmi, si interrogano su dove possano essere sepolti i loro corpi.

Finalista del Premio Ubu 2019 come migliore spettacolo straniero, il testo di Lescot è stato allestito nel 2018 da Elvira Frosini e Daniele Timpano, ai quali compete la cura e la bella postfazione di questo volume pubblicato dall’intraprendente Cue Press, che si completa con l’introduzione di Attilio Scarpellini, anche autore della traduzione di questa intrigante a appassionante commedia inedita per il lettore italiano.

 

                             di Massimo Bertoldi

 

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