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SPETTACOLI E MOSTRE

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foto di Cheyenne Unterkofler

Socrate il Sopravvissuto /come le foglie

di Simone Derai
e  Patrizia Vercesi

 

regia Simone Derai

dal romanzo Il Sopravvissuto di Antonio Scurati
con innesti liberamente ispirati a Platone e a Cees Nooteboom
con Marco Menegoni, Iohanna Benvegna, Marco Ciccullo, Matteo D’Amore,
       Eliza Oanca
, Piero Ramella, Francesca Scapinello, Massimo Simonetto,
       Mariagioia Ubaldi

maschere Silvia Bragagnolo e Simone Derai
costumi Serena Bussolaro e Simone Derai
musiche e sound design Mauro Martinuz
video Simone Derai e Giulio Favotto
con Domenico Santonicola (Socrate), Piero Ramella (Alcibiade), Francesco Berton,
       Marco

produzione Anagoor

 

Anagoor è un gruppo di punta del teatro di ricerca italiano. Socrate il Sopravvissuto /come le foglie – spettacolo visto al Teatro Comunale di Bolzano nell’ambito della rassegna “Altri Percorsi” curata dal Teatro Stabile – ne è la limpida conferma.

Il fulcro narrativo è mosso dal romanzo Il Sopravvissuto di Scurati (2003), ispirato a un fatto di cronaca – la strage di docenti e allievi della Colombine High School negli Stati Uniti (1999) per mano di due studenti – che l’autore ambienta in Italia e ne rende protagonista un diplomando atteso al colloquio del suo esame di Stato. Il ragazzo arriva in ritardo. Estrae una pistola e spara alla commissione meno che al professore di filosofia. Indirettamente lo spettacolo si interroga sui motivi del gesto tanto da assurgere a cifra connotativa di un sistema scolastico incapace di essere autenticamente formativo. Perciò il testo procede a ritroso.

Il primo quadro temporale è ambientato nel maggio 2001. Nell’aula occupata da nove banchi l’insegnante, il convincente Marco Menegoni, è costretto a ridurre il programma di storia a una banale lista di guerre e genocidi. Gli studenti-attori sono presenze mute e statuarie. Lentamente si addormentano fino a scivolare dalle sedie.

Ottobre 2000: gli allievi hanno tra le mani libri usati e strappati, li scaraventano a terra tanto da formare un mucchio che ricopre una loro compagna, mente altri di loro strizzano libri impregnati d’acqua e li appoggiano sul pavimento ad asciugare. La scena, ben costruita e di intensità, allude alla morte di un tipo di sapere, perché ormai vuoto e nozionistico, e ad una sorta di rito purificatorio per favorire la nascita di una nuova sensibilità culturale anche basata sulla conservazione dell’autentico patrimonio su cui si basa la nostra civiltà.

Dopo la scena di giugno 1999, segnata da una danza marionettistica e meccanica degli allievi mentre ascoltano una lezione dedicata al Fedone di Socrate, arriva il momento clou dello spettacolo. Un video ricostruisce la morte di Socrate e la sua conversazione con Alcibiade sul giusto e l’ingiusto, l’anima e il corpo. Si alimenta la visione di una classicità inquieta, comunque epicentro del nostro pensiero nelle sue articolazioni perpetuate fino a oggi. Non a caso i personaggi dell’aula ateniese sono gli stessi allievi mascherati assieme al loro insegnante-Socrate.

Con il passaggio narrativo successivo, che precede il momento finale della strage raccontata con chirurgica e pedante precisione (cosa che si ripete anche in altri momenti dello spettacolo cui manca fluidità del discorso), si ritorna alla contemporaneità. Gli alunni sono seduti l’uno vicino all’altro. I loro volti risultano colorati. Probabilmente sono nuove maschere di loro stessi, dopo essere stati passivi e poi ribelli.

È questo uno dei tanti aspetti saggiamente misteriosi di Socrate il Sopravvissuto /come le foglie, spettacolo costruito sul gioco tra la realtà e l’irrealtà, tra quello che si annida nella mente e ciò che si muove fuori di essa. In questa dialettica dei rimandi impreziosita di dotte citazioni, si sostanzia l’ermetismo del linguaggio di Anagoor, cui non manca la sintassi del turbamento indirizzato allo spettatore talvolta in difficoltà di fronte a visioni poco rassicuranti e di non facile decodificazione. Il principio di fascinazione è questo: prendere o lasciare.

 

                                di Massimo Bertoldi

 

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